La psicologia investigativa e la criminalistica sulla scena del reato

 In ScienzeForensi, Anno 2, N. 4 - dicembre 2011

Nell’ultimo decennio l’analisi della scena del crimine e delle attività di Polizia Giudiziaria ad essa correlate, hanno riscosso l’interesse di una notevole platea di non addetti ai lavori, grazie al connubio offerto dall’efferatezza di certi reati -alcuni dei quali avvenuti nel nostro paese- e dalla conseguente esposizione mediatica a mezzo di serial televisivi, monografie, fumetti, talk show e videogame. La forensic awareness [1] non solo ha determinato la creazione di corsi universitari e di associazioni operanti nel settore forense ma, ha contribuito ad influenzare anche le condotte criminali: difficilmente ora verrà individuata una pistola in un pattumiera nelle vicinanze del luogo di un delitto, salvo che lo stesso sia stato compiuto d’impeto, oppure, considerando episodi di cronaca nazionale, si ricorderanno le accortezze utilizzate dalle nuove B.R. in occasione degli omicidi Biagi e D’Antona. E ancora, i terroristi, nei casi citati, ponevano il polistirolo all’interno dei caschi da motociclista per evitare che formazioni pilifere fossero rinvenute al loro interno; sui polpastrelli delle dita veniva applicato del nastro adesivo al fine di evitare il deposito di essudato papillare all’interno dei guanti in uso durante i crimini.

La maggiore presa di coscienza dell’approccio scientifico alla scena del reato da parte degli organi inquirenti ha, di contro, comportato la creazione di nuovi modelli comportamentali da parte dei gruppi criminali. Un episodio recente in tal senso è l’utilizzo “anomalo” del proprio arsenale da parte del gruppo di Setola, nel Casertano, il quale dopo aver commesso i delitti provvedeva a riassemblare alcune componenti delle armi utilizzate al fine di manipolare[2] i congegni di estrazione o di espulsione dei proiettili, per inficiare gli accertamenti balistici sui reperti che sarebbero poi stati rinvenuti durante i sopralluoghi[3].

L’importanza assunta dalla prova scientifica ha nel tempo quasi soppiantato quella testimoniale facendo vacillare la definizione di “prova regina” già attribuita sia ai verbali testimoniali che al ritrovamento dell’arma del delitto. Un esempio di ciò è lo stupro nel parco della Caffarella a Roma[4], in cui le testimonianze a carico del principale indiziato sono state “smontate” dal confronto tra i patrimoni genetici repertati sulla scena del reato ed assunti a carico dell’indagato. Se si proiettasse l’analisi dello stesso episodio ad alcuni anni addietro, la possibilità di ottenere una condanna a carico del principale indiziato solo sulla scorta delle testimonianze delle vittime, sarebbe stato sicuramente molto elevata.

Tutto ciò contribuisce a sottolineare l’importanza che assume il sopralluogo giudiziario fin dai primi momenti, ossia da quando il first responder, l’unità che per prima giunge sul luogo del reato, provvede a delimitare la stessa ed ad adempiere agli obblighi imposti dal Codice di Procedura Penale. La scena del reato, quindi, rappresenta l’ideale punto di congiunzione tra la criminalistica, che attraverso individuazione, il repertamento ed l’analisi delle tracce presenti sul luogo, si propone l’identificazione dell’autore di reato, e la criminologia, scienza multidisciplinare che, sulla scorta di varie teorie e scuole di pensiero succedutesi nell’ultimo secolo (in particolar modo di natura antropologica e psicologica) cerca di fornire un proprio contributo allo studio della personalità del reo e delle motivazioni che lo hanno condotto all’agito posto in essere, nonché agli eventuali rapporti tenuti con la vittima.

Sulla scena del crimine[5]

L’approccio sistematico alla crime scene ha inizio con la delimitazione della stessa da parte della pattuglia intervenuta per prima sul luogo: nella maggior parte dei casi gli stessi agenti non sono dotati di particolari qualifiche e l’esiguità del proprio numero, in genere due o tre, permette solamente di interdire l’accesso alla zona d’interesse provvedendo ad acquisire notizie e generalità di eventuali testimoni, notiziare il magistrato e dare comunicazione degli accadimenti al proprio comando, che provvederà ad inviare sul posto una squadra per i rilievi tecnici[6] ed i rinforzi necessari per la centuriazione dell’area e l’inizio dell’attività investigativa. Su tali aspetti, rimane da precisare l’enorme importanza che essi rivestono nell’espletamento di un corretto inquadramento preliminare della crime scene, che, sulla scorta di quanto è stato possibile desumere anche da fatti di cronaca che hanno recentemente assorbito gran parte delle rubriche mediatiche dedicate, potrà incarnare un ruolo decisivo, riverberandosi non solo su tutto il prosieguo delle indagini di P.G. e sulla possibile proiezione delle relative risultanze in sede dibattimentale, ma anche nell’eventualità di acquisizione probatoria mediante l’istituto di cui agli artt. 218 e 219 c.p.p., esperimento giudiziale, sia in corso di incidente probatorio che nel dibattimento medesimo. In tal senso, il modus operandi investigativo, che prende le mosse dall’esame delle “7 golden W[7], fornisce la reale portata dell’importanza cui assurge la fissazione della crime scene mediante procedimenti finalizzati alla registrazione tecnica di natura minuziosamente conservativa dello stato dei luoghi e di tutte le sue pertinenze: il complesso delle attività, quindi, è preordinato e precedente o, in casi selezionati, contestuale agli accertamenti urgenti disciplinati dal c.p.p. (ripetibili e, id quod plerumque accidit, irripetibili e pertanto cruciali sia in fase extradibattimentale che dibattimentale).

Si può agevolmente dedurre quale sia la reale portata di un complesso organico di atti e condotte impeditivi, ove si consideri l’alterazione della crime scene, e dunque posti in essere allo scopo di esperire una corretta attuazione dei compiti legati, secondo la letteratura internazionale più accreditata, ai protocolli d’intervento[8].

Importante risulta essere la tipologia di reato per il quale è stato richiesto l’intervento, poiché ad esso è correlata la comparsa sulla scena di varie figure professionali. Nel caso di un omicidio, ad esempio, è possibile la compresenza di: Forze di Polizia, Magistratura, Medico legale, operatori del soccorso, quali Vigili del fuoco, Servizio sanitario, oltre a curiosi e parenti della vittima. In tal caso è importante provvedere all’identificazione dei convenuti stendendo una prima cronologia degli avvenimenti, così come vista dai protagonisti stessi. L’escussione dei testimoni, fatta in prima facie dal first responder, sarà portata avanti dal Magistrato di turno o dall’Ufficiale di Polizia Giudiziaria da lui delegato, il quale terrà contò dell’attendibilità delle dichiarazioni e della ricchezza dei contenuti, individuando eventuali resoconti utili all’attività investigativa. I relativi verbali costituiranno gli allegati, unitamente al fascicolo del sopralluogo, alla comunicazione di notizia di reato per la Procura della Repubblica competente per territorio. Questa fase è fondamentale non solo dal punto di vista criminalistico ed investigativo ma anche dal punto di vista giurisprudenziale poiché coincide con l’inizio delle indagine preliminari ed i dati raccolti confluiranno nel fascicolo del dibattimento[9].

In un primo momento veniva accennata l’eventuale presenza dei Vigili del fuoco o di altri operatori di soccorso sulla scena di un crimine violento. L’intervento delle unità di soccorso spesso può comportare la perdita di elementi importanti per il proseguo dell’attività investigativa; l’incendio potrebbe essere stato appiccato per cancellare tracce utili alle indagini oppure per simulare eventuali incidenti; esempi di entrambi i casi vengono offerti nella cronaca nazionale dalla strage di Erba[10]. L’opera portata avanti dai sanitari, comporta non solo una parziale contaminazione della scena (presenza di impronte di calzature, possibilità per gli operatori di rimuovere/spostare oggetti utili per i rilievi), ma anche sulla vittima. A tal proposito, si consideri, ad esempio, un cadavere giacente riverso sul pavimento colpito più volte al petto con un’arma da taglio: il personale sanitario nell’intervenire girerà il corpo provvedendo a strappare gli indumenti indossati per facilitare le operazione medicamentali ed in questo caso, probabilmente, la presenza di lacerazione nei capi indossati viene vista positivamente dal personale accorso poiché facilita l’attività di rimozione degli stessi. Le contaminazioni poste in essere potrebbero, quindi, interessare più macroaree:

  1. Ambientale: l’approccio alla scena del crimine non è avvenuta indossando dispositivi di protezione individuali, quali ad esempio i copri-calzari, per evitare un inquinamento del luogo ove è presente il cadavere. Giova precisare come il personale[11] che interviene spesso non conosca la reale entità del problema, poiché primariamente interessato a salvare vite umane piuttosto che a preservare tracce.
  2. Criminologica: la posizione del cadavere aiuta a ricostruire eventuali relazioni esistenti con la vittima così come l’arma utilizzata e la parte del corpo attinta. Nel caso di specie, la posizione del corpo è mutata in funzione del soccorso prestato quindi bisognerà attenersi alle dichiarazioni testimoniali oppure all’analisi della scena.
  3. Criminalistico; una contaminazione che abbia interessato direttamente il cadavere (i soccorritori hanno provveduto a liberarne il corpo dagli indumenti, lacerandoli) ha sicuramente comportato la perdita di informazioni sul contatto tra la vittima e l’omicida. Per non parlare del materiale biologico, non solo della vittima ma anche del suo aggressore, formazioni pilifere o fibre che possono essere state trasferite da un corpo all’altro durante lo scontro (principio di Locard).

La problematica maggiormente correlata a questa prima fase è quindi rappresentata dalle possibili contaminazioni esterne, per cui il personale che interviene per esperire i rilievi tecnici utilizza appositi dispositivi di protezione al fine di prevenirle. I primi soccorsi, e lo scongiurare di ulteriori pericoli, hanno invece priorità diverse dalla salvaguardia delle tracce, anche se rimane importante la preservazione dell’area da ulteriori contaminazioni esterne, che, in ogni caso devono essere fotografate ed annotate, per avere una visione globale della situazione. Naturalmente l’approccio alla scena differirà in relazione alla zona d’intervento e tali differenze saranno enfatizzate in sede di stesura del relativo verbale di sopralluogo e del fascicolo fotografico: nel primo caso si provvederà a fissare lo stato dei luoghi mediante una accurata descrizione, scevra da elementi soggettivi, degli ambienti interessati procedendo dal generale al particolare, annotando sede, forma e dimensioni di quanto viene a trovarsi. L’attività descrittiva procederà di pari passo con quella di repertamento e foto-documentazione, al fine di trasferire a terzi la ricostruzione dell’ambiente al momento dell’intervento. Il fascicolo fotografico deve presentare scatti sequenziali, ripresi da diverse angolature per meglio descrivere lo stato d’insieme ovvero i particolari riscontrati, anche adoperando una serie di accessori per la specifica attività.

Accanto ad una documentazione meramente fotografica potrebbe risultare conveniente procedere alla videoregistrazione della scena, dal perimetro verso la posizione del cadavere, adoperando il cavalletto, sfruttando uno zoom lento per i tratti stretti che si potrebbero trovare. Nel caso di analisi di un ambiente esterno, è inevitabile che l’area d’interesse sia più vasta, specie in relazione a cosa si sta cercando e ciò dipende sempre dalla tipologia di reato: eventuali complicazioni potrebbero essere date sia dal contesto morfologico che dalle condizioni atmosferiche nonché dalle ore di luce ancora a disposizione, riservandosi ulteriori ricognizioni in condizioni più favorevoli. Da ricordare che secondo l’art. 113 delle norme di attuazione del c.p.p., nei casi di particolare necessità e urgenza gli atti previsti dall’art. 354 c.p.p. possono essere compiuti anche dagli agenti di Polizia Giudiziaria, al fine di evitare la dispersione o l’alterazione delle tracce. Il first responder provvederà a delimitare l’area d’interesse, che non sempre corrisponde al solo ambiente dove è presente il cadavere, poiché l’assassino sarà sicuramente entrato in quel locale e ne sarà anche uscito ma non necessariamente i due percorsi debbono corrispondere, ovvero debbono coincidere con quelli “tradizionali”.

L’operatore di polizia si troverà davanti una scena del crimine complessa[12]: zona primaria dove il delitto si è compiuto, zona secondaria sita nelle sue immediate pertinenze, zona d’interesse investigativo poiché il reo vi è transitato per giungere alle precedenti aree. Da questa rapida descrizione si evince come la differenza pratica negli ambienti interessi solo le modalità operative da attuare e la stesura dei relativi verbali: l’azione infatti ha inizio, nella maggior parte dei casi, in una zona periferica per poi giungere al culmine nella zona primaria e terminare nuovamente in periferia. L’esame dell’ambiente si sposta poi nelle pertinenze della scena del delitto descrivendo gli accessi alla stessa: atri, cortili, finestre, scale, corridoi, dove verranno particolarmente osservati le pareti ed i pavimenti con tecniche a luce radente o incidente, mediante fonti di luce artificiale, per individuare ed asportare impronte di calzature o digitali/palmari latenti. Seguirà quindi la descrizione/rimozione del cadavere.

L’area in cui si trova il corpo sarà oggetto di attenta analisi. Qui saranno individuati e raccolti tutti gli oggetti presenti ed anche in questo caso è importante congelare la scena[13] e fissare i particolari mediante l’apposizione di lettere/numeri. Le valutazioni raccolte durante il sopralluogo consentiranno di cercare altre tracce: ad esempio se viene individuato un bossolo è logico prevedere che l’ogiva sarà conficcata in qualche parete o comunque presente all’interno del locale stesso e questo dipenderà anche dal risultato di una prima ispezione del cadavere dove, in questo caso, sarà presente un foro di uscita, oppure il corpo risulterà essere stato attinto da un numero di proiettili non corrispondenti ai bossoli esplosi. Un ulteriore considerazione, utile nel caso in cui sul luogo non vi sia traccia dell’arma utilizzata, potrà interessare la pistola adoperata: se presente un bossolo l’arma sarà una semiautomatica e non una pistola a tamburo, nel caso di incongruenza tra il numero dei bossoli ed i segni sul cadavere non può essere escluso l’utilizzo di più armi, sul calibro sarà d’aiuto la relazione autoptica e le analisi di laboratorio.

Dall’osservazione dell’ambiente si può risalire ad eventuali segni di colluttazione. A tal proposito importante è preservare le mani del cadavere, poiché gli arti, utilizzati per la difesa e l’attacco, potrebbero essere stati attinti da armi bianche, sia di punta che da taglio, e quantomeno le unghie risulterebbero depositarie di materiale utile per estrarre il DNA dell’aggressore. Le mani possono essere protette mediante l’uso di sacchetti di carta opportunamente predisposti. L’eventuale presenza di ecchimosi sul cadavere sottolinea il contatto avuto tra i due soggetti; studi portati avanti in alcuni nosocomi nazionali[14] sostengono la possibilità di ricavare da questi il profilo genetico dell’aggressore. L’analisi in questione però dovrebbe essere compiuta in tempi brevissimi dal decesso. L’operazione appena descritta è molto simile all’analisi delle impronte papillari presenti sul cadavere ed ascrivibili all’assalitore, tale metodologia, che consiste in un processo chimico di esaltazione delle impronte papillari mediante fumigazione di cianoacrilato, sembra essere apprezzata negli U.S.A., ma non in Italia; tale attività è fortemente invasiva e probabilmente questo diniego, più culturale che operativo, è probabilmente frutto della differente concezione religiosa sull’utilizzo del corpo del defunto[15].

Importanti sono gli indumenti presenti sulla vittima: alcuni di questi capi possono assumere una differente valenza in relazione alla tipologia delittuosa. Nel caso di omicidio a sfondo sessuale, ad esempio, maggiore rilevanza potrebbero averla gli indumenti intimi del cadavere poiché depositari di materiale organico, nel caso di colluttazione invece, i capi “esterni” vengono maggiormente interessati dall’evento, determinando se il corpo può essere stato spostato, svestito/vestito e messo in una certa posizione individuando le zone che possono essere state toccate dall’autore. La natura delle tracce individuate può aiutare l’investigatore e l’Autorità Giudiziaria a comprendere la dinamica dei fatti e la tipologia della scena se “organizzata” o “disorganizzata”, ma di questo si parlerà meglio nel successivo capitolo.

Aspetti patologici forensi[16]

Particolare rilevanza possono assumere alcuni accertamenti patologico-forensi: l’ispezione cadaverica è latrice di esaustive informazioni bio-mediche, uniche ed insostituibili anche per l’intrinseco valore probatorio non di rado dirimente nell’accertamento della verità processuale. L’atteggiamento del cadavere ed il rilevamento dei parametri tanato crono diagnostici (e le relative condizioni ambientali) costituiscono mero esempio dell’importanza di un’inalterata crime scene ai fini di un’attendibile ricostruzione delle circostanze del reato anche da un punto di vista processuale penalistico. Più in dettaglio, si osservi che, ai soli fini dell’analisi dell’algor mortis come segno abiotico consecutivo, esistono numerose variabili in grado di influenzarne l’andamento, siano queste intrinseche (cioè proprie del cadavere) od estrinseche (ambiente esterno al cadavere). In relazione alle prime, un ipotetico intervento esterno, che causi l’alterazione della posizione del cadavere, sarebbe autonomamente in grado di modificare la dispersione termica post-mortale, il cui andamento è influenzata dalla superficie di esposizione all’aria della cute (talché, nella posizione fetale essa risulta inferiore rispetto a quella supina con arti abdotti). Inoltre, per quanto attiene alle variabili estrinseche, la temperatura ambientale (ad esempio un corpo riverso su piastrelle con tubature di acqua calda sottostanti), può incidere marcatamente sul raffreddamento cadaverico (ad esempio un cadavere posto in un microclima quale ambiente confinato in cui l’impianto di riscaldamento sia disattivato artatamente da chi abbia interesse ad inquinare lo stato dei luoghi ovvero inavvertitamente dai primi operatori giunti sulla crime scene): incidono, in questa direzione anche , l’umidità e la ventilazione (finestre aperte o chiuse), gli indumenti od eventuali mezzi di copertura del cadavere come coperte (incremento dello stato di “area privata” con ostacolo alla dispersione termica) e simili. Ben si comprende, dunque come le eventuali citate manipolazioni, possano potenzialmente apportare artefatti nella determinazione dell’epoca della morte, in quanto – ove si faccia riferimento al nomogramma (trattasi di un dispositivo per il calcolo grafico approssimato di funzioni) di Henssge[17] – causative di dati non veritieri riguardo alle condizioni di raffreddamento del cadavere.

Ed ancora, gli sviluppi contemporanei delle tecniche d’investigazione scientifica in ambito forense, frutto di ricerche incessanti, e condotte in modo del tutto preponderante fuori dai confini nazionali, generate dall’ammodernamento e dall’affinamento delle indagini strumentali e bio-molecolari, rendono basilare il rigido esperimento delle operazioni di fissazione in esame. Infatti, senza entrare in un dettaglio tecnico che esulerebbe dagli scopi precostituiti in questa sede, molteplici indagini possono risultare completamente vanificate dall’intervento esterno e/o inappropriato sulla crime scene. In proposito, è interessante operare sintetici riferimenti:

  1. La B.P.A. (Blood Pattern Analysis), disciplina scientifico-forense dedicata all’analisi polidimensionale delle macchie e tracce di sangue, ha conosciuto nel tempo apporti tali da divenire uno strumento investigativo, accentrato sulla dinamica dell’evento criminoso, di peculiare vantaggio ed attrattiva. Questo specifico settore d’indagine si avvale oggi dell’impiego di conoscenze multidisciplinari afferenti alla chimica, alla biologia, alla fisica ed alla matematica, allo scopo di offrire elementi d’integrazione (origine delle macchie, distanza del punto di contatto esterno dalla fonte, direzione del getto, zone vuote[18], complemento nella definizione cronologica dell’evento morte etc.) che transitano nelle sedi deputate alla formazione della prova, non soltanto recanti autonomo valore, ma potenzialmente anche in grado di incidere in senso positivo (conferma) o negativo sui mezzi di prova di cui al libro III, titolo II del c.p.p. (veridicità di fatti narrati da testimoni escussi). Resta da considerare il ruolo di eventuali manipolazioni della crime scene in tema di formazione delle tracce e macchie (a titolo esemplificativo si consideri la commistione di superfici e con superfici anche assorbenti, schiacciamento di goccia con spandimento di materiale ematico contenuto).
  2. Il rilevamento di DNA da contatto (Touch Dna o Trace Dna), che attiene a quantità di Acidi Nucleici rinvenibili su molteplici tipologie di superfici, dure e non, depositate per contatto ed estratto dalle cellule epiteliali del donatore. Il materiale in questione, usualmente di scarsa entità, può generare il profilo genetico del donatore mediante metodica Low Copy  Number DNA (o Low Template, LCN-DNA) ovvero una maggiore amplificazione del DNA attuata con incremento dei cicli di PCR (circa, da 28-30 a 34) in modo tale da poter ottenere detto profilo anche da poche cellule epiteliali: la metodica in esame si caratterizza proprio per la quantità di DNA estratto, al di sotto del range previsto dai comuni kit commerciali (500 pg – 2,5 ng). In altre parole: la LCN-DNA trova applicazione allorché siano estratte quantità <100 pg (corrispondenti a ~15-17 copie diploidi di DNA nucleare come STR) ovvero, secondo alcuni autori <200 pg. Siffatta tecnica può, tuttavia, presentare esiti non attendibili per motivi intrinseci quali, a titolo esemplificativo, lo sbilanciamento allelico per loci eterozigoti fino al drop-out allelico (effetti stocastici che inficiano la PCR determinando l’amplificazione preferenziale ovvero la mancata amplificazione di uno dei due alleli in eterozigosi, con conseguente falsa omozigosi) ed estrinseci come il drop-in allelico (contaminazioni, in senso lato[19]): il risultato può, in maniera paradigmatica, essere sintetizzato dall’ormai famoso Omagh Bombing Trial (2007, UK) nato dalla deflagrazione, di stampo terroristico, di un ordigno esplosivo in una piazza dell’omonima cittadina nordirlandese (Omagh) in cui perirono dozzine di ignari convenuti. Nella celebrazione del quale, il Giudice Weir ritenne non affidabile l’utilizzo della metodica dopo averne richiesto ed ottenuto una disamina tecnica, inducendo la “Association of Chief Police Officer” a bandire la Low Template DNA fino alla reintegrazione avvenuta nel 2008, sulla scorta di un rapporto tecnico redatto dal Prof. B. Caddy a circa un mese dalla sospensione. Analogamente, negli USA, accese discussioni si sono succedute intorno alla compatibilità della metodica con i parametri di ammissibilità della prova scientifica statuiti, in primis, dalla “Frye Standard” e dalla “Daubert Standard”. La puntuale conservazione dello stato dei luoghi, delle adiacenze e dei reperti, pertanto, riveste un ruolo potenzialmente dirimente a tale scopo. Si pensi alla scelta tra il rilevamento di un’impronta digitale su polvere – procedimento notoriamente difficoltoso – e l’acquisizione di materiale idoneo a consentire l’attuazione della suddetta tecnica per l’identificazione del profilo genetico; le due indagini, per l’utilizzo di composti degradanti il reperto, potrebbero risultare mutuamente esclusive ed integranti, dunque, gli accertamenti tecnici irripetibili di cui all’art. 360 c.p.p.

Altre tecniche d’investigazione scientifica, meno conosciute e citate per economia di discorso, risentono a volte, irrimediabilmente, dell’alterazione della crime scene: l’analisi palinologica, il rilevamento di campioni e dati utili per lo studio micologico ed entomologico forense, l’analisi dei campioni di terra[20], l’identificazione di orecchio, le impronte di labbra[21], sono un esempio di ciò.

*Si ringrazia per la collaborazione nella stesura del presente lavoro, Jonathan Le Donne

 

BIBLIOGRAFIA

AA. VV. (2004), La polizia scientifica 1903-2003, Laurus Robuffo, Roma.

Donato F. (1996), Criminalistica e tecniche investigative, Olimpia, Firenze.

Paceri R. (1992), La polizia scientifica, terza ed., (riveduta) da Salvatore Montanaro, Laurus Robuffo, Roma.

 


[1]Forensic Awareness è un temine inglese che indica l’acquisizione da parte dei non addetti ai lavori della terminologia e della natura degli accertamenti svolti sulla scena criminis e nei laboratori della Polizia Scientifica sinonimo dello stesso è “effetto CSI” traendo la propria denominazione dall’omonima serie televisiva U.S.A.

[2]Uno dei delitti in questione interessa la strage di Castelvolturno nel settembre 2008, in cui furono uccisi 6 immigrati; la procura della Repubblica ha ipotizzato per la prima volta il reato di strage con l’aggravante delle finalità terroristiche e dell’odio razziale.

[3]Il c.p.p. non fa mai espresso riferimento al sopralluogo giudiziario, ma rimanda l’attività investigativa alle “funzioni della P.G.”, art. 55, ed “all’assicurazione delle fonti di prove”, art. 348, nel primo caso viene enunciato “la Polizia Giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati -art. 347 c.p.p.-, impedire che vengono portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova -art. 348 c.p.p.- e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”; All’art. 348 invece “anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la Polizia Giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate all’articolo 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e all’individuazione del colpevole” a tal fine procede alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato, nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi. Ulteriori riferimenti nomativi vedono protagonisti gli accertamenti sul luogo, cose e persone e la documentazione prodotta. L’art. 354 c.p.p. “accertamenti urgenti sul luogo del reato, sulle cose e sulle persone” vede l’intervento suddiviso in 3 momenti: 1° fase, congelamento, la Polizia Giudiziaria cura che tracce e cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non venga mutato prima dell’intervento del P.M.; 2° fase, rilievi, se vi è pericolo che cose, tracce e luoghi si deteriorino o disperdano, ed il P.M. non può intervenire o non ha assunto la direzione delle indagini, gli U.P.G. compiono i necessari rilievi sul corpo del reato e sulle cose ad esso pertinenti, nella 3° fase abbiamo invece i rilievi sulla persona purché non comportino degradazione morale.

[4]Il crimine in questione è avvenuto il 14 febbraio del 2009 ai danni di una coppia di ragazzi, lei 16 anni, lui 14, maggiori informazioni sul caso sono reperibili: www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/02/stupri-mantovano-decreto-legge.shtml?uuid=d7af3760-fc14-11dd-aa51-fb4590718d0e&DocRulesView=Libero&correlato

[5] Di Marascio S.

[6]La Cassazione il 20.11.2000, V° sez., denota: con rilievo s’intende la semplice individuazione, raccolta e conservazione delle tracce, mentre con accertamento si evidenzia uno studio critico sui dati raccolti terminati con l’elaborazione di una relazione finale. Cit. Ercole Aprile, prof. Diritto processuale comparato e internazionale presso l’Università di Salerno, relazione “Formazione decentrata del distretto della Corte di Appello di Salerno” del 04.07.2003.

[7]Acronimo che indica le domande cui l’inquirente deve dare una risposta: What happened, When, Where, With what, in Which manner, Why, Who? Quindi: cosa è successo, quando, dove, con che cosa, in che modo, perché e chi lo ha commesso?

[8]Si pensi alle modalità previste in sede di network internazionali quali l’E.N.F.S.I. (European Network Forensic Sciences) oppure all’Interview, Examine, Photograph, Sketch, Process, quale check list contenuta ed articolata anche nella “crime scene reminder card” dell’ICSIA (International Crime Scene Investigators Association).

[9]Il codice prevede la creazione di questo fascicolo da parte del G.I.P. nel momento in cui egli dispone il giudizio mediante l’emissione dell’apposito decreto, unitamente al fascicolo del pubblico ministero, lo stesso codice indica quali sono gli atti da far confluire e tra questi rientrano i rilievi ed i repertamenti eseguiti dalla P.G. o dai consulenti tecnici poiché atti irripetibili, art. 431 c.p.p. La differenza tra accertamento ripetibile e non può interessare sia le cose, ad esempio l’esaltare le impronte papillari all’interno di una vettura mediante procedimento chimico oppure individuare la matricola abrasa di un arma – modalità fortemente invasive che modificano lo stato degli elementi considerati -, che persone, esame autoptico. Anche il corpo del reato e le cose ad esso pertinenti – art. 253 c.p.p. – vengono inserite nel fascicolo, lo stesso è alla base del concetto di formazione della prova in sede dibattimentale, ulteriore innovazione è stata introdotta in questo campo dalla legge per le indagini difensive, l.397/2000, la quale disciplina l’accesso ai luoghi con l’art 391 sexies c.p., e la creazione del fascicolo del difensore al 391 octies c.p.

[10]L’episodio risale all’11 dicembre 2006 in cui persero la vita i componenti di un intero nucleo familiare: Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la Sig.ra Paola Galli, madre della Castagna, e Valeria Cherubini, vicina di casa delle vittime; dopo gli omicidi l’appartamento è stato incendiato. Il 03 maggio 2011 la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’impianto accusatorio a carico degli imputati, i coniugi Romano.

[11]Articolo:“Infermieri laureati a scuola dagli investigatori dell’Arma.”

[12]La fase analitico-descrittiva della scena del crimine spetta alla Polizia Giudiziaria ed interessa non solo il luogo dove il crimine materialmente si è compiuto ma tutte le pertinenze annesse, ai sensi della circolare n.ro 1667 del 24 luglio 1910 del Ministero di Giustizia: sono da considerare impronte “tutte quelle tracce che si possono riscontrare nel cadavere, nel pavimento, nelle pareti, nei vetri, negli usci, negli oggetti, sulla strada lasciate dalle mani, dai piedi – nudi o calzati – dai denti, dagli strumenti adoperati.” Gli intendimenti della circolare citata sono stati riproposti da Armando Palmegiani – E.R.T. (Esperti Ricerca Tracce) Servizio Polizia Scientifica della Polizia di Stato – durante il seminario di approfondimento “Serial killer-fenomenologia dell’omicidio seriale ed il caso del mostro di Firenze” Napoli, gennaio 2008: “la scena del crimine è il punto di congiunzione tra la criminalistica e la criminologia qui vi sono 3 differenti zone: la scena del crimine primaria, dov’è avvenuto il fatto delittuoso, la scena del crimine secondaria, in prossimità della precedente e la zona d’interesse investigativo poiché l’autore vi è sicuramente transitato”.

[13]Cit. Dott.ssa Alessandra Bucci, V.Q.A. della Polizia di Stato, Questura di Genova, Squadra Omicidi, nell’intervento “L’indagine in caso di omicidio” presso il Convegno “Sulla scena del crimine problematiche investigative e possibili soluzioni” tenutosi a Sestri levante il 29.05.2010: “in relazione all’ambiente vi sono degli elementi che potrebbero subire delle variazioni come l’umidità, la ventilazione, il traffico, il tutto ovviamente per un area esterna; odori, stato in cui si trova il pavimento, le  luci, gli accessi, questo per un ambiente chiuso; cofano motore caldo/freddo, leva del cambio, tachimetro e fari per una vettura”.

[14]Cit., Gen. CC Luciano Garofano, già comandante del R.I.S. di Parma, ora in quiescenza, al seminario di studi “Le attività sulla scena del crimine – la prova scientifica: situazione attuale e prospettive future, l’intervento della P.G. e la preservazione delle prove”, organizzato dall’European Association of Police, Rimini, 16.05.09. Nel corso del seminario l’ufficiale dell’Arma, all’epoca ancora in servizio attivo, faceva riferimento ad alcuni esperimenti in tal senso che erano stati portati avanti – in alcuni casi positivamente – presso strutture sanitarie torinesi. A tal proposito il Ten. Col, Gianfranco De Fulvio, Comandante del Reparto Dattiloscopia Preventiva di Roma e già Comandante del RIS di Messina, ricorda come alcune attività sperimentali condotte presso l’Istituto di Medica Legale di Palermo abbiano portato a concreti risultati solo nel 3% dei casi esaminati, tra l’altro nell’immediatezza del fatto – circa 15 minuti dal decesso, ovviamente per strangolamento – utilizzando però modalità differenti dal cianoacrilato.

[15]La pelle è sicuramente tra i substrati più difficili sui quali ricercare le impronte, a causa della consistenza stessa dell’epidermide, in quanto i composti chimici depositatasi naturalmente sono le stesse presenti su questo particolare substrato. Le ricerche in questo campo hanno consentito di sviluppare metodiche di esaltazione senza però garantirne l’utilizzabilità delle tracce desunte. I fattori oggettivi che influenzano la tematica trattata sono da ricercare nel tempo trascorso tra la deposizione dell’impronta e la sua rilevazione; dallo stato di conservazione del substrato, la pelle, e dalla qualità della traccia papillare evidenziata. In linea di massima si è stabilito che la possibilità di reperire contatti papillari sulla pelle è limitata ad un periodo di tempo che, per una persona deceduta, difficilmente può superare le 24 ore dal deposito (dipenderà anche dalle modalità di conservazione dello stesso se in cella frigorifera o meno, quindi dalla fattispecie criminosa, si pensi allo strangolamento dove la pressione delle dita è forte e localizzata), mentre su soggetto in vita tali possibilità sono quasi nulle. I metodi di rilevazione cominciano con l’esame della pelle per mezzo di idonea sorgente luminosa, seguono le riprese fotografiche ed i trattamenti per mezzo della fumigazione del cianoacrilato (componenti principale dei comuni collanti) ovvero mediante i vapori di iodio.

[16]Di Masci A.

[17]Per la prima presentazione del metodo: Henssge C., Death since time estimation in case work I – The rectal temperature time of death nomogram, Forensic Sci Int, 1988(38), p. 209 e ss.

[18]Void (shadow) Analysis: in un contesto di tracce/macchie ematiche, l’analisi di regioni o zone prive di queste (items frapposti, rispetto all’origine); Houck Max M. Siegel Jay A., Fundamentals of forensic science, 2 rv., Ed. Elsevier Science & Technology, 2010; p. 246 e ss.

[19]Gill P, Buckleton J, Commentary on: Budowle B, Onorato AJ, Callaghan TF, Della Manna A, Gross AM, Guerrieri RA, Luttman JC, McClure DL. Mixture interpretation: defining the relevant features for guidelines for the assessment of mixed DNA profiles in forensic casework, J Forensic Sci 2009;54(4):810-21.

[20]Anche se questi sono presenti sugli indumenti della vittima.

[21]Lip Prints-Cheiloscopia

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