Dipendenza da gaming online: introduzione al fenomeno

 In @buse, N. 2 - giugno 2020, Anno 11

Per introdurre il fenomeno che oggi viene definito come “dipendenza da videogiochi online” o “gaming online addiction”, occorre innanzitutto conoscere le origini e lo sviluppo della tecnologia informatica.

Il video gioco, più comunemente chiamato con l’anglicismo video game, è un gioco gestito da un dispositivo elettronico che consente di interagire con le immagini di uno schermo: nato a partire dagli anni ’50, negli ambienti di ricerca scientifica americana, è stato per anni oggetto di sviluppo ed innovazione, evolvendosi fino a diventare oggigiorno parte integrante della vita sociale.

Dal 1952, dove nei laboratori dell’Università di Cambridge A.S. Douglas, come esempio per la sua tesi di dottorato, realizzò OXO, la trasposizione del gioco Tris per computer, passando per il 1958, dove il fisico Willy Higinbotham del Brookhaven National Laboratory, notando lo scarso interesse che avevano gli studenti per la materia, realizzò un gioco (Tennis for Two) che aveva il compito di simulare le leggi fisiche che si potevano riscontrare in un vero incontro di tennis, si arriva al 1961, dove sei giovani scienziati del MIT (Massachusetts Institute of Technology) riescono a dare movimento a puntini luminosi sullo schermo di un PDP-1: nasceva Spacewar!, il primo vero videogioco che la storia ricordi (Kent, 2000/2001). Ma il grande sviluppo dei videogiochi si avrà solamente a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Nel 1972 nasceva Atari, che con la produzione dei suoi cabinati segna l’inizio dell’età dell’oro dei videogiochi arcade e l’inizio dei primi dibattiti sui video games e sul loro uso (Donovan, 2010).

Infatti, nel 1976, esce Death Race, un gioco il cui scopo era quello di investire con l’auto dei “gremlins” che assomigliavano molto a dei pedoni: da allora fino ad oggi l’opinione pubblica non ha mai smesso di interrogarsi sulla violenza gratuita di alcuni videogiochi.

Ma fino agli anni ’80, il mondo dei videogiochi rimane relegato nelle sale giochi o negli ambienti di ricerca dove era disponibile un computer. Perché il videogioco diventi “online”, ovvero sempre accessibile e disponibile, dobbiamo aspettare la diffusione di un altro importante mezzo tecnologico: Internet.

Le origini dello strumento che oggi conosciamo come Internet si ritrovano nell’epoca dei primi viaggi spaziali per merito dell’Advanced Research Projects Agency (ARPA): creata nel 1958 dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, lo scopo di questa agenzia era l’ampliamento massiccio e lo sviluppo celere della ricerca scientifica e tecnologica, per cercare di riaffermare la supremazia statunitense in questo campo dopo il lancio del primo satellite (Sputnik) nel 1957 da parte dell’Unione Sovietica. Nel 1965 l’ARPA aveva incrementato il numero dei calcolatori presenti nei centri di ricerca, molto costosi e potenti, ma che, situati in sedi fisicamente distanti, non riuscivano a comunicare tra loro: scambiare file era quasi impossibile, a causa della distanza, dalla grandezza dei pacchetti dati e dei formati di archiviazione completamente diversi che ognuno di essi usava. Così, l’ARPA incaricò il professore di informatica Leonard Kleirock di trovare una soluzione a questo problema: nell’ottobre 1969, furono collegati telefonicamente i calcolatori presenti nell’Università della California di Los Angeles e nello Stanford Research Institute, segnando così la nascita di ARPAnet, il predecessore di Internet. La crescita dei nodi collegati alla rete fu esponenziale, in soli tre anni si passò da due a 37 nodi collegati negli U.S.A, e nel 1974 fu effettuato il primo tentativo di far giocare più persone contemporaneamente con computer collegati in seriale. Il gioco che si chiamava Maze War, ed i giocatori, tramite una visuale in prima persona, dovevano cercarsi gli uni con gli altri in un labirinto virtuale per eliminare gli altri giocatori, finché non ne rimaneva soltanto uno.

In seguito, l’università del MIT partorì un nuovo gioco di avventura denominato Adventure, che conteneva degli elementi tratti da Dungeons and Dragons, un popolare gioco di ruolo a tema fantasy. Il videogioco, ripreso nel 1975 da alcuni studenti sempre del MIT, fu trasformato in Zork, e nel 1980 fu pubblicato per Apple II, Commodore 64 ed i computer a 8 bit dell’Atari. In seguito, Roy Trubshaw e Richard Bartle, dell’Università dell’Essex, svilupparono un’estensione multiutente pensata proprio per Zork: nasce così il primissimo Multi Users Dungeon (MUD) (Kelly e Rheingold, 1993), un gioco testuale dove i giocatori interagiscono con il mondo e gli altri utenti semplicemente digitando dei comandi da tastiera. Lo sviluppo dei MUD avvenne prevalentemente in ambito accademico ed in particolare presso l’Università dell’Essex dove veniva giocato da molte persone, anche esterne all’università stessa. Scherzosamente MUD cambiò significato in “distruttore di studenti universitari” (dall’inglese “Multi Undergraduate Destroyer”) poiché il tempo dedicatogli dagli studenti aumentava sempre più allontanandoli dal completamento degli studi (Bartle, 2003). Negli anni ’70 inoltre si assiste alla nascita della prima generazione di console e contemporaneamente si registrano all’incirca 10.000 computer collegati da tutto il mondo alla stessa rete. Nel 1978 avvenne il lancio commerciale dei video giochi cabinati, con Space Invaders, sviluppato dalla casa produttrice giapponese Taito. Tre anni dopo la Namco, crea Pac-Man, il primo videogioco a entrare nell’immaginario collettivo. L’improvvisa esplosione del personal computing agli inizi degli anni ‘80 aprì definitivamente la strada alla commercializzazione su scala planetaria dei videogames, facendoli uscire dalle sale-giochi e diffondendoli in modo capillare. Sempre negli anni ’80, con Defender, nacque il genere degli sparatutto a scorrimento; Battlezone introdusse un mondo di gioco tridimensionale, benché in grafica vettoriale monocromatica e comparve Mario (conosciuto oggi come Super Mario) per la prima volta, originariamente chiamato Jumpman. Nel 1991 il CERN rilascia il protocollo HTTP, un sistema che permette una letteratura ipertestuale, segnando la nascita del World Wide Web: grazie a ciò, le risorse disponibili vengono organizzate in librerie in cui si può facilmente navigare, permettendo ad Internet di diventare il mezzo rapido ed intuitivo di ricerca e di informazione per tutti che oggi conosciamo. Nel dicembre 1994 esce sul mercato la Playstation di Sony (lancio europeo nel 1995) che rimane tutt’ora una delle console più conosciute e vendute al mondo[1]. Nel 1995 fu coniato il termine MMOG (Massive Multiplayer Online Game, Gioco Online Multigiocatore di Massa), per poi essere successivamente trasformato in MMORPG (Massive(ly) Multiplayer Online Role Play Games, Gioco di Ruolo Online Multigiocatore di Massa) da Richard Garriott nel 1997 quando creò Ultima Online, un gioco in terza persona a tema fantasy a cui si può giocare tutt’ora, sia in grafica bidimensionale che tridimensionale. Il successo finanziario di questo titolo, e di quelli che si svilupperanno quasi simultaneamente, ha assicurato una crescita esponenziale dalla sua nascita, fino ad arrivare al 2004, quando la Blizzard Entertainment lancia sul mercato World of Warcraft, gioco che viene definito MMORPG per eccellenza e che fino alla prima decade del nuovo millennio dominava incontrastato il mercato (Asbjørn, 2010). La Blizzard Entertainment introdusse tutti quegli elementi del gameplay che fino a quel momento erano stati presentati in una forma embrionale, battendo tutti i record di vendita, totalizzando 240.000 copie vendute nel primo giorno di disponibilità negli Stati Uniti. La stessa Blizzard in un comunicato stampa rilasciato pochi giorni dopo l’uscita del gioco ha affermato che «oltre ad avere abbattuto tutti i record di vendita, WOW ha superato ogni record anche in fatto di account. Nel corso del primo giorno il numero di account creati è stato di 200.000 e alle cinque del pomeriggio del 23 novembre c’erano on line più di 100.000 giocatori, saturando al massimo delle loro capacità i 40 server a disposizione».

WoW, come viene chiamato comunemente dai giocatori, riesce ben presto ad uscire dal semplice gioco dietro lo schermo entrando nella cultura popolare di una generazione di adolescenti e non solo: sono stati pubblicati ad oggi una serie di libri ambientanti nel mondo di WoW, alcuni giochi da tavola e di ruolo che ricalcano le meccaniche del videogioco, un film uscito nel 2016 dal titolo “Warcraft – L’inizio” (adattamento cinematografico di Warcraft: Orcs & Humans, del primo videogioco della saga di Warcraft), senza contare le numerose citazioni nei fumetti, nei cartoni ed in serie televisive, che hanno reso ancor più celebre il gioco.

Ma il fenomeno legato a WoW non è stato un caso isolato: se ci soffermiamo a pensare che un videogioco come Grand Theft Auto V (GTA 5, Rockstar North, 2013) ha incassato più di 800 milioni nelle prime 24 ore dopo il lancio e dopo soli tre giorni ha raggiunto il miliardo di dollari e i 15 milioni di copie vendute, infrangendo 7 record mondiali di vendita contemporaneamente ed entrando di conseguenza nel Guinness dei primati, è una conseguenza logica domandarsi come mai i contenuti di questi videogiochi attirino così tante persone e soprattutto se possano avere una qualche tipo di influenza nella vita quotidiana.

Globalmente, nel 2015 vengano registrati 1,8 miliardi di giocatori con una stima di 711 milioni di giocatori attivi (Skaugen, 2015) e ad aprile 2019 vengono registrati globalmente 4.536.248.808 utilizzatori di Internet: in nemmeno 50 anni dalla nascita delle nuove tecnologie più della metà della popolazione mondiale utilizza regolarmente Internet ed un decimo del pianeta gioca regolarmente con i videogames. Questi dati fanno sì che i videogiochi rientrino oggi nei fenomeni culturali di massa, come tipo di medium unico nel suo genere, legato fortemente al progresso tecnologico.

 

Internet Addiction Disorder

L’attenzione crescente verso i comportamenti di abuso di alcuni utenti verso videogiochi online ha portato la comunità scientifica a chiedersi se ci fossero i presupposti per inquadrare un nuovo tipo di disordine o se questo fenomeno potesse rientrare come un sottotipo di dipendenza da Internet, un disturbo ben più conosciuto e studiato.

La dipendenza da Internet o IAD (Internet Addiction Disorder) si è imposta all’attenzione del mondo quando, in modo provocatorio, lo psichiatra Ivan Goldberg nel 1995, propose dei criteri mutuati dalla diagnostica per le dipendenze da stupefacenti tratta dal DSM-IV, inaugurando una prima fase della ricerca improntata all’assimilazione su un piano fenomenologico della dipendenza ad Internet alla dipendenza a sostanze psicoattive. Nel 1995, il dr. Ivan Goldberg conia il termine Internet Addiction, riferendosi all’uso mal adattivo di Internet che conduce a menomazione o disagio clinicamente significativi. Nel 1998 viene pubblicato in Italia dallo psichiatra Tonino Cantelmi il primo articolo scientifico al riguardo e nel 2009 viene aperto il primo ambulatorio ospedaliero italiano specializzato nella dipendenza da Internet. Questo nuovo tipo di disordine continua ad essere talmente attuale che nel marzo 2014 viene organizzato il “First International Congress on Internet Addiction Disorders”, a Milano. Lo IAD, sebbene non ancora ufficialmente riconosciuta dal Manuale Statistico e Diagnostico dei Disordini Mentali (DSM-5, American Psychiatric Association) ha sempre riscosso una certa attenzione dalla parte della comunità scientifica e non solo; anche nel linguaggio comune viene spesso usato il termine “malato del computer” o “maniaco di Internet” per quegli individui che ne fanno un uso smodato secondo il parere personale. Indagini di mercato riferite all’anno 2019, riportano che circa il 58% della popolazione mondiale, e circa l’88% degli italiani, utilizza Internet quotidianamente e sebbene questo fenomeno sia stato spesso preso in esame sia dalla comunità scientifica che dall’opinione pubblica, continuano a sussistere delle problematiche che non permettono di delineare un quadro clinico puntuale.

Diversi studiosi affermano che la dipendenza da Internet non può essere considerata uno specifico disturbo psichiatrico, ma piuttosto un sintomo psicologico che può connettersi a differenti quadri diagnostici e clinici. Il termine “dipendenza da Internet” è in realtà una definizione piuttosto vasta che copre un’ampia varietà di comportamenti, ai quali sottostanno da un punto di vista psicologico problemi nel controllo degli impulsi e difficoltà nel regolare gli stati emotivi dolorosi (Cantelmi, 2008). Si considera “dipendenza” quando i comportamenti messi in atto dall’individuo lo portano a impiegare una grande quantità di tempo e di energie nell’utilizzo della rete, creando in tal modo menomazioni forti e disfunzionali nelle principali e fondamentali aree esistenziali, come quella personale, relazionale, scolastica, familiare e affettiva.

La diagnosi di disturbo da gioco d’azzardo patologico si avvicina particolarmente all’IAD perché comporta il fallimento della capacità di controllo senza implicare un’intossicazione da sostanza. L’IAD è una modalità eccessiva di utilizzo della rete telematica che si traduce in una serie di sintomi cognitivi e comportamentali tra cui la perdita di controllo, la tolleranza e l’astinenza.

Goldberg (1995) approfondì quest’impostazione definendo un quadro patognomico della IAD caratterizzato da:

  • bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere soddisfazione;
  • mancanza d’interesse crescente per altre attività che non siano Internet;
  • sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell’uso di Internet, dei classici sintomi di astinenza come agitazione psicomotoria, ansia, depressione e pensieri ossessivi su cosa accade on-line;
  • necessità di accedere alla “rete” sempre più frequentemente o per periodi più prolungati rispetto all’intenzione iniziale;
  • impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l’uso di Internet;
  • dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate all’uso di Internet;
  • continuare a utilizzare Internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici provocati da esso.

Griffith, nel 1997, sosteneva che le dipendenze da Internet condividono con le dipendenze da sostanze alcune caratteristiche essenziali:

  • Dominanza: l’attività domina i pensieri ed il comportamento del soggetto assumendo un valore primario tra tutti i suoi interessi;
  • Alterazioni del tono dell’umore: l’inizio dell’attività provoca cambiamenti nel tono dell’umore, come un aumento di eccitazione o maggiore rilassatezza come diretta conseguenza dell’incontro con l’oggetto della dipendenza;
  • Tolleranza: bisogno di aumentare progressivamente l’attività per ottenere l’effetto desiderato;
  • Sintomi d’astinenza: malessere psichico e/o fisico che si manifesta quando s’interrompe o si riduce il comportamento;
  • Conflitto: conflitti interpersonali tra il soggetto e coloro che gli sono vicini e conflitti interni con sé stesso, a causa del suo comportamento dipendente;
  • Ricaduta: tendenza a ricominciare l’attività dopo averla interrotta.

Inoltre, Griffith (1997) considera la IAD una particolare forma di dipendenza comportamentale che può essere passiva (televisione) o attiva (videogiochi) e che ha proprietà di auto induzione e auto rinforzo.

Un elemento importante che emerge dalla ricerca è, comunque, che mentre i normali utenti vedono Internet come una risorsa che non interferisce nella vita quotidiana, i soggetti dipendenti subiscono da moderati a gravi problemi a causa dell’abuso di Internet. Tali problemi sono di varia natura e si manifestano in diversi ambiti della sfera personale.

Una ricerca nel 1996 di Kimberly Young, studiosa americana, fondatrice del Center for Online Addiction statunitense, dimostrò che i dipendenti da Internet utilizzano il web in modo significativamente differente rispetto agli individui che non ne sono dipendenti. L’autrice rilevò, inoltre, che i “dipendenti” preferivano chattare ed i giochi di ruolo virtuali (i cosiddetti multi-user dungeon o MUD) mentre i “non-dipendenti” usavano prevalentemente il servizio di posta elettronica ed i sistemi di ricerca di informazioni.

La Young arriva a definire cinque tipi differenti di dipendenza online, mentre il Cantelmi sostiene che l’Internet Addiction Disorder non sia una categoria omogenea di disturbi ma si manifesti sotto varie forme e per questo preferisce usare il termine IRP (Internet Related Psicopatology) date le numerose attività che si possono svolgere on-line. Le tipologie più comuni di dipendenza collegate ad Internet sono (Young, 2000):

  • Cybersexual addiction: uso compulsivo di siti dedicati al sesso virtuale e alla pornografia.
  • Cyber-Relational Addiction: la tendenza ad instaurare relazioni con persone incontrate on-line, ed a preferire quest’ultime ai rapporti nella realtà con la famiglia e gli amici reali. In molti casi questo conduce all’instabilità familiare, dato che il soggetto si isola, vivendo in un mondo parallelo, popolato da persone idealizzate; anche in questo tipo di dipendenza gioca un ruolo molto importante l’anonimato, che permette di presentarsi agli altri con identità del tutto inventate sulla base dei desideri più profondi.
  • Net Compulsion: comportamenti compulsivi che si possono mettere in atto tramite Internet. I più comuni sono gioco d’azzardo, partecipazione ad aste on-line, e-commerce. Queste attività hanno diverse caratteristiche in comune: la competizione, il rischio ed il raggiungimento di una immediata eccitazione. Young sostiene che partecipare ad un’asta è come giocare d’azzardo, le persone che sviluppano una dipendenza per una di queste attività solitamente subiscono problemi finanziari gravi.
  • Information overload: la ricchezza dei dati disponibili in rete ha creato un nuovo tipo di comportamento compulsivo per quanto riguarda l’utilizzo dei database virtuali. Si stima che gli individui trascorreranno sempre maggiori quantità di tempo nella ricerca e nell’organizzazione di dati reperiti in rete. Young commenta: «Internet semplicemente alimenta la mentalità americana del ‘fast food’ nei confronti dell’informazione. La gente desidera ardentemente essere sempre al corrente ed avere accesso alle informazioni, tanto che poi si trova intrappolata in enormi scorpacciate di notizie» (Young 2000).
  • MUD’s Addiction: la tendenza al coinvolgimento nei MUD’s, giochi di ruolo interattivi in cui il soggetto partecipa costruendosi un’identità fittizia che consente di esprimersi liberamente inventando personaggi che sostituiscono la vera personalità dell’individuo. Sebbene gli scorsi anni abbiano visto un declino della popolarità dei MUD in favore delle avventure grafiche, i MUD continuano ad attrarre giocatori e sono accessibili tramite client specializzati.

Ma non si diventa dipendenti da Internet improvvisamente: i soggetti maggiormente a rischio hanno un’età compresa tra 15 e 40 anni, con un elevato livello di conoscenza degli strumenti informatici, isolati per ragioni lavorative come turni notturni o geografiche, con problemi psicologici, psichiatrici o familiari spesso preesistenti. Il tipo di personalità predisposto a sviluppare tale disturbo è caratterizzato da tratti ossessivo-compulsivi, inibito socialmente, tendente al ritiro, per il quale la rete rappresenta un modo per fuggire dalla realtà. I giovani non sempre applicano alle loro esperienze su Internet gli stessi atteggiamenti prudenziali, che hanno nei confronti delle relazioni interpersonali. La relazione online non facilita la consapevolezza dei rischi da parte di bambini; essa rimane più aleatoria, non ha confini precisi, è indefinita e, di fatto, più difficilmente comprensibile e controllabile (Cantelmi, 2000).

Internet garantendo anche la formula dell’anonimato o permettendo la possibilità di rifugiarsi dietro una falsa identità, infonde un senso di sicurezza ed impunità ai suoi frequentatori. I fattori che rendono Internet così attraente che sono stati isolati da Cantelmi mutuandoli dagli studi della Young sono: Accessibilità, relativamente all’accesso facilitato ad attività come l’”online gambling” o lo shopping ecc., Controllo, che in rete può essere esercitato con maggiore efficacia che nella vita reale, ed Eccitazione, provocata dall’enorme quantità di stimoli che la vita “online” offre.

Inoltre, negli ultimi anni sono state teorizzate nuove patologie specifiche connesse ai diversi usi di Internet, come la Trance dissociativa da videoterminale (Carretti, 2001), la Dipendenza da Social Network, l’utilizzo patologico della rete o PIU (Patological Internet Use) e l’ormai nota Sindrome da disconnessione o Nomofobia (Lavenia, 2004), che rendono ancora più vasto ed intricato il termine di disturbo di dipendenza da Internet.

 

Conclusioni

La dipendenza dalle nuove tecnologie è sicuramente in fase di crescita e purtroppo viene spesso confusa con situazioni psicopatologiche diverse; il gioco d’azzardo patologico è al momento l’unico disturbo non correlato a sostanze inserito come categoria diagnostica nel DSM 5. Il gruppo di lavoro del DSM 5 ha esaminato più di 240 articoli trovando similitudini comportamentali tra gioco su Internet, disturbo da gioco d’azzardo patologico e disturbo da uso di sostanze (American Psychiatric Association, 2014). Circa un terzo degli utenti Internet navigano in rete come forma di fuga o per cambiare il proprio umore: gli uomini sono in genere attratti da stimoli visivi, mentre le donne sono maggiormente concentrate sulle relazioni e interazioni (De Angelis, 2000). La diagnosi del gioco d’azzardo patologico si avvicina particolarmente all’IAD perché comporta il fallimento della capacità di controllo senza implicare un’intossicazione da sostanza. L’IAD è una modalità eccessiva di utilizzo della reta telematica che si traduce in una serie di sintomi cognitivi e comportamentali tra cui la perdita di controllo, la tolleranza e l’astinenza. Se ai soggetti viene impedito di usare il computer, diventano irritabili, ansiosi o tristi, spesso rimangono senza cibo o sonno per lunghi periodi e trascurano i normali doveri sociali. Nel caso di gioco online, caratteristica essenziale del disturbo è la partecipazione ricorrente e per lungo tempo a giochi di gruppo che prevedono la competizione e la strutturazione di attività sociali di interazione durante il gioco. In tale condizione, vengono trascurate le occupazioni personali, familiari o professionali. In conclusione, sebbene siano ormai vent’anni che questo disturbo sia oggetto di studi e nonostante esista una prolifica e fiorente letteratura (scientifica e non), si può capire come mai non si siano trovati ancora dei criteri diagnostici rigorosi e universali per l’IAD e conseguentemente per il nuovissimo disturbo da gaming online: Internet, il suo utilizzo e le nuove tecnologie in generale si evolvono così rapido che risulta difficile poter inserire in un’unica definizione tutte le problematiche emergenti ad esse connesse.

 

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  1. 102 milioni di unità vendute dal 1994 al 2006, al quarto posto delle console più vendute al mondo dopo Sony Playstation 2, Nintendo DS e Nintendo Game Boy.

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