Le politiche della sicurezza in Italia

 In SegnaLibro, Anno 1, N. 4 - dicembre 2010

 

Le politiche della sicurezza in Italia.  Dalla “tolleranza zero” alla communi- ty policing: le nuove frontiere della si- curezza urbana. Ugo Terracciano – Experta, Forlì, 2009

Il termine Sicurezza deriva dai vocaboli latini “sine” e “cura” con il significato di “senza preoccupazione” e ricomprende al suo interno gli ambiti della sicurezza pubblica, sociale, del sicurezza sul lavoro, e molti altri. Si tratta di una evidente differenza rispetto ad altre realtà socio-culturali e giuridiche. Nel mondo anglosassone, ad esempio, è stata tracciata una distinzione fra il concetto di safety – che fa riferimento alla sicurezza dei beni, del lavoro ecc – e quello di security: la sicurezza delle persone. Da notare, inoltre, che, fino ad oggi quello della sicurezza è sempre stato considerato come un bene secondario, e non come un’esigenza primaria dell’essere umano.

“Le politiche della sicurezza in Italia” di Ugo Terracciano è uno dei primo libri a trattare il tema delle politiche della sicurezza. È evidente come, nel corso del tempo, intorno alla questione della sicurezza si siano diffusi indirizzi politici sempre più rivolti alla sua tutela: basti pensare al cosiddetto “Pacchetto sicurezza” entrato in vigore nell’estate del 2008.

Il termine sicurezza, infatti, sembra sempre più coincidere con quello di appagamento, che diventa tema centrale proprio con le politiche della sicurezza.

Nell’ordinamento giuridico italiano il concetto di sicurezza viene declinato in modo diverso a seconda dell’ambito d’interesse:

  • Politiche locali e urbane;
  • Politiche nazionali;
  • Politiche internazionali.

In Italia quello della sicurezza è un diritto garantito dalla Costituzione che individua anche quali organismi hanno la capacità di determinare le politiche sulla sicurezza, e di legiferare in materia. Le politiche nazionali della sicurezza, ad esempio, sono prerogativa esclusiva dell’esecutivo, il quale è l’unico organo legittimato a perseguirle. In questo quadro il ministero dell’interno riveste il ruolo di autorità nazionale di pubblica sicurezza, ovvero l’organo attraverso cui vengono prese le scelte di Governo in tema di pubblica sicurezza.

Con la legge 1 aprile 1981 n. 121 venne riformata l’amministrazione della pubblica sicurezza, inserendo su tutto il territorio nazionale due livelli attraverso cui perseguire l’amministrazione dello Stato: gli uffici centrali o dipartimento di pubblica sicurezza e quelli periferici (prefetture, questure, uffici periferici di polizia).

Dopo l’introduzione del d.l.g. 267/2000 “Testo unico sugli enti locali”, il cosiddetto modello di decentramento amministrativo fra Stato, Regioni, Provincie e Comuni è stata prevista un’equiordinazione sul piano giuridico così che ognuno ha la capacità di decidere quale indirizzo politico perseguire. Questi organismi sono come messi sullo stesso piano dal punto di vista istituzionale. Infatti ogni ente è considerato autarchico cioè possiede una sua autonomia decisionale che si esplica nel quadro delle leggi nazionali. Anche la Costituzione italiana, agli artt. 117 e 118 – interessati dalla riforma Bassanini del ’97 – prevede il principio di sussidiarietà, secondo cui è l’ente più vicino al cittadino a dover provvedere ai loro bisogni di sicurezza.

Ultimamente si sente sempre più parlare di federalismo. Un importante principio giuridico, in questo senso, è quello che dirime la competenza a provvedere con atti vincolanti, ovvero aventi forza di legge. Stato e Regione quindi hanno la possibilità di emanare leggi, che hanno valenza solo a livello locale. Un vincolo però viene posto dallo stesso art. 117 Cost. ed in tale contesto le amministrazioni locali possono legiferare solo sulle materie non statuali come: edilizia, polizia locale, commercio e trasporti.

Le politiche Europee hanno visto una forte dialettica tra le responsabilità di livello centrale rispetto alla centralità del livello locale. L’approccio localistico è avvantaggiato negli ordinamenti con forte decentramento come ad esempio gli Stati federali della Germania.

Una parte interessante dell’opera di Terracciano, inoltre, è dedicata al ruolo delle forze di polizia come agenti del controllo sociale.

L’impiego della polizia, infatti, ha visto un progressivo sviluppo delle politiche di coinvolgimento dei cittadini attraverso le community policing e la polizia di prossimità. Questo cambio di strategie si è reso necessario a causa del fallimento delle politiche di repressione criminale in quasi tutti gli ordinamenti. In molti ricorderanno come negli anni ’90, il sindaco di New York Rudolph Giuliani, applicò quella che è poi passata alla storia con il nome di politica della “tolleranza zero”. Questa si basava su una teoria sociologica definita della “broken window theory” (in italiano “teoria della finestra rotta”) basata sul concetto di inciviltà.

Le “incivilties” o “inciviltà” sono episodi di degrado che sovente hanno una scarsa rilevanza penale, ma che sono caratterizzati da un alta visibilità e che contribuiscono ad alimentare il senso di insicurezza dei cittadini. Nelle città moderne, le inciviltà, sono rappresentate dal degrado fisico e sociale, dalla presenza di segni o graffiti, dalla presenza di luoghi abbandonati a se stessi, nei quali si commettono azioni di microcriminalità come lo spaccio di sostanze stupefacenti o l’esercizio della prostituzione, senza che via sia alcuna forma di controllo.

Rispetto agli anni ‘80 e ‘90 il fenomeno della criminalità, oggi, è mutato radicalmente a causa di molteplici cambiamenti della società in cui viviamo. Da una criminalità organizzata in quegli anni siamo passati ad altre forme di  criminalità “di strada”, caratterizzata da eventi di violenza, e da forme di micro-criminalità come scippi e rapine e da un aumento di situazioni di degrado urbano.

Il criminologo americano David Garland la chiama crime complex, ovvero sindrome sociale del crimine. Si tratta di un fenomeno caratterizzato da alcuni elementi come alti indici di criminalità considerati come un normale fatto sociale, una politicizzazione del problema della criminalità e della questione sicurezza, una forte attenzione per le vittime nei discorsi politici, e la diffusione di condotte e strategie difensive.

A differenza di quanto verificatosi in Italia, negli ultimi trent’anni, tale questione è stata oggetto di numerosi studi e ricerche soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che hanno rilevato che il senso di insicurezza personale, seppure con un andamento parallelo all’aumento della microcriminalità, appare essere socialmente più diffuso, assumendo un rilievo particolare che lo rende una realtà sociale autonoma e indipendente.

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