Le vittime dimenticate: anziani, abusi e maltrattamenti

 In Sul Filo del Diritto, N. 2 - giugno 2013, Anno 4

Alcuni nodi critici di ordine psicologico-forense in ambito penale

Sostanzialmente l’anziano partecipa al processo penale come vittima e/o testimone di reato.

Infatti, spesso, la tipicità dei reati che subisce ‑ soprattutto quelli intra-familiari o presso strutture di accoglienza/ricovero sociosanitarie ‑ vedono come unici testimoni dei fatti proprio l’anziano e l’abusante.

Ciò implica che in diversi casi, dal momento che gli abusanti generalmente negano l’accaduto e che non sempre vi è un riscontro obiettivo del reato denunciato, l’anziano assuma un ruolo importante per l’accertamento del reato. Questo comporta alcune considerazioni, innanzitutto, in tema di metodologia della raccolta delle informazioni a fini giudiziari.

Si tratta, infatti, per le questioni che si sono già evidenziate, di  soggetti potenzialmente vulnerabili da un punto di vista cognitivo e primariamente mnestico o relazionale rispetto al rapporto con l’abusante.

Appare quindi importante effettuare una raccolta delle informazioni giudiziarie secondo procedure metodologiche e strumenti specificatamente codificati a tal fine: sia per minimizzare la possibilità che l’impatto con il sistema giudiziario possa ulteriormente vittimizzare l’anziano, sia per tutelare la qualità delle informazioni che può fornire sui fatti.

La letteratura specialistica (APCC, 2002; Canter e Alison, 2002; Home Office, 2011; IFVCC, 2011; Markarian, 2006) suggerisce, a tal fine, di seguire alcuni accorgimenti procedurali e contestuali quali:

  • provvedere alla raccolta delle informazioni giudiziarie in un contesto, se possibile, familiare per l’anziano (come per es. la sua abitazione) o comunque in un luogo che non generi ulteriore stress;
  • evitare che durante il suo “ascolto” vi siano distrazioni, visto il calo di attenzione in età senile;
  • mettere l’anziano a proprio agio, non solo curando la sua “accoglienza” ma anche rassicurandolo che “l’intervista” non comporta una valutazione delle sue prestazioni;
  • minimizzare il numero delle persone presenti: se possibile ascoltarlo da solo;
  • essere pazienti e rassicuranti;
  • molte persone anziane possono aver bisogno di riordinare i ricordi, le idee, i pensieri e quindi possono aver bisogno di pause;
  • dargli la possibilità di dire “non capisco”,”non ricordo”;
  • parlare lentamente e in maniera chiara;
  • usare frasi brevi e semplici;
  • non interromperlo;
  • evitare di formulare più domande nello stesso periodo;
  • evitare non solo le domande suggestive ma anche quelle a scelta multipla e “a coda” (De Leo, Scali, Caso, 2005).

Queste e altre cautele consentono l’emersione e il resoconto dei ricordi sui fatti oggetto del procedimento in maniera che le distorsioni della memoria siano contenute al minimo, ma permettono anche all’anziano di sentirsi ascoltato, e accolto e trattato, quindi, dignitosamente e giustamente.

Durante tali “ascolti” giudiziari è consigliabile provvedere ad una struttura generale dell’intervista secondo quattro fasi principali:

  • Creare rapporto: fase in cui attraverso l’accoglienza, la spiegazione del contesto e dei ruoli e la trattazione di argomenti neutri si persegua l’obiettivo di promuovere quel minimo sufficiente di rapporto che possa consentire un clima positivo;
  • Facilitare una narrazione libera: invitare l’anziano a raccontare l’accaduto a modo suo, usando le espressioni e la tempistica che è per lui più consona. Si favorisce tale narrazione se si seguono le indicazioni di cui sopra quali, per es., non interromperlo, rispettare i suoi tempi, usare il suo linguaggio, ecc.
  • Narrazione guidata: sulla base di quanto narrato nella fase precedente, si procede a domande aperte per chiarire/approfondire il “dove”, “quando”, “come”, “chi”, “quante volte”, ecc.
  • Chiusura: consentire all’anziano di chiudere l’ascolto giudiziario rispettando i suoi tempi e le sue necessità; ringraziarlo comunque per le informazioni che ha fornito.

Oltre a ciò, vanno utilizzati specifici protocolli di “intervista investigative” specificamente validate quali l’Intervista Cognitiva per Adulti e l’Intervista Strutturata (Cavedon, Calzolari, De Leo, Scali, Caso, 2005). Questi protocolli consentono di raccogliere informazioni giudiziarie ottemperando sia all’obiettivo di tutelare la vittima anziana nell’impatto con il sistema della giustizia affinché ciò le procuri il minor livello di stress possibile, sia a quello di far emergere dati sul reato con minor suggestioni possibili e, quindi, che possano essere utilizzati in sede giudiziaria. È bene che  l’attività di raccolta delle informazioni giudiziarie nelle diverse fasi processuali sia videoregistrata.

Inoltre, chi scrive ritiene che sarebbe auspicabile estendere la possibilità di assumere la testimonianza della persona anziana, quando particolarmente significativa per il procedimento penale, con le forme dell’incidente probatorio. Tra l’altro, queste consentirebbero di poter provvedere, come previsto per le vittime minorenni (art. 398, c. 5bis, c.p.p.), a che l’assunzione avvenga con i tempi, modi e luoghi più opportuni per la specificità della persona anziana vittima-testimone di reato, e con l’ausilio di un esperto.

A questo proposito occorre provvedere in tempi brevi a che il processo penale ponga al proprio interno soluzioni efficaci quando deve “ascoltare” vittime di reato, in particolare quando ritenute “vulnerabili” come gli anziani, considerate le recenti “Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato” (Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012), cui gli Stati Membri dell’Unione Europea, inclusa dunque l’Italia, dovranno fare riferimento.

Un altro aspetto critico nell’ambito del processo penale che vede come vittime persone anziane è la loro valutazione; ciò è legato sostanzialmente a due circostanze. La prima è il caso in cui si debba valutare la loro capacità a deporre; la seconda è il caso della valutazione della loro “vulnerabilità” in quanto parte costitutiva del reato contestato all’indagato/imputato, come per es. nei casi di “circonvenzione di persone incapaci” (art. 643, c.p.), “abbandono di persone minori o incapaci” (art. 591, c.p.), “maltrattamenti contro familiari e conviventi” (art. 572, c.p.), “abuso dei mezzi di correzione o di disciplina” (art. 571, c.p.).

In entrambi i casi bisogna procedere ad una valutazione delle condizioni psichiche dell’anziano rigorosa e attraverso strumenti scientificamente fondanti.

Una rigorosa valutazione della persona in età sentile non può essere limitata all’analisi del solo disturbo psicopatologico, ma deve essere integrata in una più ampia indagine che tenga conto di tutti gli aspetti (fattori biopsicosociali) che determinano lo stato di salute del soggetto.

In quest’ottica, quindi, vanno presi in considerazione strumenti standardizzati cosiddetti a tre dimensioni, che permettono, cioè, di misurare tutte e tre le dimensioni: fisica, mentale e sociale.

Dal punto di vista delle procedure innanzitutto è utile considerare più fonti di informazioni:

  • documentali: analizzare eventuali referti medici, cartelle cliniche, altri documenti che consentono di raccogliere informazioni sulla condizione psicofisica dell’anziano, sia passata che attuale;
  • altri professionisti: per es., convocare il medico di base o altri professionisti che possano fornire dati utili per inquadrare la storia clinica del soggetto;
  • familiari o altre persone significative (non implicate nel reato per cui si sta procedendo): va raccolta un’approfondita anamnesi familiare ed individuale dell’anziano.

Tale attività va corredata con l’osservazione diretta e il colloquio clinico con l’anziano, cui si devono somministrare strumenti specifici che permettano di valutare il suo stato psichico attuale, come si diceva, su tre dimensioni.

In generale, l’attività clinica è finalizzata ad esplorare la cosiddetta capacità decisionale dell’anziano che comporta la valutazione di almeno quattro aree:

  • l’espressione, cioè la capacità di esprimere/manifestare le proprie scelte;
  • la comprensione, vale a dire al capacità di comprendere le informazioni rilevanti per scegliere;
  • la valutazione, che identifica la consapevolezza dei significati delle scelte;
  • il ragionamento, che implica l’abilità di valutare razionalmente la scelta.

Tra gli strumenti standardizzati, oltre a quelli più tradizionali di personalità, vanno impiegati ausili psicodiagnostici che permettano una valutazione specialistica: in questo campo la letteratura è ampia. Qui si cita solo, per es., il BAC (De Beni, Borella, 2007) che permette di valutare sia gli aspetti cognitivi che emotivi dell’età adulta avanzata; oppure, per la valutazione dell’eventuale presenza di Alzheimer, il MODA (Brazzelli, Capitani, Della Sala, Spinnler e Zuffi, 1994) o l’ADAS (Rosen, Mohs, Davis, 1996). Tali strumenti chiaramente non vanno somministrati indistintamente, ma scelti a seconda delle specifiche caratteristiche dell’anziano e delle sue eventuali aree disfunzionali.

Inoltre, la valutazione del funzionamento complessivo del soggetto deve tener conto della complessità che tale attività implica: infatti, essa deve essere tesa a differenziare gli aspetti fisiologici o piuttosto quelli patologici, cioè distinguere l’“anzianità fisiologica” da quella “patologica”, di cui si è detto più sopra.

Ci si potrebbe trovare di fonte una persona anziana sufficientemente integra nel suo funzionamento generale, e non in grado di riferire i fatti di rilevanza penale, per es., per i motivi psicologici che la legano all’abusante, come evidenziato nelle pagine precedenti; così come potremmo, invece, trovarci di fronte a un anziano che presenta un quadro clinico complessivamente critico o con delle aree psichiche che presentano dei problemi, ma essere, comunque, in grado di riferire l’accaduto.

Pertanto, appare ulteriormente opportuno procedere alla valutazione psicologico-giuridica delle sue condizioni psichiche in maniera approfondita e scientificamente fondata.

Non si può ottenere realmente giustizia se le vittime tutte, ma in particolare quelle considerate “vulnerabili” come gli anziani, non riescono a spiegare adeguatamente le circostanze del reato e a fornire prove in modo comprensibile alle autorità competenti.

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