Disagio giovanile e contesto familiare: un confronto tra famiglie italiane e famiglie immigrate

 In FocusMinori, N. 4 - dicembre 2016, Anno 7

Il genitore è colui che esercita il parenting, ovvero l’insieme dei comportamenti e delle capacità offerte per sostenere la prole nel corso dello sviluppo emotivo, affettivo e sociale (Patrizi, Rigante et al., 2010); processo in cui confluiscono aspetti biologici e relazionali legati alla capacità di prendersi cura (caring), di nutrire (nurturing) e proteggere (protecting).

La genitorialità è un compito complesso, che in sé integra diverse competenze non unicamente esauribili nella sola soddisfazione di bisogni primari: in essa confluiscono capacità di affidabilità, funzioni emotive di empatia, accoglimento ed accettazione, offerta di stabilità emotiva, materiale e di supporto sociale, e quant’altro possa significare ed accompagnare lo sviluppo dell’identità della prole, garantirne il senso di protezione e sicurezza e favorirne i processi di socializzazione (Camerini & Sechi, 2010).

Altresì, l’esercizio della genitorialità non si esaurisce nel contingentato tempo delle prime epoche dello sviluppo (prima infanzia), bensì evolve e si adatta costantemente allo stadio evolutivo del figlio, mediando di volta in volta tra le varie richieste di quest’ultimo e le opportunità presenti nel contesto e nell’ambiente sociale (Eccles, Midgley et al., 1993; Greco & Maniglio, 2009). La genitorialità ha pertanto il carattere di essere un processo costantemente trasformativo, in considerazione delle necessarie rivisitazioni delle funzioni di accudimento, protezione e sostegno che inevitabilmente variano nelle diverse epoche del ciclo vitale del singolo soggetto/figlio e della famiglia stessa (le funzioni che esplicano il parenting nella prima infanzia, ad esempio, non possono essere adatte a quelle che vi dovranno essere nell’adolescenza, e così via).

Tra i fattori che concorrono alla definizione della genitorialità un ruolo fondamentale hanno le esperienze che ciascun genitore ha a sua volta vissuto nella propria infanzia e sviluppo: in tal senso, la percezione che ognuno si costruisce nel corso dello sviluppo con le figure dei propri legami di attaccamento conduce alla creazione di “modelli operativi [1]” tramite i quali interagire con la prole, influenzando il proprio stile di parenting (Baiocco, Laghi & D’Alessio, 2011). L’assunzione e l’esercizio della propria genitorialità integra da un lato l’immagine interna dei propri genitori, dall’altro le rappresentazioni di sé nel ruolo genitoriale e nella relazione con i propri figli. La letteratura sottolinea la grande importanza detenuta dall’interiorizzazione delle rappresentazioni dei propri genitori e delle interazioni con essi, rispetto alle modalità con le quali verrà poi esplicata la propria genitorialità (Venuti & Giusti, 1996).

Rappresentando il primo mondo sociale, il primo interprete del mondo, in famiglia il bambino imparerà a conoscere ed interiorizzerà le regole e le rappresentazioni che saranno poi alla base delle successive interazioni con gli altri, ad esempio quando in adolescenza il ragazzo sarà chiamato a confrontarsi e ad interagire in modo autonomo con istituzioni diverse dal proprio nucleo originario.

Per comprendere i meccanismi di funzionamento della famiglia e come essa possa fungere da luogo di prevenzione primaria dal disagio, occorre analizzarla in qualità di sistema di relazioni tra i membri che la compongono.

Secondo la tradizione sistemico-relazionale (Malagoli Togliatti & Lubrano Lavadera, 2002; Gambini, 2007), difatti, il funzionamento del sistema familiare è costituito dalle interazioni tra i suoi componenti, che: da un lato sono costantemente dinamiche poiché il cambiamento di ogni singolo soggetto influirà sugli altri e le azioni di ciascuno saranno la causa o la conseguenza delle azioni degli altri in un continuo e reciproco processo di influenzamento, dall’altro hanno la funzione di assicurare per ognuno continuità e stabilità al cospetto dei cambiamenti che avvengono tanto al suo interno quanto nel contesto sociale esterno.

Altresì, stante il modello elaborato da Minuchin (1974), nel sistema familiare possono essere distinti dei sottosistemi demarcati da confini generazionali e gerarchici, ognuno dei quali ha una specifica funzione: il sottosistema della coppia coniugale ha la funzione di stabilire un rapporto di sostegno tra i due partner, fondamentale anche per la crescita dei figli; il sottosistema genitoriale ha la funzione specifica di allevare la prole e guidare il processo di socializzazione; il sottosistema dei fratelli ha la funzione di sviluppare le primarie capacità sociali di negoziazione, cooperazione e competizione; il sottosistema dei nonni ha la funzione di fornire sostegno alle attività di accudimento e gestione della prole esercitate dalla coppia genitoriale, nonché di mantenere il riferimento e la trasmissione generazionale del patrimonio della storia familiare.

Nella costante interazione dei vari sottosistemi che la compongono, il funzionamento della famiglia dipende da una solida gerarchia di rapporti, che viene a costituirsi dalla differenzazione dei ruoli e delle funzioni e competenze spettanti a ciascun membro, dalla chiarezza e coerenza di regole, da chiari e distinti confini tra i sottosistemi.

Pertanto il contesto di relazioni e di scambi familiari rappresentano una delle più grandi risorse cui attingere per poter espletare i compiti di sviluppo che ciascun membro della famiglia è chiamato a conseguire (Gambini, 2007).

Tuttavia, la famiglia può presentarsi non quale luogo di risorsa, bensì contesto in cui si sviluppano relazioni abnormi e devastanti, con effetti distruttivi sui legami familiari. Un ambiente familiare in cui i confini tra i sottosistemi siano confusi può divenire causa di una inadeguata differenzazione di competenze e ruoli; al contrario ruoli e confini eccessivamente rigidi, sottosistemi familiari che non interagiscono tra loro e rimangono nettamente separati, possono causare difficoltà nella comunicazione e negli scambi tra i membri.

Pur considerando le numerose trasformazioni sociali, culturali ed economiche che negli ultimi decenni hanno investito la famiglia – determinando trasformazioni strutturali, nelle funzioni e nei ruoli di ciascun membro, nuove forme e modalità di interagire per far fronte alle nuove necessità della collettività in cui la famiglia è inserita, in un costante processo di adattamento e coesione rispetto all’esterno (Gambini, 2007) – la crisi familiare è spesso causata dall’incapacità degli stessi membri di prendere consapevolezza delle barriere comunicative tra loro.

In tal senso, ecco che un’adeguata comunicazione in famiglia diventa un importante fattore in termini di prevenzione primaria del disagio e della devianza (Mastronardi, 2002). Di particolare rilievo è la comunicazione genitore-figlio, che nel percorso di crescita del giovane diviene basilare nel percorso di acquisizione dell’autostima, in particolare durante lo sviluppo adolescenziale. Il ruolo dell’adulto all’interno del processo comunicativo è quello di far emergere le potenzialità del minore in corso di sviluppo identitario, attraverso un dialogo aperto alla riflessione ed al ragionamento, che stimoli capacità, attitudini e vocazioni. Una comunicazione aperta, efficace e attenta rappresenta uno strumento in grado di dare sicurezza e fermi punti di riferimento, un mezzo di prevenzione contro atteggiamenti e comportamenti aggressivi (Mastronardi, 2002).

Per tutto quanto detto, lo stile di parenting influenza lo sviluppo psicosociale della prole: dalla qualità della relazione che si istaura tra genitore e figli dipende la qualità dello sviluppo identitario di quest’ultimi, ivi includendole capacità di autonomia, lo sviluppo dell’autostima, le dinamiche affettive, le competenze sociali ed ogni altra componente che costituisce l’identità personale.

Le ricerche mostrano come uno stile di parenting positivo sia associato ad un minore livello di problematiche psicologiche nel bambino, e ne favorisca un adeguato sviluppo emotivo: in tal senso, tra le modalità positive di parenting vengono indicate una sensibile responsività allo sviluppo educativo, un’adeguata capacità ricettiva nella comunicazione con il figlio, l’incoraggiamento all’acquisizione della sua autonomia conoscitiva ed esplorativa (pur mantenendosi sempre come “base sicura” da cui fare ritorno) (Cicchetti & Thoth, 1998; Bayer, Sanson & Hemphill, 2006).

Al contrario, un parenting caratterizzato da anaffettività e scarso coinvolgimento nella cura della prole (se non ancor più evidenti comportamenti di rifiuto), eccessivamente rigido e severo con esercizio di un forte potere assertivo e punitivo, o ancora iperprotettivo, intrusivo o ansioso risulta associato allo sviluppo di problemi emotivi e ad un maggior livello di malessere psicosociale (Grolnick & Ryan, 1989; Rubin & Mills, 1991; Frost, Lahart & Rosenblate,1991; Flett, Hewitt & Singer, 1995; Barber, 1996; Grolnick et al., 2002; Mills et al., 2007).

Nel tentativo di individuare la possibile esistenza di uno “stile educativo ideale”, caratterizzato da valide modalità di risposta fornite dal genitore nell’interazione con i propri figli tali da favorirne uno sviluppo adeguato in termini emotivi, psicologici e di adattamento e socializzazione, numerosi studi hanno cercato di identificare quali dimensioni potevano in particolare essere interessate.

Così ad esempio Diane Baumrind (1971; 1991) ha proposto una classificazione degli stili educativi basata sulle due dimensioni di “richiestività” e “responsività”: la prima legata alla capacità del genitore di porre dei limiti e delle regole al comportamento del bambino; la seconda legata alla capacità di rispondere alle richieste e ai bisogni del figlio. Dalla presenza o meno di queste due dimensioni l’Autrice indica tre tipologie di parenting:

  • Autoritario: caratterizzato da alta richiestività e bassa responsività;
  • Permissivo: caratterizzato da bassa richiestività ed alta responsività;
  • Autorevole: caratterizzato da adeguata richiestività e responsività.

Riprendendo questi studi, Maccoby e Martin (1983; Maccoby, 2000) hanno poi aggiunto un quarto stile di parenting, “permissivo negligente”, caratterizzato tanto da una bassa richiestività che una bassa responsività.

Ancora, in una prospettiva legata soprattutto ad una dimensione emotiva, Hoffman (1988) ha descritto quattro differenti stili educativi basati sull’interazione delle due dimensioni di “costrizione” (fisica o psicologica) e “persuasione” (razionale o emotiva), delineando:

  • Lo Stile costrittivo: basato sul potere fisico;
  • Lo Stile costrittivo: basato sulla sottrazione di affetto;
  • Lo stile induttivo/persuasivo: di natura razionale;
  • Lo stile empatico/emotivo.

Altresì, una delle più recenti teorizzazioni sugli stili di parenting è quella proposta da Baiocco e colleghi (Baiocco, Crea et al., 2008; Baiocco, Laghi et al., 2009), che delinea le quattro componenti evidenziate dallo strumento del Parents Preference Test: la focalizzazione dell’attenzione, la modalità esperienziale, la regolazione del comportamento ed il livello di energia. Stante gli Autori, ognuna di tali componenti non è definita in termini dipolari positivo/negativo: il genitore competente può e deve muoversi in modo flessibile su entrambi i poli di ognuna di queste componenti, a seconda delle esigenze derivanti dal contesto, dagli stati d’animo e dai bisogni del proprio figlio. Viceversa, le situazioni problematiche sono rappresentate da un uso univoco e rigido di una sola modalità di parenting, o da una mancata corrispondenza tra lo stile di parenting utilizzato da uno dei due genitori con quello che caratterizza l’altro genitore (Baiocco et. al., 2011).

Posto quanto sopra, necessarie alcune brevi alcune riflessioni devono essere rivolte alle famiglie di immigrati, oggetto della presente ricerca. In particolare si deve considerare come, nella rilevanza assunta dal fenomeno immigratorio negli ultimi decenni, al di là di importanti aspetti ad esempio rappresentati dall’inserimento degli immigrati nel contesto lavorativo offerto dal paese ospitante, delle necessità di adattamento con il differente sistema culturale, politico e normativo, altro aspetto importante è rappresentato dall’insediamento dei nuclei familiari stranieri.

L’arrivo nel paese ospitante pone la famiglia migrante nell’esigenza di adattarsi ad un nuovo contesto sociale e culturale, ricombinando di continuo la propria identità in termini linguistici, di valori, di costumi ed abitudini.

La convivenza quotidiana porrà i genitori immigrati ad una doppia sfida educativa verso i figli: da un lato, l’esigenza di non far perdere il riferimento con le proprie tradizioni di origine, dall’altro il necessario accompagnamento all’adattamento al nuovo contesto di vita. Le sfide che già l’adulto dovrà affrontare per se stesso potrebbero riverberarsi nell’educazione fornita ai figli, se i genitori non riuscissero a porsi come un punto di riferimento solido e stabile: ancor più difficile sarà il processo di sintesi che i figli dovranno fare per muoversi ed integrare il mondo degli affetti e dei ricordi con il mondo della quotidianità della società ospitante (Gambini, 2007).

La ricerca

Ci si è chiesti se l’ambivalenza culturale di cui risente la famiglia immigrata, causata dal desiderio di mantenere le proprie tradizioni per non perdere la propria identità etnico/culturale e dal bisogno di far propri i valori della nuova cultura per meglio potersi integrare nella società ospitante, possa divenire un fattore influente anche nella scelta dello stile di parenting.

La ricerca ha pertanto inteso confrontare lo stile di parenting tra famiglie italiane e famiglie immigrate. Si è scelto di utilizzare il Parents Preference Test (PPT – Westh, 2003; adattamento italiano Baiocco, Laghi & D’Alessio, 2011), strumento appositamente sviluppato per indagare e misurare lo stile di parenting, in virtù della semplicità di somministrazione: trattasi difatti di test grafico a scelta multipla, costituito da 24 immagini/item che rappresentano scene di vita familiare, facilmente identificabili come comuni. Ogni item è costituito da un’immagine “stimolo” e quattro opzioni di risposta, attraverso cui il genitore può indicare la personale modalità di interazione con il figlio nelle varie attività quotidiane familiari. Scelta l’immagine di risposta, si incoraggia a verbalizzare la motivazione della scelta ed il ruolo genitoriale assunto. Il colloquio ha pertanto la finalità di indagare le competenze genitoriali, condividendo con i genitori anche eventuali modelli alternativi di comportamento.

Il PPT analizza lo stile di parenting attraverso quattro dimensioni, ognuna specifi cata in due distinti poli:

  1. Focalizzazione attentiva: descrive le modalità con le quali il genitore presta attenzione al bambino e ai suoi bisogni durante l’interazione. Valuta il modo in cui il genitore ed il figlio imparano a gestire la propria capacità di prestare attenzione all’altro ed al contempo alle attività che stanno svolgendo in proprio, mantenendo in reciproca relazione e vicinanza con la possibilità di distinguere un “noi” ed un “tu”.

I due poli che specificano tale dimensione sono:

  • focalizzazione sul sé: il genitore risponde alle richieste del figlio se necessario, ma risulta prevalentemente occupato nelle proprie attività e pensieri;
  • focalizzazione sul bambino: il genitore è attento a rispondere ai bisogni del bambino e ad ascoltare i suoi pensieri e le sue iniziative.
  1. Modalità esperienziale: indaga se durante l’interazione con il figlio il genitore si concentra maggiormente su aspetti emotivi o razionali della relazione. Valuta quindi in che modo genitore e figlio condividono esperienze ed apprendono l’un l’altro, ed attraverso quale modalità riescono ad esprimere le proprie conoscenze.

I due poli che specificano tale dimensione sono:

  • orientamento emotivo: il genitore risponde alle intenzioni, bisogni ed iniziative del bambino da un punto di vista principalmente emotivo;
  • orientamento razionale: il genitore risponde alle intenzioni, bisogni ed iniziative del bambino da un punto di vista principalmente razionale.
  1. Regolazione del comportamento: si riferisce alla gestione del comportamento del figlio, ovvero se viene disciplinato basandosi su caratteristiche della situazione contingente o viceversa da regole stabilite a priori. Valuta il modo in cui genitore e figlio imparano reciprocamente dai comportamenti messi in atto dall’altro, il modo in cui si comportano e si relazionano con gli altri (competenze sociali), se possano crearsi standard condivisi di comportamento, valori e moralità.

I due poli che specificano tale dimensione sono:

  • contesto/situazione: il genitore valuta e regola il comportamento ed i bisogni del bambino in relazione alle caratteristiche del contesto o in risposta ad una particolare situazione che sta vivendo;
  • regole: il genitore valuta e regola il comportamento ed i bisogni del bambino in relazione a ciò che per lui è giusto o sbagliato o in base a regole e norme di comportamento già acquisite in precedenza.
  1. Energia: in realtà non si presenta come una dimensione autonoma ma come sovradimensione che ricade sulle tre precedenti. Indica se il genitore è protagonista attivo nel prendere iniziative ed è recettivo nell’interazione con il figlio (energia attiva), o viceversa se tende ad essere più esitante lasciando al figlio di prendere iniziative di interazione (energia passiva). Tutte le dimensioni del PPT possono caratterizzarsi per alti o bassi livelli di energia.

Nel modello teorico sotteso dallo strumento il parenting può essere espresso secondo modalità di posizionamento preferito dai genitori durante l’interazione. La sottostante immagine (Fig. 1) descrive come il posizionamento viene indicato dai tre quadranti dinamici, che si riferiscono alle tre dimensioni ciascuna caratterizzata da energia attiva o passiva. Per ogni posizionamento all’interno di ogni quadrante possono svilupparsi diverse modalità di interazione basate sul dare e avere. A sua volta lo stile di parenting influenzerà i pattern di attaccamento del bambino e le sue strategie di coping e di adattamento (Baiocco et al., 2011).

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Fig. 1 – Il modello teorico proposto dal Parents Preference Test

La ricerca ha interessato un campione di 17 famiglie, 9 famiglie italiane ed 8 famiglie immigrate (4 albanesi, 3 rumene, 1 peruviana).

Per quanto riguarda la tipologia di legame familiare, tutte le famiglie immigrate sono al primo matrimonio ed ugualmente è per 8 delle famiglie italiane, mentre una sola è ricostruita.

Complessivamente considerato, il campione ha un’età dei genitori compresa tra i 25 ed i 50 anni: con una prevalenza dell’età 45-50 anni per le madri italiane e dell’età 35-39 anni nelle madri immigrate, mentre per i padri sia italiani che immigrati prevale l’età 40-44 anni.

Nel complesso, le famiglie hanno tra 1 e 4 figli, con età compresa tra i 0 e i 17 anni. Nelle famiglie italiane prevalgono figli con età compresa tra i 5-7 anni e tra gli 11-13 anni; nelle famiglie immigrate è maggiormente elevata la presenza di figli con età inferiore, 2-4 anni (seguita da 5-7 anni e 8-10 anni).

Per quanto riguarda l’attività di impiego di entrambi i genitori, tanto per le famiglie italiane che per quelle immigrate c’è una prevalenza di casalinghe tra le madri e operai tra i padri (alcuni dei genitori italiani sono impiegati).

Infine, il titolo di studio posseduto dai genitori, tanto per le italiane che per quelle immigrate, è la scuola secondaria di I grado. La Laurea è titolo di studio posseduto solo dall’11% delle madri italiane.

Risultati

Dall’analisi generale delle risposte fornite da ciascuna famiglia del campione in primo luogo emerge una concentrazione delle stesse risposte per alcuni item, sia per le famiglie italiane che per le famiglie immigrate. Ad esempio:

  • nell’item in cui l’immagine/stimolo rappresenta una scena di vita familiare in cui dopo il pasto i bambini si accingono a fare i compiti in cucina, prevalente è stata la scelta dell’immagine/risposta in cui entrambi i genitori aiutano i figli nello svolgimento dei compiti;
  • nell’item in cui in cui l’immagine/stimolo mostra un padre che assiste alla lite dei suoi figli in giardino, prevalente è stata la scelta dell’immagine/risposta in cui il padre interviene nell’intento di separare i figli;
  • nell’item in cui l’immagine/stimolo rappresenta il bambino che cerca di attirare l’attenzione dei genitori mentre la coppia è in salotto, la madre è incinta, tutti i genitori del campione hanno scelto l’immagine/risposta in cui è rappresentata la madre che coinvolge il figlio facendogli ascoltare i movimenti del futuro fratellino/sorellina.

Sembra pertanto che vi siano delle situazioni di vita quotidiana familiare in cui l’interazione genitori/figli segua degli “standard” comportamentali comuni, indipendentemente dalla singola storia di vita familiare, dalle origini e nazionalità, dalle caratteristiche socio-demografiche della famiglia.

Passando alla disamina di ciascuna area del PPT, per le dimensioni che esplicano lo stile di parenting, abbiamo: per quanto riguarda la dimensione della focalizzazione attentiva, sia nelle famiglie italiane (42%) che in quelle immigrate (44%) emerge la prevalenza della “focalizzazione attentiva sul bambino con e nergia attiva” (Fig. 2): una tipologia di interazione che permette di concentrarsi sui bisogni e sulle richieste del bambino in modo attivo e partecipe. Il genitore preferisce essere il primo a prestare attenzione al bambino ed a proporre l’interazione. Il genitore cerca di coinvolgerlo nelle attività, tenendo conto delle capacità del bambino, favorendo lo sviluppo di un’attenzione congiunta. Il bambino percepisce il genitore come presente ed accessibile durante le sue esperienze, lo sente come caregiver sicuro e supportivo. Questo permette al bambino di riuscire a trovare un equilibrio tra il prestare attenzione agli stimoli esterni ed alle richieste di attenzione del genitore, riuscendo a concentrarsi nelle proprie attività. Il bambino tende ad imitare il genitore e ad identificarsi con lui, quindi con le sue modalità di attenzione e di concentrazione.

Questa tipologia di interazione genitore-figlio risulta essere dunque positiva per il bambino e per lo sviluppo di un attenzione condivisa, sebbene il genitore debba essere in grado di essere flessibile e lasciare al momento giusto autonomia al bambino, pena il rischio di apparire non abbastanza ricettivo alla capacità di iniziativa e di autonomia del bambino.

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Fig. 2 – Focalizzazione attentiva: confronto tra famiglie italiane e famiglie immigrate

Con percentuali inferiori, nelle famiglie italiane per il 26% ed in quelle immigrate per il 14%, vi è invece una “focalizzazione attentiva sul bambino con energia passiva”. In questa posizione il genitore preferisce che sia il bambino a richiamare la sua attenzione, ma è in grado di rispondere alle sue iniziative e di focalizzarsi sulle attività del bambino. È una modalità di interazione adeguata a sviluppare un’attenzione congiunta e ad incoraggiare capacità di iniziativa e autonomia nel bambino, ma il genitore rischia di non riuscire a contribuire in maniera adeguata poiché aspetta che sia il bambino ad essere attore principale della relazione. Il bambino potrebbe vivere sentimenti di rifiuto o di distanza di fronte ad un genitore che tende a concentrarsi sui propri interessi e quindi non attento alla relazione. Tuttavia questa situazione può essere superata tramite l’acquisizione di strategie e competenze per richiamare l’attenzione dell’altro.

Altresì, non trascurabili sono le percentuali di famiglie italiane (24%) e di famiglie immigrate (23%) che scelgono una “focalizzazione sul sé attiva”, in cui il genitore partecipa e risponde alla relazione solo se necessario, ponendo attenzione ad attività non connesse all’interazione con il bambino. In questo caso fallisce la possibilità di sviluppo di un’attenzione condivisa, il bambino non riesce ad identificarsi con modalità e strategie di attenzione e concentrazione adeguate, vivendo sentimenti di rifiuto o di distanza più difficili da superare, in quanto meno probabile che si riescano ad acquisire competenze per richiamare l’attenzione dell’altro, dal momento che il genitore è concentrato su di sé.

Infine, una sostanziale differenza si nota nella “focalizzazione sul sé passiva”, in cui la percentuale delle famiglie immigrate (19%) è più del doppio di quelle italiane (8%). Nel successivo grafico (Fig. 2A) si confronta la focalizzazione attentiva in base alla nazionalità delle famiglie. Si può notare come prevalentemente si collochino sulla “focalizzazione sul sé passiva” soprattutto le famiglie rumene. In tal senso, per tali famiglie lo stile educativo vede il disinvestimento genitoriale rispetto all’interazione con il figlio, senza raggiungere i livelli di un vero e proprio disinteresse: il genitore è in grado di rispondere se necessario, ma per lo più rimane occupato dai propri pensieri e sulle proprie attività. Al bambino è lasciata l’iniziativa di interazione con il genitore.

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Fig. 2A – Confronto sulla focalizzazione attentiva in base alla nazionalità

Per quanto riguarda la dimensione della “modalità esperienziale”, emergono sostanziali differenze tra i due subcampioni (Fig. 3). Nelle famiglie italiane prevale una “modalità esperienziale emotiva attiva” (42%): questa posizione permette al genitore di essere percepito come coinvolto e sensibile in relazione ai tentativi del bambino di riuscire ad acquisire una comprensione condivisa di ciò che accade, sentendosi sostenuto nelle sue capacità intellettuali e di comunicazione. Questo permette al bambino di riuscire a sviluppare un’immagine di sé positiva, come una persona che possiede delle emozioni adeguate e che possono essere espresse durante una relazione. Il rischio in questa modalità di interazione è che il genitore possa diventare emotivamente esigente, apparendo eccessivamente costrittivo affinché il bambino percepisca ed interpreti la realtà nel suo stesso modo, trascurando le aspettative ed i punti di vista propri. Questo causerebbe nel bambino la perdita di fiducia nelle proprie capacità e nella possibilità di creare una visione della realtà condivisa, generando la paura che opinioni diverse possano causare una condizione di rifiuto.

Viceversa, nelle famiglie immigrate vi è un’elevata prevalenza di risposte relative alla “modalità esperienziale razionale attiva” (36%). In questo tipo di relazione il genitore preferisce rispondere ai bisogni del bambino non in modo emotivo bensì in modo razionale, quindi preferendo sviluppare una comprensione condivisa basata sul ragionamento, riflettendo sulle motivazioni delle proprie azioni. Questo permette al bambino di ragionare e riflettere sulle proprie esperienze. Il genitore che adotta un’eccessiva modalità esperienziale di tipo razionale può però correre il rischio di essere guidato da principi troppo rigidi, con un eccessivo controllo sui figli e sulle loro modalità di comprensione della realtà, cercando di adeguare il bambino a principi e comportamenti prestabiliti, lasciando poco spazio alla sua autonomia e trascurando la dimensione emotiva ed affettiva.

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Fig. 3 – Modalità esperienziale: confronto tra famiglie italiane e famiglie immigrate

 La differenza emersa nei due subcampioni potrebbe essere legata alla difficoltà che vivono le famiglie immigrate nella percepita discrepanza tra i propri valori e tradizioni ed i valori della società ospitante. Nel timore che i propri figli possano allontanarsi dai valori e dalla cultura familiare d’origine, i genitori tendono ad assumere comportamenti più rigidi, cercando di sviluppare una relazione basata su aspetti razionali, legata a principi e valori ben precisi.

Analizzando le differenze nella modalità esperienziale in base alla nazionalità delle famiglie (Fig. 3A), si nota come tale modalità sia in particolare rappresentativa delle famiglie albanesi (47%) , seguite dalle famiglie rumene per le quali tuttavia non emergono prevalenze legate all’energia poiché si distribuiscono in modo pressoché omogeneo tra la polarità attiva (29%) e quella passiva (25%).

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Fig. 3A- Confronto sulla modalità esperienziale in base alla nazionalità

 Infine, per quanto riguarda la dimensione della “regolazione del comportamento” (Fig. 4), mentre per le famiglie italiane prevale una “regolazione del comportamento basata sul contesto con energia attiva” (41%), per le famiglie immigrate vi è una prevalenza della “regolazione del comportamento basata sulle regole attiva” (44%).

Si noti come per entrambi i subcampioni, anche se in modalità diverse, lo stile genitoriale tenda comunque ad essere attivo e partecipe nell’interazione con il figlio. In entrambi i casi, per le due modalità, minori sono le percentuali relative a comportamenti di natura passiva.

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Fig. 4 – Regolazione del comportamento: confronto tra famiglie italiane e famiglie immigrate

 Nella “regolazione del comportamento basata sul contesto con energia attiva”, che in particolare caratterizza la famiglia italiana, il genitore mostra attenzione alla specifica situazione, iniziando e partecipando attivamente allo sviluppo di un’interazione regolatoria comune e ad una modalità comune rispetto al comportamento da adottare in quella situazione specifica ed ai principi morali che regolano il comportamento stesso. Tramite uno stile genitoriale flessibile e le sue capacità nell’affrontare le situazioni, il bambino riuscirà ad avere a disposizione comportamenti pratici da apprendere ed interiorizzare per regolare il proprio comportamento in un determinato contesto. In questo modo potrà acquisire fiducia in sé e sviluppare adeguate competenze sociali. In questa modalità di regolazione il genitore deve essere in grado di riuscire a far comprendere al bambino la motivazione e la scelta di un determinato comportamento in quella specifica situazione. Infatti l’eccessiva regolazione del comportamento legata al contesto potrebbe causare nel bambino confusione e disorientamento nell’adottare il giusto e più adeguato comportamento. Diventa quindi importante per il genitore capire le situazioni che richiedono delle regole, altrimenti si rischia di giungere all’estremo opposto e quindi ad una regolazione del comportamento legata al contesto passiva in cui il bambino non riuscirà mai ad acquisire norme e valori adeguati alle varie situazioni, con conseguenze negative sullo sviluppo delle competenze sociali.

Viceversa per le famiglie immigrate, in cui come detto prevale la regolazione del comportamento basata sulle regole con energia attiva, il genitore tende a prestare attenzione in particolar modo alle regole e non alla specifica situazione. Essendo attivo e partecipe nella regolazione del comportamento durante l’interazione con il bambino, quest’ultimo riesce a percepire un genitore coinvolto nello sviluppo di un’interazione regolatoria congiunta. Il bambino comprende chiaramente perché un determinato comportamento è considerato accettabile o non in una situazione. Il genitore preferisce essere una persona che comunica in modo chiaro il comportamento da seguire in un determinato contesto, permettendo al bambino di apprendere e interiorizzare norme e valori rilevanti per il genitore. In questo modo il bambino riesce a sviluppare un’immagine di sé positiva e l’immagine di sé come una persona con buone competenze sociali e capace di fronteggiare le situazioni mettendo in atto strategie comportamentali adeguate. Un utilizzo di regole in modo eccessivo può comunque essere rischioso, in quanto il genitore può essere percepito dal bambino come eccessivamente rigido, quindi distante dai suoi bisogni e dalle sue richieste, causando sentimenti di rifiuto.

Anche in questa dimensione i genitori immigrati sembrano preferire una modalità di interazione e di comportamenti meno flessibili, più razionali, legati a regole. Il contesto viene percepito probabilmente come un pericolo, che potrebbe influenzare i propri figli facendo loro apprendere nuove regole e comportamenti probabilmente diversi dalla cultura familiare, allontanandoli da quest’ultima.

Nuovamente, esaminando la regolazione del comportamento in base alla nazionalità delle famiglie (Fig. 4A), emerge come la modalità di regolazione del comportamento basata sulle regole con energia attiva sia in particolare rappresentativa delle famiglie albanesi (52%).

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Fig. 4A – Confronto sulla modalità esperienziale in base alla nazionalità

Conclusioni

Il presente contributo di ricerca ha voluto adottare una prospettiva pedagogica, ponendo l’attenzione sul contesto familiare e sulle dinamiche di parenting quale valida possibilità preventiva del disagio giovanile. Il sistema familiare dell’odierna società si configura in continuo cambiamento, in cui variabili esterne ed interne influenzano le fasi ed i compiti di sviluppo. Le pressioni poste dal contesto sociale ricadono sulla famiglia che rischia di chiudersi in se stessa, e l’irrigidimento del sistema familiare può ostacolare la spinta al cambiamento, necessaria per superare le fasi di sviluppo. Ciò è reso ancor più complesso per le famiglie immigrate, in cui sono presenti specifiche problematiche etnico-psicologiche legate all’esperienza migratoria.

I risultati della ricerca hanno in primo luogo mostrato come sia le famiglie italiane che quelle immigrate interagiscono in modo attivo e partecipe con i propri figli in tutte le dimensioni che caratterizzano lo stile di parenting. Ciò consente di dire che, al di là dell’esperienza migratoria, la famiglia e le sue dinamiche relazionali sempre rappresentano un fattore protettivo d’eccellenza del malessere giovanile.

Tra le famiglie immigrate, più le famiglie albanesi e la famiglia peruviana sembrano essere maggiormente attive rispetto alle famiglie rumene.

Nelle famiglie italiane emerge tuttavia uno stile più flessibile ed emotivo di quello adottato dalle famiglie immigrate, caratterizzate da uno stile di parenting più rigido e razionale.

L’analisi dei risultati fa emergere come le famiglie immigrate tendano ad assumere uno stile di parenting più rigido, caratteristico della “modalità esperienziale razionale attiva” delineata dallo strumento, nella quale i rapporti di relazione genitore/figlio esprimono le difficoltà di crescere ed educare la prole in un contesto socioculturale ben diverso dal proprio paese di origine.

Altresì occorre notare come nella dimensione della modalità esperienziale ed in quella della regolazione del comp ortamento non esiste una modalità di interazione in assoluto “ideale”. Per entrambe, le quattro polarizzazioni che le descrivono possono rappresentare buone modalità di interazione. Esse, se usate adeguatamente ed in modo flessibile, possono essere valido sostegno per lo sviluppo di competenze sociali e di un’immagine di sé positiva per il bambino. Come si è descritto, i danni sono eventualmente causati da un posizionamento rigido ed estremo da parte genitore. Nella modalità esperienziale il genitore può diventare emotivamente esigente o eccessivamente rigido trascurando l’affettività del bambino. Nella regolazione del comportamento la mancanza totale di regole può disorientare il bambino con modalità di interazioni e scelte di comportamenti poco chiari e definiti, mentre l’eccessivo uso di regole può ovviamente ostacolare le capacità di iniziativa e di autonomia del bambino.

 

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[1] Teorizzazione di John Bowlby (1969; 1973), sui “Modelli Operativi Interni” (MOI – Internal Working Models).

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