Identikit del reclutatore

 In Sotto il Segno del Culto, N. 1 - marzo 2013, Anno 4

«La mente umana è fatta in modo tale che è molto più suscettibile alla menzogna che alla verità»
Erasmo Da Rotterdam

 

Nel corso dei secoli, innumerevoli volte si è assistito all’aggregarsi di persone entusiaste intorno alle più disparate tipologie di leader carismatici. La strategia utilizzata per arruolare nuove forze, si basava e si basa su un serrato proselitismo che mira a sedurre il futuro adepto, il quale si caratterizza di solito per un profondo bisogno di trovare delle risposte a domande esistenziali classiche: “Da dove vengo? Perché esisto? Dove vado?”

Considerando, che l’uomo, fin dai suoi primi scambi comunicativi si è interessato della persuasione e delle sue argomentazioni, nel tentativo di indurre le persone a mettere in atto certi comportamenti piuttosto che altri, la nascita dei culti di vario genere non è quindi una novità, né lo è l’affermarsi di leader accusati di eccessi ed estremismi nell’esercizio del potere ottenuto nella manipolazione del rapporto necessità-impianto religioso, politico o sociale.

Ricerche di “psicologia delle masse” hanno da tempo evidenziato come l’individuo sia fortemente influenzato dal fatto di trovarsi a far parte di una comunità riunita in un certo luogo geografico. Fattori come tradizione, cultura, famiglia di origine, amicizie e periodo della storia nel quale un individuo si trova a vivere, formano l’humus sociale capace di plasmare un soggetto e renderlo così come egli è.

Dunque, l’interpretazione della realtà è una questione sociale oltre che individuale, la conoscenza del mondo in cui viviamo dipende non soltanto dai nostri sensi, ma anche dal fatto che ci accordiamo con i nostri simili sui significati condivisi relativi al mondo esterno, realizzando una “costruzione sociale della realtà”. Per questo l’agire di un individuo è sempre in forte misura influenzato dal fatto che egli si trova a far parte di una “massa”, dove determinati modi di reazione vengono resi possibili ed altri resi difficili, e questo dal semplice fatto che l’individuo si sente parte di questa “massa”. Esperimenti di psicologia sociale sono stati condotti per far luce sui modi in cui le persone possono essere influenzate, sia come gruppi sia come individui. Questi studi hanno dimostrato l’incredibile potere “delle tecniche di modificazione comportamentale, del conformismo e dell’obbedienza all’autorità”: tre fattori determinanti, noti come “processi di condizionamento” (Watzlawich P., 1976; Hassan S., 1999). Watzlawich afferma che “il fattore più spaventoso della resa cieca dei soggetti è il desiderio profondo e radicato di essere in accordo con il gruppo”.

Già il sociologo Gustave Le Bon (2004) aveva indagato il motivo per il quale, quando gli individui si radunano in folle, tendono a far funzionare meno le proprie capacità intellettuali, manifestando comportamenti uniformi tanto da far pensare a una sorta di unità mentale collettiva. In questo quadro essi parlano di suggestione, per indicare un fenomeno nel quale, analogamente a quanto accade nell’ipnosi, l’individuo manifesta comportamenti e opinioni diversi da quelli che attuerebbe singolarmente; tale cambiamento si verificherebbe su basi non logiche, senza riferimento alla realtà oggettiva e senza la consapevolezza da parte dei singoli di ciò che avviene. Egli sosteneva che una persona dotata di particolare fascino e prestigio sarebbe riuscita a dirigere il senso di tale suggestione in modo da controllare le coscienze degli individui e da neutralizzare la razionalità dei singoli, che frena e inibisce il comportamento in situazioni individuali, attraverso un consenso, apparentemente spontaneo, con la volontà del gruppo o del leader.

Il leader deve saper cogliere le aspirazioni segrete della folla e proporsi come colui che è capace di realizzarle; come l’incarnazione stessa di tali desideri. L’illusione risulta essere più importante della realtà, perché ciò che conta non è portare a compimento tali improbabili sogni quanto far credere di esserne capace. L’immaginazione popolare è sempre stata la base della potenza degli uomini di Stato, dei trascinatori di folle, di leader senza scrupoli. «Per quanto assurda sia l’idea che difendono o lo scopo che perseguono, qualunque ragionamento si infrange contro le loro convinzioni. Il disprezzo e le persecuzioni non fanno che eccitarli di più. Interesse personale, famiglia, tutto è sacrificato. Perfino l’istinto di conservazione è distrutto, al punto che il martirio costituisce spesso l’unica ricompensa. L’intensità della fede conferisce grande potere di suggestione alle loro parole. La moltitudine dà sempre ascolto all’uomo dotato di forte volontà. Gli individui riuniti in folla, perdono la volontà e quindi si volgono per istinto verso chi ne possiede una» (Le Bon G., 2004).

Tre sono le principale caratteristiche del leader nel rapporto con i suoi membri:

  1. Sono autoproclamati, persuasivi e affermano di avere una missione speciale o una esclusiva conoscenza: illuminazione, cura di tutte le malattie; altri ancora sostengono di avere sviluppato innovativi progetti scientifici, umanistici o sociali che condurranno i seguaci verso “nuovi livelli” di consapevolezza. Spesso i loro “poteri straordinari” sono doni di Dio essendo loro stessi suoi messaggeri. Quando non si proclamano essi stessi Dio. Doti speciali, e poteri straordinari, più o meno auto-attribuiti, fanno dei leader delle autorità indiscusse. Così legittimati prendono decisioni su ogni aspetto della vita dei seguaci: dispongono dove gli adepti devono vivere, la scelta degli amici o dei partner sessuali; convincono i devoti a lasciare famiglia, lavoro, carriera e amici per seguirli. Nella maggioranza dei casi, in modo palese o celato, alla fine prendono il controllo di proprietà, denaro e vita dei seguaci.
  2. Tendono ad essere risoluti e autoritari non rispondendo, del loro operato, ad alcuna altra autorità. Emanano forza, slancio e fascino personale. In realtà dietro, una sedicente personalità carismatica, si nasconde spesso un individuo capace di tecniche di controllo emotivo o del pensiero.
  3. Accentrano su di sé la devozione, richiedendo ai seguaci ubbidienza assoluta e indiscutibile. Essi soli sono giudici della fede degli adepti, l’unici mediatori tra la divinità e l’uomo. È Attraverso di loro che passa la salvezza o l’illuminazione. I “fedeli” sono esseri “scelti”, “selezionati” o “speciali”, mentre i non membri sono esseri inferiori, impuri. In genere atteggiamenti critici o anche solo dubbiosi vengono repressi e tacitati con l’accusa di mancanza di fede, di egoismo o possessione demoniaca (Singer TM., 1995; Santovecchi P., 2009).

Solo ammettendo il potere occulto della “persuasione”, intesa in questo contesto quale tecnica di modificazione comportamentale indotta, è possibile spiegare come sia potuto accadere che delle persone siano state pronte a sacrificare la propria vita o la vita dei propri figli per la realizzazione di modelli societari illusori.

Il reclutamento

Il reclutamento avviene principalmente in quattro modi:

  1. Qualcuno che pussa alla porta di casa; per strada, in stazioni o aeroporti; avvicinati “per caso” da reclutatori “professionisti” altamente addestrati.
  2. In contesti famigliari per la potenziale recluta: a scuola, a casa, nei caffè, sul lavoro, agli avvenimenti sportivi, in chiesa.
  3. Attraverso attività organizzate dal culto: conferenze, cene, seminari gratuiti di valorizzazione personale, ecc.
  4. Attraverso Internet

È bene precisare che nessuno pensa di entrare in un culto distruttivo. Le persone non sospettano nemmeno lontanamente di essere reclutate: credono di entrare in gruppi interessanti che promettono di soddisfare i bisogni più intimi.

Il fatto è, che troppo spesso viene cercato nella religiosità un rifugio ai propri malesseri esistenziali, usando il credo come un ansiolitico o un anestetico: uno scudo ai mali della vita.

È importante capire che il reclutamento non avviene per caso. Quale sia stato l’approccio iniziale, il contatto personale viene prima o poi stabilito e il reclutatore inizia a cercare di conoscere tutto ciò che può riguardare il potenziale adepto: speranze, sogni e paure ma anche le frequentazioni, il lavoro e gli interessi. Più informazioni un reclutatore è in grado di raccogliere, maggiore sarà per lui la possibilità di manipolare. Chiunque può potenzialmente essere reclutato in un culto distruttivo, tutti abbiamo bisogno di amore, amicizia, attenzione e approvazione; inoltre abbiamo la convinzione di essere invulnerabili. Ciascuno di noi ha bisogno di credere di avere la propria vita sotto controllo: la sensazione che gli eventi possano sottrarsi al nostro dominio non ci piace, e così tendiamo a razionalizzare qualsiasi cosa affinché acquisti un senso

Nel gruppo le persone trovano spiegazioni in un linguaggio scorrevole e accattivante, ogni problema trova giustificazioni semplici e rassicuranti. Sono persuasi di trovare nel credo tutte le risposte agli interrogativi endemici dell’umanità; così finiscono incatenati a un’ideologia che giorno dopo giorno li rende schiavi delle loro nuove “certezze”. La “verità” diventa, di fatto, la loro prigione.

La completa integrazione al gruppo si realizza a tappe, con una regia attenta a che ogni interesse sia sufficientemente riservato agli specifici bisogni dell’individuo. La sua immaginazione in questa fase viene sovraeccitata, subendo il fascino delle molteplici scoperte che ogni giorno sembra fare. Il neo adepto, pensa di aver trovato finalmente un gruppo dove gli viene donata amicizia istantanea da parte di una famiglia premurosa, nonché rispetto per i suoi apporti: “subisce” inconsapevolmente il classico “bombardamento d’amore”.

Attraverso un programma quotidiano organizzato, crede di impadronirsi continuamente di abilità nuove e per di più “esclusive” del gruppo; conoscenza personale che gli permetterà di migliorare la sua personalità e intelligenza e acquisire una nuova e migliore identità, così da aspirare ad una posizione sempre più rispettabile. Viene persuaso che nel gruppo troverà pace e sicurezza e le risposte adatte alle proprie esigenze spirituali.

Diviene propria l’idea che quel particolare gruppo, al quale adesso si associa, rappresenti un progetto unico per il miglioramento politico, sociale o personale e che in seguito ‑ grazie anche al suo impegno ‑ l’intero mondo sarà migliore.

Passato il primo periodo, nel quale tutto sembra stupendo ed eccitante, per l’adepto arriva il tempo delle “responsabilità”; egli ora è in grado di comprendere appieno quello che ci si aspetta da lui quale “leale sostenitore”. Adesso per lui, la vita andrà assumendo sempre più toni grigi, carica di “doveri”, di stenti e sacrifici. Tuttavia non è più in grado di vedere le cose svincolate dal condizionamento subito, così, anche se molti affermano di essere felici, la realtà è ben diversa. I divieti, le imposizioni, il totalitarismo assoluto spingono sempre più l’adepto in un circolo vizioso fatto di sensi di colpa, di angoscia e paura. Finisce per vivere in un mondo irreale, creato dal gruppo. I membri di un culto improntano il loro tempo al reclutamento ed al perfezionamento della loro appartenenza.

Onestà e irreprensibilità, verso il culto, sono le mete da raggiungere per ogni “fedele” degno di questo nome. Obbligatorio quindi confessare al leader, ogni azione non perfettamente conforme alla dottrina, ogni pensiero non completamente allineato. Contemporaneamente, però, vengono incoraggiati a imbrogliare e manipolare i non membri. Un gergo interno ridefinisce realtà e moralità: “fratelli”, “salvati”, “puri”, “illuminati”; e il suo contrario: “infedeli”, “dannati”, “impuri”, “negativi”. Un linguaggio inteso a giustificare il doppio standard etico, rendendo accettabile l’inganno nei confronti dei non membri, introducendo termini come “stratagemma trascendentale”, “parlare ai babilonesi”, “strategia di guerra teocratica”, “inganno divino”.

Lo stato delle cose, osservabile dall’esterno, è così costituito da gruppi di persone inconsapevoli dell’effettiva struttura finanziaria economica cui appartengono e per cui operano, spesso duramente, sacrificando tempo, mezzi, aspirazioni e prospettive. E ciò nonostante si dichiarano “felici”: sì, “un felice” investimento alla cieca, dove nessuno prevede consensi informati.

Isolamento dalla famiglia

Molti dei culti totalitari costruiscono ad arte, come strategia di reclutamento, dottrine che inducono negli affiliati comportamenti che generano come naturale esito opposizione da parte dei famigliari. Questa strategia, serve ai leader per provocare incomprensione tra la famiglia e l’adepto. Ben presto all’interno della famiglia, l’inconciliabilità dei due mondi diventa un dato di fatto, il dialogo si interrompe e allora unico riferimento per l’adepto diviene il gruppo, dove egli è convinto di poter trovare “vera” comprensione ed “affetto”; di conseguenza l’adepto si allontana dalla famiglia sempre di più anche affettivamente. È a questo punto che il “cerchio” si chiude: isolato da parenti e amici, visti adesso come potenziali nemici, l’individuo si trova fuori dalla società reale, psicologicamente pronto a adottare come nuova famiglia il gruppo di appartenenza ed ad incamerarne i metodi e i comportamenti come gli unici accettabili.

Paradossalmente, le critiche mosse al gruppo, non faranno altro che rafforzare la convinzione che la sua visione del mondo sia più che fondata.

Una dinamica d’interazione

La forma di controllo mentale praticata dai culti distruttivi è un processo a carattere sociale. I metodi usati vanno dai procedimenti ipnotici alle dinamiche di gruppo, che spesso, coinvolgono molte persone a loro volta pronte a replicare il processo.

Ogni individuo, di solito, tende alla coerenza con se stesso. Le sue opinioni e i suoi atteggiamenti mirano ad armonizzarsi con la conoscenza, o credenza che egli ha di se stesso o del mondo che lo circonda. In presenza di un’incoerenza tra ciò che egli crede e ciò che fa, l’individuo prova un forte disagio psicologico, che lo spingerà a ridurre questa incoerenza per ottenere di nuovo un comportamento coerente con se stesso. Egli, in seguito, non solo tenderà a ridurre il suo comportamento incoerente, ma eviterà situazioni e conoscenze che aumenterebbero probabilmente il suo sentirsi incoerente.

Prendiamo l’esempio del fumatore che sa che il fumo fa male. Questa sua consapevolezza è certamente dissonante con la cognizione del fatto che continua a fumare. Egli allora per ridurre questa sua dissonanza può agire in due modi: semplicemente cambiando la cognizione sul proprio comportamento, agendo cioè in modo diverso; ossia potrebbe smettere di fumare. In tal caso, la sua cognizione di ciò che fa sarà consonante con la consapevolezza che fumare fa male. Oppure potrebbe cambiare la sua consapevolezza sugli effetti del fumo. Egli potrebbe semplicemente finire per convincersi che il fumo non ha alcun effetto deleterio, almeno non più di quanti non possano averne l’inquinamento, il cibo transgenico ecc… (Festinger L., 1997).

L’individuo orientando il cambiamento della sua consapevolezza avrà ridotto o perfino eliminato la dissonanza tra ciò che fa e ciò che sa. È proprio facendo leva su questa esigenza di coerenza che i culti distruttivi, manipolando le informazioni, mirano e riescono a indurre acquiescenza nelle persone.

«La mente umana ha bisogno di schemi di riferimento per strutturare la realtà. Cambiate lo schema di riferimento e l’informazione in arrivo verrà interpretata in un altro modo (…) Il nostro sistema di credenze ci permette di interpretare le informazioni, prendere decisioni e agire secondo ciò in cui crediamo. Quando le persone vengono sottoposte a processi di controllo mentale, la maggior parte di esse non dispone di schemi di riferimento per tale esperienza e di conseguenza accetta quelli forniti dal gruppo» (Hassan S. 1999).

Infatti, secondo la teoria di Leon Festinger, studioso di psicologia sociale, la tecnica di “cambiamento” degli schemi di riferimento, consiste nel creare una dissonanza cognitiva negli interlocutori. Questa teoria trova conforto nel fatto che ogni individuo, davanti a un’esperienza di discordanza tra gli elementi conoscitivi in suo possesso, esercita una pressione tendente a ridurla, tanto maggiore quanto più forte è la discordanza. La riduzione si può ottenere aggiungendo nuovi elementi coerenti; si potrebbe però avere anche, a seconda delle circostanze, cambiando gli elementi raziocinanti o diminuendone l’importanza.

«La dissonanza cognitiva consiste nella nozione che l’organismo umano tende a stabilire un’interna armonia, coerenza e conformità tra le sue opinioni, atteggiamenti, conoscenze e valori. Esiste cioè una tendenza alla consonanza tra le cognizioni (…). Riferendoci all’ipotesi di base che la presenza della dissonanza dà luogo a pressioni tendenti a ridurla, possiamo ora esaminare i modi in cui la dissonanza che segue alla acquiescenza forzata può venire ridotta. Trascurando il cambiamento d’importanza delle credenze e dei comportamenti coinvolti, esistono due modi con i quali la dissonanza può venire ridotta, cioè diminuendo il numero delle relazioni dissonanti, o aumentando il numero di quelle consonanti (…). Quando l’importanza della punizione minacciata o della ricompensa promessa è stata sufficiente a provocare il comportamento esteriore acquiescente, si dà dissonanza soltanto fino a che la persona implicata continua a mantenere le opinioni o le convinzioni che aveva all’inizio; se in seguito all’acquiescenza forzata riesce a cambiare anche le sue opinioni personali, la dissonanza può sparire completamente (…), se si vuole ottenere un mutamento personale di opinione al di là della mera acquiescenza pubblica, il modo migliore per ottenerla consisterebbe nell’offrire una punizione o una ricompensa appena sufficiente per provocare il comportamento esteriore. Se la ricompensa o le minacce fossero troppo grandi, si creerebbe una dissonanza minima e non dovremmo attenderci che ad essa segua un mutamento personale» (Festinger L., 1997).

La formazione del reclutatore

Nel corso degli anni, psicologi di tutto il mondo hanno preso in esame la possibilità di influenzare e controllare le dinamiche individuali e di gruppo: l’intento era di aiutare le persone ad abbandonare strutture mentali deboli e abitudini debilitanti e mostrare loro come, di fatto, potevano cambiare.

Le leadership di culti distruttivi d’ogni genere conoscono bene le potenzialità e le aree operative cui applicare le tecniche in questione. Per questo motivo, il “controllo mentale” operato da questi culti, nel tempo, è diventato sempre più scientifico, potendosi avvalere dei molteplici studi condotti sul potenziale umano.

La trasformazione dell’adepto in efficace reclutatore, al quale si devono l’ampia diffusione e i remunerativi risultati del culto, è così generalmente divenuta un imperativo.

Se un reclutatore diverrà capace di entrare in sintonia con gli stati d’animo altrui, o riuscirà facilmente a trascinare gli altri nella scia dei propri, allora saprà anche impossessarsi del registro emozionale di un’interazione, e in un certo senso, possederà il dominio dell’altro a livello intimo e profondo, riuscendo probabilmente ad orientarne lo stato emozionale.

La tecnica non consiste nell’offrire qualcosa di nuovo, ma nel manipolare nella mente del destinatario le informazioni che già esistono. Per esempio, ogni individuo aspira a vivere in pace e felice, ma ogni giorno è costretto ad affrontare i reali problemi che la vita impone: per di più, ogni giorno mezzi d’informazione di massa lo costringono a prendere coscienza della precarietà della sua esistenza. Al reclutatore non resta che far leva su questi intimi desideri di felicità, promettendo che saranno adempiuti in un prossimo futuro: a patto però che i neofiti si impegnino a soddisfare i requisiti richiesti.

Diviene perciò necessario stabilire con la persona un legame di tipo empatico, volto a valutare l’emotività del soggetto per entrare nella problematica che sta vivendo, mostrandosi poi in sintonia con lui allo scopo di metterlo a suo agio e di predisporlo alla ricezione del messaggio. L’adepto è quindi addestrato a stabilire una “base comune” di ragionamento con la persona, così che le sue argomentazioni siano esposte in modo da far leva sull’ascoltatore, dopodiché potrà offrire la propria soluzione al problema.

Ricercatori Watzlawick, Beavin e Jackson (1971) del Mental Research Institute di Palo Alto, California spiegano:

«Nella maggior parte dei casi, gli episodi di contagio emotivo sono molto sottili e fanno parte di un tacito scambio che si verifica in ogni interazione umana. Gli individui trasmettono e captano gli stati d’animo in una continua interazione reciproca, in un’economia sotterranea della psiche, nella quale alcuni incontri si rivelano tossici, altri corroboranti.

Questo scambio emotivo avviene solitamente a un livello quasi impercettibile; per esempio il modo in cui un commesso ci ringrazia può lasciarci con la sensazione di essere stati ignorati, offesi o veramente accolti e apprezzati come benvenuti. I sentimenti degli altri ci contagiano proprio come si trattasse di virus sociali».

Questo avviene perché in ogni interazione, noi inviamo segnali emozionali che influenzano le persone con le quali ci troviamo: quanto più un reclutatore sarà socialmente abile, tanto meglio riuscirà a controllare e decodificare i segnali che saranno emessi.

Al di là dell’apparente spontaneità e dell’abilità con cui il reclutatore si presenta, è bene ricordare che in realtà egli è il prodotto precostituito dalla sua organizzazione: un “convinto” che il suo pellegrinare e il suo affannarsi per procurare soldi o nuovi adepti alla causa, sia un alto incarico e un privilegio.

Il suo “atteggiamento” sarà prevalentemente quello di colui che si fa portavoce di verità assolute; quelle stesse verità che lui ha accettato così come l’organizzazione o il leader le ha elencate. Difficilmente il reclutatore si aprirà ad un vero confronto con l’interlocutore che di volta in volta si troverà di fronte. A questi, non resterà che fare domande ed accontentarsi di risposte più o meno soddisfacenti, poiché ogni contrapposizione decisa sarà vissuta come atteggiamento non disponibile all’apprendimento di quelle “verità superiori”.

L’adesione è totale e totalizzante: mete e ambizioni sono quelle del gruppo, facendo del singolo una semplice, inconsapevole pedina, mossa per i fini che non sono quelli di ciascun componente bensì quelli dei vertici. L’adepto, nel tempo, perde sempre più individualità, uniformandosi ai ritmi e ai codici di vita imposti, con un procedimento che non lo vede consapevolmente partecipe.

Decidere, in un ambiente così rigidamente strutturato diventa estremamente semplice; si può anzi dire che non occorre neppure affrontare situazioni decisionali. La soluzione ai molti problemi della vita, la guida alle giuste azioni, tutto è offerto dai leader sotto forma di “suggerimenti divini”. La delega o affidamento della propria coscienza, produce di fatto una sensazione di sollievo, poiché alleggerisce dal peso della responsabilità della scelta. Termini quali “servire” e “schiavo”, assumono valenza prioritaria, per cui spesso si ha a che fare con il “privilegio di servire”, “privilegio di essere schiavo”, se non anche il “privilegio di morire”.

“L’eletto” ‑ e solo lui si ritiene tale ‑ deve distinguersi da quelli del “mondo”: perciò si rende necessario che il suo abbigliamento sia “adeguato”. La sua trasformazione inizialmente passa attraverso l’aspetto esteriore: taglio dei capelli, scelta dei vestiti, e in alcuni gruppi un nuovo nome. Queste “scelte” iniziali, sono incentivate dal gruppo attraverso “suggerimenti” o “incoraggiamenti” che il neofita recepirà come “interesse disinteressato” nei suoi confronti; ne risulterà un’immensa gratificazione. In questa prima fase, le attenzioni del gruppo saranno tutte rivolte a lui: e all’incantato adepto sembrerà di aver trovato finalmente una vera famiglia dove egli ha sicuramente un posto importante. È felice di avere concretizzato, con poco dispendio di energie, un ruolo sociale ben definito: adesso non è più un anonimo e insignificante essere in mezzo ad una folla amorfa, ma una persona speciale, che si appresta ad iniziare una nuova vita nell’unico e vero “popolo” che possieda la chiave per la felicità.

Presto la trasformazione, passando attraverso il controllo dei pensieri e delle emozioni, inizierà a radicarsi sempre più in profondità, fino a reprimere la sua vera personalità, della quale perderà memoria in un inconscio processo di rimozione. Rinnegati ormai gli amici di un tempo, nei quali non si riconosce più, abbandonati i familiari che si oppongono al nuovo credo, per l’adepto non esiste alternativa: imperante ed urgente diviene per lui la necessità di costruirsi una buona reputazione nel gruppo, cosa che gli permetterà, in alcuni culti, di accedere ‑ solo se maschi ‑ ad incarichi di responsabilità nell’ambito del gruppo. Ancora una volta, i leader sanno come sollecitare il desiderio inconscio di gratificazione ed affermazione.

La “visibilità” nel gruppo diviene meta ambita ma anche necessaria, poiché altrimenti, superata la prima fase di “bombardamento di amore”, l’adepto si troverà solo carico di doveri da assolvere e integrato, addirittura immerso in un sistema di vita pressante; e, se non riuscisse a mantenere alta la sua reputazione per lui sarebbe la fine: estraniato dal gruppo non avrebbe più alcun punto di riferimento: quell’io precostruito si troverebbe totalmente allo sbando.

L’assoluta fedeltà, spesso unita alla competizione, diviene quindi necessaria per raggiungere la valorizzazione del sé, che altrimenti rimarrebbe del tutto schiacciata da divieti imposti a detrimento dall’autostima del singolo.

 

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