Le colpe dei padri ricadranno sui figli

 In Editoriale, Anno 1, N. 4 - dicembre 2010

Anche se parlare di pedofilia e incesto non è cosa semplice, dobbiamo prendere atto che l’abuso sessuale sui bambini è un fenomeno molto più diffuso di quanto comunemente si pensi o si voglia credere. Quello che di volta in volta veniamo a sapere oggi è solo la punta di un iceberg che ha dimensioni profonde. Nascoste. E che probabilmente mai saranno svelate del tutto.

Una lunga strada lastricata di volti rimasti spesso anonimi avvolti dal silenzio della vergogna e dell’omertà. Portatori di ferite mai guarite. Anzi, per alcuni di loro, mortali. Perché il suicidio a volte sembra l’unica strada per uscire dalla sofferenza. Una sofferenza indescrivibile fatta di abusi sessuali, violenze fisiche e terrorismo psicologico. Fatti, tanto crudeli, che ci spingono ad asserire che sono stati “assassinati” nel profondo della loro essenza, da chi, invece, doveva prendersi cura di loro. Vittime di “mostri” che diffondono il loro virus perverso, che poi, come un’epidemia sommersa e silenziosa, infligge lesioni letali: conseguenze dirette di ferite che genitori, nonni e altri membri della famiglia hanno causato quando le loro vittime erano bambine. Che spesso, troppo spesso, “sanguinano” per tutta l’infanzia fino all’età adulta, senza che mai nessuno se ne accorga.

La famiglia incestuosa è un nucleo chiuso in se stesso. Si ritiene autonoma e chiude nel segreto ogni comportamento che ha luogo fra i sui membri, diventando un “blocco monolitico”, all’interno del quale non esistono distinzioni generazionali. La mancanza dei ruoli o l’inversione dei medesimi, eleva il bambino a far parte del livello gerarchico degli adulti. Al figlio viene assegnato il ruolo di coniuge surrogato e il sistema famigliare si stabilizza attraverso questa palese confusione di ruoli, di spazi e di confini. Rimosso il tabù dell’incesto, queste famiglie creano un altro tabù: il divieto di nominare, e persino riconoscere, ciò che sta accadendo fra le mura domestiche.

La colpa che il genitore dovrebbe provare, ma non prova, ricade allora sul figlio, il che rende ancora una volta di spiazzante attualità il passo biblico “le colpe dei padri ricadranno sui figli”. Dell’atto percepito come sbagliato nessun adulto si assume la responsabilità, è quindi il bambino a prendere su di sè la colpa che non si estinguerà mai né sarà superata a causa dell’enorme sconvolgimento dei ruoli. Una colpa legata al sospetto, per non dire alla convinzione, che sia stato proprio lui, con le sue richieste di affetto, a provocare il rapporto sessuale. Per il bambino è certamente molto più facile ritenersi parte attiva nel determinare l’abuso piuttosto che vittima innocente; il prendere atto della realtà farebbe frantumare, nella sua mente, l’ideale precostruito dell’adulto. Tanto più se costui è un importante figura di riferimento come quella genitoriale. Non a caso Albert Crivillè scrive: «un minore è tanto più maltrattato nel suo psichismo profondo quanto più l’aggressore sessuale assume le sembianze dell’amore[1]».

La violenza sessuale è una delle esperienze più sconvolgenti che l’essere umano possa provare. Nel bambino il trauma determina un malessere generalizzato e la conseguente perdita di sicurezze. Oltre al danno fisico, immenso, inferto al suo corpicino violato, profanato, c’è l’annientamento psicologico determinato dalla sopraffazione con cui l’adulto si impadronisce del suo corpo, per poi lasciarlo solo con il suo carico di dolore, di confusione, di colpa, di vergogna, di rabbia e di follia. Ferite psicologiche che possono non guarire mai.

I più fortunati, da adulti, riescono a individuare il problema che inficia la loro quotidianità e non se ne lasciano travolgere. Lo riconoscono e lo affrontano. Alcuni di questi, con il giusto aiuto, sono stati in grado di rompere le catene interiori che li costringevano a rimanere ancorati a un passato che si faceva sempre presente con il suo fardello di indegnità. Altri, i più sfortunati, non sono riusciti ad affrancarsi dalle crudeltà subite. Per questi la vita sarà scandita dalla sofferenza: crisi di ansia o di depressione così gravi da costituire un vero e proprio handicap. “Rimettendo in atto” il trauma infantile infliggono del male a se stessi.

Da tempo sono state dimostrate le interdipendenze che esistono tra certi comportamenti autolesionisti e storie di abusi sessuali, violenza fisica e abbandono: la rabbia di chi è stato vittima di una violenza sessuale può agitarsi dentro di lui come la lava di un vulcano divenendo il carburante esplosivo che alimenta il suo autolesionismo.

Nonostante gli enormi drammi umani che produce, il sopruso incestuoso rispunta con inquietante continuità tanto da far parlare di “un fenomeno sommerso che né codici penali, né tabù millenari sono riusciti a sopprimere”. Una violenza che non viene affatto isolata dal contesto sociale e culturale in cui viene maturata ed è consumata all’interno della famiglia dove l’abuso è tenuto nascosto ancor più tramite il maltrattamento fisico e psicologico. Evento che, oltre a suscitare in noi la giusta indignazione, ci costringe a riflettere attentamente sulla struttura del nostro sistema sociale e sulle dinamiche che la rendono possibile.

 


[1] Crivillé A. “Il ruolo del sadismo, il ruolo del fattore sessuale” in Bambino incompiuto, 3. 1990. Petrone L. Troiano M. “E se l’orco fosse lei? Strumenti per l’analisi, la valutazione e la prevenzione dell’abuso al femminile”, FrancoAngeli, Milano, 2005

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