Questo non è un Paese per bambini

 In Editoriale, N. 1 - marzo 2011, Anno 2

La storia dell’umanità è segnata da date importanti. Allora ricordiamone alcune: era il 1789 quando arrivò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Quasi un secolo più tardi, nel 1865, venne abolita la schiavitù negli Stati Uniti. Ha visto la luce nel 1948 la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e nel 1966 il Patto internazionale sui diritti civili e politici. Porta la data 1978 la Dichiarazione universale dei diritti dell’animale. Dopo undici anni, nel 1989, finalmente ecco la Carta dei diritti dell’infanzia, buona ultima.

Solo nel 1989, solo 22 anni fa dunque, i 154 membri delle Nazioni unite sono riusciti ad accordarsi nel definire e riconoscere i diritti dei bambini.

Da appena un ventennio i bambini hanno ottenuto il riconoscimento dei medesimi diritti degli adulti e una serie di diritti sociali: dal diritto alla crescita a quello all’istruzione, dall’assistenza sanitaria, all’informazione alla sicurezza sociale fino ai diritti al riposo, allo svago e alla protezione dallo sfruttamento economico e dal lavoro nocivo.

Sono tutti diritti di cui si parla molto nella nostra società che non fa che discutere di bambini e di adolescenti. Ma al dibattito, che si è fatto ormai sterile e ripetitivo, non seguono mai azioni o iniziative concrete e di qualità.

Non solo, sembra che per certi versi dall’universo “infanzia” arrivo segnali sempre più inquietanti. Lo ha rivelato chiaramente la fotografia dei bambini e degli adolescenti italiani fatta dal Telefono Azzurro che, in occasione appunto dei 21 anni della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ha tracciato un bilancio sulla realtà dei minori nel nostro Paese.

Un bilancio con risultati preoccupanti che registrano una costante crescita del disagio, nelle sue più diverse forme, con percentuali spesso raddoppiate rispetto al passato. Bambini sempre più soli, bisognosi di parlare con qualcuno, vittime di abusi o violenze, protagonisti di episodi di bullismo e cyberbullismo. Anche il clima familiare è peggiorato. Al di là dell’alto numero di separazioni con le conseguenze, talvolta drammatiche, che questi eventi possono avere sui figli, in famiglia il dialogo sulle emozioni sembra essere molto limitato. Un bambino su tre racconta ai genitori solo episodi relativi alla vita scolastica, ma non parla delle proprie paure o delle proprie aspirazioni.

Non sorprende dunque il fatto che molti bambini spendano la propria paghetta per lo più in videogiochi, giochi e ricariche telefoniche.

Purtroppo non sorprende neppure il fatto che dai dati emerga che in un anno 1 bambino su 200 abbia chiamato il Telefono Azzurro per chiedere aiuto. Tra loro, ben 14.772 hanno riferito episodi di violenza. E queste sono solo le situazioni registrate, che lasciano però supporre che esista un vero e proprio sommerso di disagio e violenza inascoltati.

La violenza è in crescita e, sia chiaro, ha varie forme. Perché come dice Vittorino Andreoli, “la violenza in cui la maggior parte dei bambini oggi si trova immersa è la violenza dei genitori assenti e quella dei genitori troppo presenti”. Ovvero quei genitori che, nonostante le ristrettezze economiche, sembrano preoccuparsi soprattutto della rispondenza tra desideri materiali dei figli e soddisfazione degli stessi, in una tendenza all’accumulo di oggetti e di beni con i quali riempire lo spazio fisico e mentale dei bambini e degli adolescenti con il risultato di sovraccaricarli di ansie, di tormenti e di una serie di bisogni, quelli veri, che rimangono insoddisfatti.

Si è detto che la responsabilità di tutto questo va cercata nei mutamenti nelle strutture familiari, nei rapidi avanzamenti tecnologici, nella grave instabilità economica che hanno influito profondamente sul modo in cui i bambini e gli adolescenti vivono, sulle sfide che si trovano ad affrontare, sul modo in cui sono accuditi, educati, aiutati a crescere, sulla speranza con cui possono guardare al futuro.

Si è detto che siamo arrivati a un punto di rottura. Che manca una coerente politica educativa. Che sarà fondamentale recuperare identità e senso del futuro e ripensare le azioni a beneficio delle famiglie e delle comunità con una ri-valorizzazione delle relazioni a livello sociale.

Tutto vero. Ma prima di cercare qualsiasi cura dovremo davvero renderci conto di “sentirci male”. Solo quando avremo percepito profondamente il dolore, quello che ci fa correre dal medico perché insopportabile, saremo in grado di rimboccarci le maniche e trovare i rimedi efficaci. Solo quando noi adulti, con le istituzioni, avremo profondamente capito quanto pernicioso sia il malessere sociale che attanaglia l’Italia, che la crisi, la conflittualità e la solitudine sono un reale problema e che i bambini e gli adolescenti sono le prime vittime, potremo fare qualcosa di valido. Questo non è un Belpaese, men che meno per bambini. Diciamocelo una volta per tutte senza barare. Forse allora qualcosa potremo cambiarla.

Fiore e Ombre - cc mbd.marco

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