Il lupo perde il pelo ma non il vizio

 In Editoriale, Anno 1, N. 3 - settembre 2010

«Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Soprattutto quando il vizio resta sostanzialmente impunito»

 

Un vecchio adagio recita “Il lupo perde il pelo ma non il vizio” e a quanto pare è proprio così! Chi non si ricorda di Mamma Ebe, al secolo Maria Gigliola Giorgini, la santona guaritrice salita alle cronache negli anni Ottanta con una prima accusa per truffa, circonvenzione di incapace e sequestro di persona dalla quale verrà, in vero, assolta? Ma quello fu solo l’inizio della sua carriera di “guaritrice”, perché forte della assoluzione Mamma Ebe ci riprova e nel 1984 viene arresta assieme a otto “collaboratori”. Siamo nel vercellese, Mamma Ebe dirige una “Casa di cura” “La Consolata” a Borgo d’Ale. Cosa strana in questa “Casa di cura” si “curano” i malati così come si “consacrano suore” e come se tanto fosse normale sembra proprio che per adempiere alle proprie funzioni fosse necessario derogare (Deus vult!) alle norme del codice penale.

Il mandato di cattura, all’epoca, fu emesso per gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di associazione per delinquere, truffa, sequestro di persona, abbandono dei malati ed esercizio abusivo della professione medica. Ma la struttura di Borgo d’Ale non era l’unica, vi erano sparse un po’ in giro per Italia ben 15 succursali fra cui una a San Baronto nel pistoiese. Al lettore che seguiva la vicenda sulle cronache dei giornali sarà venuto da chiedersi: “Casa di cura”o impero finanziario? Furono infatti scoperti conti in nero con cifre degne di Paperon de’ Paperoni.

Nella sentenza di primo grado emessa il 23.7.1984 dal Tribunale di Vercelli si legge «La Giorgini ha tentato di costruire di sé un’immagine di donna fuori dal comune, addirittura inviata da Dio sulla terra quale mezzo […] da seguire per raggiungere Cristo. In realtà è apparsa una autentica mistificatrice al punto di procurarsi ad arte le stigmate per far denaro. In essa si ritrovano, senza veli e senza trasfigurazioni, falso misticismo, abietto affarismo, bramosia di soldi, vestiti, pellicce, gioielli, imbarcazioni da diporto […] la Giorgini ha operato con la consapevolezza di conseguire fini delittuosi». Insomma con questa sentenza Ebe Giorgini viene condannata alla pena complessiva di anni 10 e mesi due di reclusione e L. 1.800.000 di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici, nonché, a pena espiata, alla libertà vigilata per la durata di anni tre ai sensi dell’art. 417 c.p. Bene direte, e invece no perché passa un anno e la Corte di Appello di Torino ribalta il verdetto: oltre a tutta una serie di assoluzioni per insufficienza di prove a carico dei suoi sodali in primo grado condannati, la Corte di Appello in parziale riforma della sentenza appellata dichiara di non doversi procedere nei confronti di Giorgini Ebe (e altri) in ordine al reato di cui all’art. 393 c.p. perché l’azione penale non può essere esercitata per difetto di querela e riduce la pena inflitta a sei anni di reclusione e L. 1.800.000 di multa sostituendo la interdizione permanente dai pubblici uffici con quella temporanea nonché, dispone la Corte di Appello, che al posto della custodia in carcere la Giorgini Ebe rimanga in stato di arresto nella sua abitazione fatte salve le sue esigenze di cura. La Suprema Corte di Cassazione confermerà.

Ma ci vuole ben altro per fermare Mamma Ebe tanto che nel 1986 la ritroviamo di nuovo nei guai e viene arrestata e poi condannata per accuse analoghe, a Roma, ad otto mesi di reclusione. Nel novembre del 1988 altro arresto a Morlupo, mentre si trovava nella sua bella villa sulla Flaminia.     Truffa, falso in bilancio, abbandono di malati, somministrazione di stupefacenti. Possono “poche” condanne fermare “l’unta del Signore”? Sicuramente no, soprattutto se la sua attività di umile “guaritrice”, svolta in nome di Dio è fonte di entrate stimate in circa cinque milioni di lire al giorno. Ma inspiegabilmente per Mamma Ebe la giustizia ha fatto quasi sempre ricorso all’applicazione della misura degli arresti domiciliari. È il 6 novembre 1992 quando il Tribunale di Roma l’assolve dall’accusa di essere la promotrice di una associazione dedita alla circonvenzione di anziani. Nel 2002, però, viene ristretta nel carcere della Dozza di Bologna con le solite e gravi accuse di associazione per delinquere, esercizio abusivo della professione medica, falso ideologico in ricette, truffa, maltrattamento di bambini, sequestro di persona. Con lei vengono arrestati ventotto “collaboratori” Il processo si svolge questa volta a Forlì. Siamo nel 2008 quando viene emessa sentenza, (precisiamo, ancora non definitiva) nelle conclusioni della quale possiamo leggere «relativamente alla Giorgini si tratta di persona pluripregiudicata per reati della stessa indole, ricoprenti un lunghissimo lasso di tempo, di tal che può ben affermarsi che la stessa ha improntato la propria vita alla commissione di reati aventi la stessa natura ed indole di quelli per cui si procede. le plurime e gravi sentenze emesse in passato a suo carico si sono rivelate di una tale inefficacia nel riportarne il vivere su canoni di legalità. Vi è anzi una sovrapposizione delle condotte e dei valori di cui si ritiene portatrice rispetto a quelli consentiti dall’ordinamento giuridico ed affermati nelle citate sentenze . Il tasso di antidoverosità e di intensità del dolo è altissimo. la pericolosità sociale della medesima altrettanto grave, soprattutto in quanto persona dotata di capacità di attrarre a sé e suggestionare altre persone». Risultato è la condanna ad anni 7 di reclusione e confisca delle quote di sua proprietà della Corallo srl (società proprietaria degli immobili dove Mamma Ebe viveva e operava). Dimenticavo… non penserete che mamma Ebe se ne sia stata ospite della “Dozza” per tutto questo tempo vero? Al processo ci arriverà libera.La Corte di Appello di Bologna ha modo di pronunciarsi il 22.6.2010 dichiarando di non doversi procedere nei confronti della Giorgini per alcuni reati ormai prescritti e quindi rideterminando la pena in anni 6 di reclusione.

La sentenza della Corte di Appello di Bologna (le cui motivazione non sono ancora state depositate) però arriva in un momento poco felice per Mamma Ebe in quanto poco giorni prima, in data 11.6.2010, la santona di Carpineta è stata nuovamente arrestata dai carabinieri di Pistoia assieme al marito e ad un collaboratore e le accuse non sono diverse da tutte le altre: l’associazione fondata da mamma Ebe denominata “Opera di Gesù Misericordioso” sembrerebbe essere (il condizionale è dovuto in fase di indagini preliminari) una associazione per delinquere finalizzata all’esercizio abusivo della professione medica ed alla truffa aggravata. Lo scenario è sempre lo stesso, da come abbiamo letto sulle cronache, gli investigatori parlano di benedizioni, esorcismi, massaggi purificatori, medicinali miracolosi fai da te, i compensi per le prestazioni fra 50 e 100 euro. E il valore dei beni sequestrati? Sembra che ammonti a oltre i 10 milioni di euro. (compresa una villa con ben 19 stanze). Come andrà a finire questa vicenda non ci è dato sapere, ci saranno ancora gli arresti domiciliari dietro l’angolo?

Certo che a questo punto una riflessione è d’obbligo. Che fine ha fatto la certezza della pena nella nostra Nazione? Si può essere condannati per reati associativi, truffe, esercizio abusivo di professione medica e quant’altro e continuare nella propria attività delittuosa in attesa che la sentenza passi in giudicato (con i tempi secolari che la giustizia si concede) magari operando comodamente da casa? Di sicuro la presunzione di innocenza sancita dal dettato Costituzionale è valore fondante dello Stato Italiano, ma è lecito chiedersi cosa può far ritenere che, per esempio, la reiterazione del reato sia scongiurata con la concessione degli arresti domiciliari per una persona che di fatto usa la propria abitazione come “luogo di lavoro”…? Magari poi verrà fuori che a forza di arresti domiciliari (da computarsi nel residuo di pena da scontare) Mamma Ebe avrà pagato il suo debito con la giustizia. E allora… via, libera come il vento, pronta per tornare al lavoro.

Si fa un gran parlare di certezza della pena, ma di fatto la pena spesso e volentieri viene comminata nella consapevolezza che comunque la legge offre tutta una serie di strumenti volti ad eluderne la sua applicazione pratica. E così in nome di una legislazione “garantista” tutta tesa alla tutela del condannato ci si dimentica della persona che dal reato viene offesa. Certo la lentezza dei processi non aiuta. Anche Mamma Ebe ne ha beneficiato se consideriamo che durante le more dei vari processi alcuni dei reati contestati sono andati in prescrizione, il che ha consentito una diminuzione di pena. E se consideriamo che più la pena “si abbassa” più è facile che non venga effettivamente scontata … È sì perché il sistema è pieno di escamotage: basta avere un po’ di pazienza e fra arresti domiciliari e liberazione anticipata (cui hanno diritto i detenuti che “si comportano bene” e che comporta una riduzione di pena di 45 giorni ogni 6 mesi) la detenzione in carcere può essere sostituita dalla “espiazione” in regime di detenzione domiciliare, in affidamento ai servizi sociali, oppure in stato di semilibertà ecc…

Questo riporta alla mente il film dedicato a Mamma Ebe girato da Carlo Lizzani nel 1985. Il finale del film (se non ricordo male) lasciava allo spettatore il dubbio sulla colpevolezza e quindi sulla giustizia o meno dell’entità della condanna inflitta in primo grado a Mamma Ebe dal Tribunale di Vercelli: 10 anni. Pochi se è veramente colpevole, ma se fosse innocente? Sarebbero tantissimi.

Certo, è così, ma se vogliamo che la giustizia faccia il suo corso dobbiamo toglierci la maschera dell’ipocrisia e ritenere che se una pena è stata inflitta da chi è competente a farlo in nome del Popolo Italiano, allora quella pena, una volta divenuta definitiva, perché abbia efficacia deterrente, deve essere scontata per intero.

Fiore e Ombre - cc mbd.marco

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