Il fuoco: fra mito e religiosità

 In Sotto il Segno del Culto, N. 4 - dicembre 2015, Anno 6

«Il fuoco vive della morte della terra e l’aria vive della morte del fuoco; l’acqua vive della morte dell’aria, la terra della morte dell’acqua» 
Eraclito

 

Racconta la leggenda che quando Zeus[1] incaricò Prometeo di forgiare l’uomo, egli lo modellò dal fango e lo animò con il fuoco divino. Tanto era importante per il Titano la sua creazione che fu disposto a sottrarre ad Atena il suo scrigno, in cui erano riposte intelligenza e memoria, per donarle agli umani. Zeus preoccupato per tale elargizione agli uomini che con queste qualità sarebbero diventati sempre più capaci e potenti, già pensava di distruggerli. Il conflitto tra Zeus e il Titano si fece sempre più acuto: Prometeo, con uno sfrontato raggiro, riservò la parte immaginabile di un enorme bue agli dei, lasciando agli uomini la parte carnosa; cosa che riempì di ira Zeus, il quale, per rivalsa, tolse il fuoco agli uomini, nascondendolo. Il Titano allora, con un artifizio, rubò il fuoco dall’Olimpo, nascondendolo nel cavo di una canna, per ridarlo agli uomini. Zeus, quindi oltremodo offeso, inviò sulla Terra Pandora. Dono tanto affascinante quanto pericolosissimo. Infatti ella, prima donna del genere umano, porta con se un vaso sigillato, ma con il divieto assoluto di aprirlo. Però, si sa, la curiosità è donna: il vaso viene aperto e da esso escono, per sempre, tutti i mali del mondo.

Nel mito, quindi, bene e male si stringono nel fuoco, in un abbraccio fatale. Nonostante esso abbia per sempre cambiato in meglio le sorti dell’umanità, racchiude in se il mistero: fonte di calore e di luce, elemento dalla materialità domestica, resta però inafferrabile agli uomini, a volte irrefrenabile, spesso temibile e altrettanto seducente.

È da ricercare perciò in questa sua dualità il fascino che il fuoco provoca negli uomini: esso divora, con la sua fiamma distruttiva, tutto quello che incontra nel suo passaggio, lasciando dietro di sè terreni ristorati, nutriti dalla decomposizione dei vegetali. Con la sua luce e calore permette l’esistenza, ma nel contempo ha la possibilità di distruggerla per sempre. Proprietà che hanno fatto del fuoco un potente simbolo rappresentativo sia della vita che della morte, introducendolo di conseguenza nel “mondo del soprannaturale”, come facoltà e prerogativa degli Dei entrando così a far parte dei miti, delle credenze e delle tradizioni di molti popoli.

Il fuoco e la storia

Senza dubbio il fuoco e il suo uso ha costituito una delle tappe più grandi e importanti da parte dell’uomo, determinandone lo sviluppo sia fisico che di pensiero, almeno quanto la sua postura eretta. Non si sa con sicurezza quando gli uomini iniziarono ad usare il fuoco, ma un’indicazione, per esempio, la possiamo trovare dal sito archeologico di Zhoukoudian, (in Cina), dove «sono stati ritrovati dei depositi fossiliferi, datati a 460.000-230.000 anni fa, da cui provengono i resti del sinantropo (Sinanthropus pekinensis o Homo erectus pechinensis), detto anche uomo di Pechino. Gli scavi hanno dato resti scheletrici di una quarantina di individui e numerosi manufatti (schegge, choppers e chopping-tools) […]. È stato ipotizzato, in base alla presenza a Z. di quattro livelli ricchi di ceneri, che il sinantropo conoscesse l’uso del fuoco[2]».

Il controllo del fuoco prevede tre tappe: produzione del fuoco, conservazione del fuoco, trasporto del fuoco. Conservare e trasportare il fuoco, per l’uomo, non era cosa semplice, anche se, il fuoco una volta ‘acceso’ si autoalimentata, ossia utilizza il calore svolto dalla reazione stessa del suo ‘bruciare’ per procedere. La difficoltà maggiore stava nel produrlo o riprodurlo, ovvero trovare una fonte di innesco: una volta che la reazione di combustione ha inizio, l’azione dell’innesco non è più necessaria in quanto, come detto sopra, il combustibile bruciando fornisce l’energia necessaria al proseguimento della sua riproduzione, che continua finché tutto il combustibile non è stato consumato. L’innesco, assieme al combustibile e al carburante (in genere ossigeno) costituiscono il cosiddetto “triangolo del fuoco” e sono gli elementi necessari perché una reazione di combustione abbia luogo. Questo fa supporre che l’esperienza diretta nella conservazione, trasporto e produzione del fuoco, ovvero importanti momenti nella storia dell’umanità, siano avvenuti grazie all’intuizione, e non alla casualità. Intelligenza e uso del fuoco che portò l’uomo, assieme alla possibilità di controllarlo prima e di riprodurlo poi, ad fondamentali ed epocali cambiamenti nel suo rapportarsi con i propri simili e con l’ambiente circostante:

  • Cambiamenti fisici. La capacità di cuocere il cibo consentì di poter conservare più a lungo ciò che cacciavano e allo stesso tempo di avere a disposizione alimenti più sani e decisamente più morbidi. Quest’ultimo fattore, a prima vista meno importante, assume al contrario un peso notevole se si considera che l’effettiva inutilità di una dentatura robusta e un’ossatura mandibolare e mascellare adatta a sostenerla, ha consentito uno sviluppo differente dell’apparato scheletrico del cranio, con effettive ricadute sullo sviluppo cerebrale.
  • Cambiamenti sociali. La necessità, soprattutto nei primi tempi, di mantenere sempre accesso un focolare per l’incapacità di riprodurre il fuoco, introdusse nella struttura sociale una nuova casta tra quelle già esistenti dei raccoglitori e cacciatori. Gli individui destinati a occuparsi del fuoco, vista la sua importanza, assunsero ben presto una posizione di preminenza all’interno dei singoli gruppi. Tale preminenza poteva essere sia politica sia religiosa. Politica perché i controllori del fuoco avevano potere diretto sui loro simili non adibiti a quel lavoro, ne potevano controllare la sopravvivenza garantendo accesso al focolare o altresì la morte tramite ostracismo o esilio da esso. Religiosa poiché il fuoco, fin dal principio espressione di uno dei più potenti spiriti della Natura, garantiva a coloro che ne custodivano i segreti un rapporto preferenziale con detto spirito e, in un secondo momento, col mondo soprannaturale e divino.
  • Cambiamenti relazionali. Con il controllo del fuoco, l’uomo non è più totalmente alla mercé degli elementi naturali. Può affrontare la notte con maggiore sicurezza, avendo a disposizione una fonte di luce e calore trasportabile e costante. Può combattere gli animali feroci, generalmente intimoriti dal fuoco e da chi lo controlla. Egli diventa un modificatore della natura e non più soltanto un suo fruitore se non addirittura succube in balia dei suoi capricci. Da animale tra altri animali, l’uomo col fuoco assurge a una condizione di privilegio. Adesso grazie al fuoco può inviare “messaggi” visivi anche a molta distanza: questi costituirono un primitivo utilizzo del fuoco come mezzo di comunicazione simbolica.
  • Cambiamento di era. Questa nuova abilità nell’uso del fuoco ha segnato il passaggio da un’era all’altra: dall’età della pietra all’età dei metalli. Il fuoco ha permesso la lavorazione dei metalli; fondendo i minerali gli uomini impararono a estrarre e a lavorare il rame, lo stagno e successivamente il ferro. Con essi si costruire innumerevoli oggetti: gioielli, recipienti, punte per le lance e le frecce decisamente più micidiali di quelle in legno o pietra. Non solo, l’utilizzo del fuoco per la cottura dell’argilla portando poi all’invenzione della ceramica.

La guerra e il fuoco

Controllare il fuoco è stata, come abbiamo visto, una delle prime grandi conoscenze del genere umano, e molto probabilmente quella più utile nella sua lotta per la sopravvivenza. È stata, molto probabilmente, proprio la capacità del fuoco di generare luce e calore a rendere possibili le grandi migrazioni e l’attraversamento di territori dai climi freddi, inospitali. Territori abitati da predatori pericolosi da cui era necessario difendersi e tenere lontano. Inoltre, fin dai tempi dell’introduzione dell’agricoltura, nel Neolitico, gli uomini hanno usato il fuoco come uno strumento fondamentale nell’amministrazione del territorio. Ad esempio le immense praterie nel Nord America sono il risultato delle pratiche degli indiani di appiccare il fuoco alle foreste allo scopo di favorire il pascolo dei bisonti. In maniera analoga gli aborigeni dell’Australia fino all’Ottocento svolgevano pratiche di deforestazione allo scopo di favorire la caccia di selvaggina. Non solo, il fuoco è in grado di far avvenire reazioni chimiche, e tramite queste di trasformare la materia: il fuoco permette di ottenere metalli dai minerali, cioè prodotti differenti da quelli di partenza. Allo stesso modo, attraverso la cottura un alimento cambia colore, odore e sapore.

Il fuoco, quindi, inizia ad essere utilizzato come mezzo e come fine: costruzione di utensili migliori, ma anche armi per la caccia più funzionali, più letali; come tecnica di deforestazione, per inviare segnali comunicativi, in spettacoli di intrattenimento, per cremare i defunti. Ma il fuoco è anche un’arma di per sé. Usato, nel tempo, non solo come arma di difesa, ma spesso come elemento base di terribili armi di offesa.

Il fuoco greco[3], ne è forse la dimostrazione pratica più pregnante. Il suo uso è arrivato a noi attraverso un codice bizantino dell’VIII secolo, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Madrid. Si tratta forse della più antica raffigurazione della micidiale arma, che assicurò per lungo tempo ai Bizantini un’indiscussa superiorità militare per terra e per mare e che permise loro persino di frenare e respingere la travolgente avanzata degli Arabi. Invenzione tra le più rivoluzionarie in campo bellico di tutto il Medioevo, era costituito da un miscuglio di prodotti infiammabili. Anche se la miscela esatta degli ingredienti, si dice, fu persa con la morte dei suoi inventori, una famiglia di chimici ingegneri provenienti da Costantinopoli, alcune ipotesi parlano di nafta e resina di pino, cui venivano aggiunte zolfo e salnitro. La nafta per la sua infiammabilità e la resina di pino per la proprietà di allungare il tempo di combustione ed essere al contempo altamente appiccicosa. Infatti, i documenti dichiarano che quest’arma, molto temuta, si aggrappava alla pelle e non si poteva togliere né spegnere con nulla. Considerazione quest’ultima che parrebbe sostenere quello che altri ricercatori sostengono, ovvero che il fuoco greco fosse composto anche da pece, zolfo e calce viva. I primi due ingredienti provvedono alla combustione, mentre la calce viva non permette al composto di essere spento con l’acqua. L’acqua, infatti, al contatto con la calce viva si trasforma in idrossido di calcio che sprigiona un forte calore che va ad aumentare l’incendio in corso.

Formula originaria a parte, il fuoco greco è stato certamente un’arma di terrore: utilizzato da diversi eserciti dando sempre un grosso contributo alla vittoria. L’assedio di Costantinopoli del 717, da parte dei musulmani, fallì proprio per l’uso di questa arma con la quale i bizantini devastarono il campo e le attrezzature militari arabe. Esso passava con estrema rapidità da un luogo all’altro dopo essere stato scagliato per mezzo di botticelle infilate su una lancia o di cavalli spinti contro lo schieramento avversario. Largo uso ne veniva fatto anche durante le battaglie navali. Piccole e veloci imbarcazioni armate con dei sifoni o grossi tubi – veri e propri antenati dei nostri lanciafiamme – fissati sulla prua delle navi, passavano in mezzo alle navi nemiche gettando, mediante un forte getto d’acqua, l’impasto incendiario. I contenitori potevano essere di grosse dimensioni, ma anche delle otri in pelle con un tubo di rame. Schiacciando l’otre partiva un getto di composto che, una volta acceso, era inestinguibile. Nemmeno chi si buttava in acqua era salvo perché il composto galleggiava sull’acqua e continuava a bruciare. Superfluo dire che da allora il fuoco ha sempre più fatto parte dei mezzi bellici: dal moderno napalm, agli inneschi per le armi e via dicendo.

Il fuoco e la religiosità

L’importanza vitale del fuoco per il genere umano lo ha introdotto di forza nella sfera del sacro. Il termine stesso, fuoco, deriva dal termine latino focus, e indicava in origine il focolare e a mano a mano sostituì, specie nell’ambito popolare, il termine ignis che possedeva il vero significato di fuoco. Secondo le ricostruzioni linguistiche sembra sia collegato al verbo latino foveo e al greco φῶς (phos) ossia luce.

Riti e rituali, che coinvolgono il fuoco, hanno radici lontane e si perdono nel tempo e nello spazio. Scomodando ancora Prometeo, rispolverando di nuovo il mito, troviamo tuttora nel nostro tempo i giochi olimpici ove ritualità e sport si mescolano, e dove il fuoco resta l’elemento fondante. Fuoco come simbolo delle virtù umane donate dal Titano. Olimpo, luogo da dove il fuoco sacro venne sottratto per essere consegnato agli uomini. Difatti, in memoria del mito, ancora oggi, all’inizio dei giochi olimpici viene acceso un braciere che arde per tutta la durata dell’Olimpiade. La fiamma sacra, accesa attraverso un preciso rituale, deve essere portata a piedi, secondo una lunghissima staffetta, dei teofori. Una volta arrivata nella città, sede dell’olimpiade, questa è utilizzata per accendere il braciere che deve ardere per tutta la durata dei giochi. Solenne deve essere anche il suo spegnimento. Ritualità necessaria, forse riparatrice, dell’oltraggio fatto, a suo tempo, agli dei.

Divinità a parte, l’importanza che il fuoco ricopriva nella vita delle popolazioni antiche, nasce proprio dalla sua difficoltà di conservazione. Infatti, nonostante il suo prodursi “spontaneamente”, tanto da dare l’idea di una apparente vita propria, per le popolazioni indigene non era cosa semplice mantenerlo in “vita”, ne riprodurlo artificiosamente. Il fuoco, per l’uomo, restava elemento oltremodo affascinante, ma straordinariamente incontrollabile e minaccioso.

Tornando all’origine e alla diffusione dei numerosi miti che lo vogliano associato ad un origine divina, introduciamoci nell’ambito della religiosità, dove il fuoco per la sua rilevanza simbolica è da sempre collocato nell’ambito del sacro in numerose tradizioni culturali: riti funerari, cremazione dei morti, riti sacrificali, riti di passaggio e di purificazione. Rituali dove il fuoco riveste una funzione di mediatore tra l’uomo e il divino: elemento di comunicazione e trasporto di richieste, di offerte e di vite da una dimensione all’altra. Sempre il fuoco segna lo scorrere del tempo: attraverso feste popolari scandisce il moto del sole come sinonimo di luce, di rinascita, le ricorrenze dei Santi, il passaggio dell’anno.

Il culto del fuoco, viene fatto risalire ad un’antica concezione religiosa naturalista degli Indoeuropei (Rendich F., 2013), dove le diverse accezioni sanscrite dei derivati della radice dhã confermano il legame tra abitazione e fuoco sacro e tra luce e legge. Dhãman, in vedico, è l’ordine stabilito nella casa e nella famiglia mediante il fuoco sacro “posto” nel focolare domestico, elemento che costituiva il fondamento della sacralità dello spazio. Stretta la relazione tra luce e fuoco, tra fiamma e calore: il fuoco sacro era posto sul terreno e istituiva la legge divina, presupposto per “vedere” sia di giorno che di notte. Secondo la tradizione vedica, un fuoco, simbolo della luce divina, era infatti perennemente acceso nelle abitazioni per stabilire la condotta da seguire e le norme da osservare.

Seguendo questa tradizione, ugualmente nell’antica Roma, un fuoco perpetuo, simbolo della luce del diritto divino, era posto nel Foro all’interno del tempio di Vesta e, con esso, si accendevano tutti gli altri fuochi sacri. Le vestali, vergini sacerdotesse consacrate a Vesta, dea del focolare domestico, avevano il compito di mantenere sempre acceso il fuoco sacro nel tempio: il suo spegnimento, così come la perdita della verginità, veniva punito con la condanna a morte. Morte che, a motivo dell’inviolabilità del corpo delle vestali, non poteva essere data da mano umana, ma mediante segregazione in un luogo sotterraneo. Fuoco sacro che continuò a ardere nei templi fino al 391 d.C.; quando, a motivo dell’editto di Tessalonica (del 390 d.C.), l’imperatore Teodosio, impedì la pratica dei riti pagani e ne ordinò lo spegnimento, imponendo il cristianesimo come unica religione dell’impero. Ma tanto era diffuso il culto del fuoco e il suo profondo significato nel cuore della gente, che ancora oggi si parla di focolare domestico come simbolo della casa e della vita famigliare.

L’importanza del fuoco nei culti greci è attestata dalla tradizione: Virgilio nell’Eneide, narra di Enea che porta via da Troia il fuoco sacro. Qui, ogni città, nell’edificio principale, aveva un braciere comune, il Pritaneo, dove ardeva il fuoco sacro di Estia, che non doveva spegnersi mai. Poiché le città erano considerate un allargamento del nucleo familiare, la dea era adorata anche come protettrice di tutte le città greche. Estia, tramite il suo fuoco, custodiva il luogo dove sia la famiglia che la comunità si riuniva. La dea e il fuoco erano una cosa sola e formavano il punto di congiunzione e il sentimento della comunità, sia familiare che civile: il luogo dove si ricevevano gli ospiti, il luogo dove fare ritorno a casa, un rifugio per i supplici. Nelle famiglie, il fuoco di Estia provvedeva a riscaldare la casa e a cuocere i cibi. La novella sposa portava il fuoco, preso dal braciere della famiglia di origine, nella sua nuova casa provvedendo, in questo modo, alla sua consacrazione. I coloni che lasciavano la Grecia portavano con sé una torcia accesa al pritaneo della loro città natale, il cui fuoco sarebbe poi servito a consacrare ogni nuovo tempio ed edificio. I greci, inoltre, erano soliti distinguere la forza distruttiva del fuoco (aidelon), dalle sue potenzialità creative. La prima generalmente veniva associata al dio Ade, mentre le seconde ad Efesto. Il fuoco era anche prerogativa della dea Ecate, ella veniva chiamata in modi diversi: portatrice di fuoco (Pyrphoros), soffiatrice di fuoco (Pyripnon), tedofora (Daidoukhos), portatrice di luce (Phosphoros).

In India, il culto del fuoco è uno dei motivi dominanti nelle scritture dei Veda. Elemento sacro, energia purificatrice e trasformatrice della materia è punto di unione fra il mondo visibile e invisibile. Messaggero fra cielo e terra, esso è Aghni (fuoco), le cui fiamme salgono, assieme all’aroma delle offerte bruciate agli dei, nell’ascesi dell’oblazione: sacrificio durante il quale i controllori celesti delle potenti forze della natura, assicurano la continuità delle condizioni favorevoli al genere umano. Mediatore tra gli uomini e gli dei, da lui, il fuoco, i sacerdoti comprendono molto sulla vita dell’aldilà. Dio che si manifesta nel fuoco «che brucia sull’altare dei sacrifici», brucia anche i demoni che minacciano di distruggerli. Sacerdote degli dei e dio dei sacerdoti, Aghni è insito in ogni essere e racchiude in se la concezione di “fuoco universale”. Perennemente giovane e immortale, nasce di nuovo insieme a ogni fuscello di legna. È l’ospite onorato in ogni casa, che, con la propria luce, allontana i demoni dell’oscurità. Il fuoco della pira funeraria è poi l’altare del morto, l’ultima offerta ad Aghni.

Nella religione ebraica un candelabro a sette braccia veniva acceso, attraverso combustione di olio consacrato, all’interno del Tempio di Gerusalemme. Nella Torà il fuoco, è uno dei simboli per esprimere l’essere e l’agire di Dio. È celebre il brano in cui Dio parla a Mosè attraverso il roveto ardente (Esodo 3, 2). Noto anche il racconto in cui si parla di Dio presente sotto forma di colonna di fuoco: «Il Signore andava davanti a loro di giorno con una colonna di nube per condurli nella strada, e di notte con una colonna di fuoco per illuminarli, perché potessero andare di giorno e di notte. Né la colonna di nube di giorno né la colonna di fuoco la notte si ritirava dalla vista del popolo» (Esodo 13, 21-22). È con il fuoco che Dio purifica i suoi profeti dall’impurità, esprime la sua collera e la sua ira distruttrice. Sempre attraverso il fuoco si compiono sacrifici: si bruciano sull’altare gli animali uccisi e offerti a Dio. Di fuoco sono anche i serafini che stanno alla presenza di Dio (serafino deriva dal verbo ebraico saraf che significa bruciare).

Anche nella religione cristiana il fuoco riveste un ruolo importante. Infatti, esso assurge ad una funzione di mediazione simbolica nei contesti di rivelazione divina, sia nella prassi liturgica che cultuale (illuminazione, consumazione dei sacrifici, ecc.). È mediante il fuoco che avviene il misterioso manifestarsi di Dio: segno comunicativo di risposta divina alla richiesta dell’uomo. Lo Spirito Santo stesso è rappresentato dal fuoco. Negli Atti degli apostoli si narra che «Mentre stava per compiersi il giorno di Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi» (Atti 2, 1-4). Sul piano narrativo gli accadimenti biblici che riportano le distruzioni mediante il “fuoco”, vengono spesso intesi come segno del giudizio divino. Nella prospettiva escatologica tre le rappresentazioni simboliche del fuoco: segno premonitore “del giorno di Jahvè”; elemento di giudizio finale e annientamento dei nemici; strumento di punizione e sofferenza eterna dei peccatori “nel fuoco infernale”. È proprio in virtù di questa sua connaturata dualità di rappresentazione del bene e del male, che il fuoco mantiene anche in ambito cristiano-cattolico la sua sacralità, rivestendo all’interno della liturgia un importante ruolo cerimoniale. Nella veglia pasquale, ad esempio, esso simboleggia la vittoria della luce sulle tenebre, sulla morte e sul male. La cerimonia prevede che tutte le luci all’interno della chiesa devono essere spente mentre fuori, all’esterno, deve essere acceso il fuoco in un braciere. L’assemblea dei fedeli, quindi, illuminata solo dalla luce fuoco, aspetta che il sacerdote con a seguito i suoi ministri, inizi la funzione. Questa procede con il sacerdote che incide una croce sul cero pasquale per configurarlo a Lumen Christi: simbolo della luce di Cristo risorto che vince le tenebre della morte e del male. Incide poi su di esso l’alfa e l’omega, prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, per indicare che Cristo è il principio e la fine di tutte le cose; poi le cifre dell’anno in corso per significare che Gesù è il Signore del tempo e della storia. Il cero così predisposto viene acceso, dal fuoco del braciere, dal sacerdote; dalla cui fiamma tutti i fedeli a loro volta traggono la fiammella per ceri più piccoli che essi stessi porteranno al seguito del sacerdote all’interno della buia chiesa, illuminata adesso solo dal tremolio delle piccole lingue di fuoco emanate dalle loro candele. Sarà il cero pasquale, ovvero il Lumen Christi, a restare acceso per i quaranta giorni successivi alla veglia.

Molte cose ancora restano da dire sull’argomento, ma il nostro procedere ci impedisce di approfondire oltre ma un’ultima cosa forse vale la pena sfiorare: i fuochi fatui. Fiammelle solitamente di colore blu che si manifestano a livello del terreno in particolari luoghi come i cimiteri, le paludi e gli stagni nelle brughiere, individuabili specialmente nelle calde sere d’agosto. Il fenomeno deriva dalla combustione del metano e del fosforo dovuta alla decomposizione di resti organici. Conoscenza, questa, non accessibile per le popolazioni passate, per cui le leggende sulla natura dei fuochi fatui sono moltissime. Esse trovano spazio nelle credenze religiose di molte culture a motivo dell’apparente mistero legato alla loro formazione. Nell’antichità si ritenevano la dimostrazione dell’esistenza dell’anima. Alcune popolazioni nordiche invece credevano che seguendoli si trovasse il proprio destino.

Il fuoco nella Filosofia

Oggetto di numerose considerazioni e analisi, il fuoco è presente in molteplici analogie e simboli mitologici, religiosi e, come vedremo scientifici. Chiaramente l’area filosofica non poteva ignorare il posto che il fuoco occupa in seno all’animo umano, esso infatti era comunemente associato alle qualità dell’energia, della grinta e della passione.

Realtà insieme dinamica e misteriosa, silenziosa e terribile, naturale e al tempo stesso ineffabile, presenta delle caratteristiche singolari, amate e odiate, apprezzate e invise: illumina e riscalda, vivifica e distrugge, rende visibili le forme e non ha forma in sé, è sulla terra ma si protende verso il cielo, dà speranza e incute timore, è sublime ma tremendo, può essere visto e usato, mai circoscritto e definito. Per questo, agli albori del pensiero filosofico greco il fuoco è ritenuto uno dei quattro elementi che stanno alla base dell’universo. In similitudine con il mito, il fuoco, era anche uno degli archè (origine) del cosmo, ma al tempo stesso visto anche come la fine di esso (ecpirosi).

Eraclito[4], per esempio, sosteneva che il mondo aveva avuto origine dal fuoco, da lui inteso come forza primigenia che regola la legge degli opposti contrari. Anche se molto probabilmente usava l’immagine del fuoco come metafora per indicare l’eterno divenire del Lògos.

Con Empedocle[5], il Fuoco diviene uno dei quattro elementi, che egli chiamava “radici”, insieme a Terra, Aria e Acqua. Platone[6], nel Timeo, accolse la dottrina dei quattro elementi di Empedocle. Il fuoco, nel suo dialogo cosmologico, è il Tetraedro. Questo, formato da quattro triangoli equilateri, rende il solido platonico l’elemento con il minor numero di lati. Figura geometrica che Platone considerava appropriata alla natura del fuoco, poiché il suo calore si sente forte e lancinante come fosse formato da tanti piccoli tetraedri. Aristotele[7] da una diversa spiegazione dei quattro elementi, egli li dispone in coppie complementari, a formare la sfera sublunare, concentricamente intorno al centro dell’universo. Per Aristotele, il fuoco è sia caldo che secco, e fra le sfere elementari occupa un posto intermedio fra la terra e l’aria. Ai suoi antipodi sta l’acqua.

Conclusioni

Molto ci sarebbe da dire ancora sul Fuoco. Manca all’appello, ad esempio, tutta la ritualità magica, oscura che ad esso è inesorabilmente legata, come d’altronde le passioni furenti e l’erotismo, finanche all’attrazione insopprimibile, patologica. Il fuoco è ‘raccolto’, narrato in musica, letteratura, cinema. A lui è stata dedicata, nel 1916, una primissima pellicola cinematografica. Attore principale, dalla sua ‘scintilla’ alla sua morte, egli raffigurava l’ardore di due innamorati: la favilla, come inizio della passione; la vampa, come il progredire del trasporto con la sua energia dirompente; infine la cenere, come desolante mancanza di ‘densità’, ovvero la morte dell’amore. Il suo fascino sta proprio qui, nella capacità del Fuoco di evocare nell’Uomo sentimenti, emozioni, immagini mentali. Per dirla con le parole di Plotino «Il fuoco è bello perché risplende e brilla insieme all’idea[8]».

 

Bibliografia

Bachelard G., (1996) La fiamma di una candela, SE, Milano.

Rendich F., (2010) Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche Indoeuropee, Palombi Editore, Roma.

Sitografia

Cannavicci M., www.corpoforestale.it

Enciclopedia Treccani.it

www.historiaeantiquae.com

 


[1] Enciclopedia Treccani.it

[2] Enciclopedia Treccani.it, op. cit.

[3] www.historiaeantiquae.com

[4] Eraclito di Efeso (535 a.C. – 475 a. C.)

[5] Empedocle di Agrigento (495 – 435 a.C.)

[6] Platone (427 – 347 a.C.)

[7] Aristotele (384 – 322 a.C.)

[8] Plotino di Egitto (203/206 – 269/270)

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