Geographic profiling
Il Geographic Profiling rappresenta un’innovativa metodologia investigativa applicata alle indagini criminali che determina, attraverso la valutazione della dislocazione delle locations dei crimini, la probabile area di attività di un offender seriale e, in particolare, esalta l’area di ricerca entro cui è possibile che l’offender risieda o abbia fissato la base da cui partono le attività criminose. La tecnica “spaziale” interviene in presenza di particolari crimini, anche efferati, come gli omicidi seriali, le aggressioni sessuali, gli atti di piromania in serie, le rapine in banca, furti ripetitivi.
Questo strumento fornisce alle agenzie di controllo una gerarchizzazione delle zone di priorità dove poter meglio mettere in pratica le attività investigative, servendosi di un’analisi qualitativa e quantitativa dell’area in cui i reati si sono verificati.
Mediante lo studio della collocazione spaziale dei siti del crimine è possibile esplorare la relazione tra i luoghi, l’offender e il suo spazio abituale. Secondo Brantingham (1995) gli ambienti urbani che generano criminalità sono “costruzioni” umane, rappresentano il sottoprodotto dello spazio che utilizziamo per far fronte alle esigenze della vita quotidiana (casa, area residenziale, zona di svago, uffici, negozi, sistema di trasporto, fermate di autobus, strade) ed è proprio in questo spazio che si possono ricercare e rinvenire le possibili interconnessioni con il reo, propedeutiche all’individuazione dell’autore del delitto. In effetti, secondo Sherman (1995), il crimine è sei volte più prevedibile dall’indirizzo dell’evento anziché dall’identità dell’autore del reato.
Le ricerche criminologiche ambientali suggeriscono che le località ove vengono commessi i crimini non sono per niente selezionate a caso da un criminale e che l’attività delittuosa è spazialmente dipendente dalla prossimità a specifici luoghi. Infatti, molti autori di reato agiscono su distanze relativamente ridotte rispetto ai luoghi dove risiedono, in un’area locale, in adiacenza alle strade vicine a dove abitano, e in alcuni casi anche nelle loro stesse abitazioni; di conseguenza, le vittime sono gli stessi vicini, gli abitanti del quartiere e gli obiettivi in esso collocati, i membri della famiglia. Tuttavia, nonostante la maggior parte dei criminali tende a commettere reati all’interno di un raggio limitato rispetto a dove vivono, esiste una porzione di offender che delinque in aree più distanti dalla zona di residenza. Questo “stato di cose” lascia continuamente aperta la questione sul motivo per cui gli offender spesso si muovono attorno alla loro home base e, in altre circostanze, si spostano altrove per eseguire un crimine, e inoltre in quale zona si spostano e perché scelgono quel determinato sito.
Un vasto corpo di ricerche scientifiche nell’ambito della criminologia ambientale prova la centralità della home base quale punto di origine per gli spostamenti criminali, ma nello stesso tempo dimostra che quando gli autori di reato non colpiscono vicino la home base attuale, di solito hanno la tendenza a farlo nelle vicinanze dei luoghi a loro conosciuti, o che hanno anche funto da abitazione o da base precedente.
Brantingham e Brantingham (1981) affermano che le offese avvengono all’interno dello spazio di consapevolezza (awareness space) dell’autore del reato e suggeriscono che la residenza del reo (passata ed attuale) continua ad essere considerata parte dello spazio di consapevolezza dell’offender anche per un certo periodo di tempo dopo che si è trasferito altrove o se ne è allontanato.
Questo dimostra che l’interazione tra l’individuo e l’ambiente definisce il comportamento e, di conseguenza, anche la condotta criminale è da ritenersi collegata alla persona e allo spazio geografico.
L’approccio della criminologia ambientale fornisce una nuova visione di analisi criminale che esamina la relazione tra l’home base del reo e l’ubicazione dei crimini; allontanandosi dall’indagine sulle cause del crimine, insiste sulla rilevanza del dove la vittima o un target entrano in contatto con l’offender e dove si verificano i reati, e suggerisce che i criminali hanno meccanismi decisionali spaziali su cui attestano i loro spostamenti e che potrebbero avere anche implicazioni positive pratiche nelle investigazioni di polizia.
I criminologi ambientali considerano che i luoghi del crimine sono generalmente determinati attraverso un’attività di ricerca e selezione, e sono influenzati dallo spazio di attività e dalla base dell’offender (Rossmo & Harries, 2009): Residenza del reo → Spazio di attività → Mappe mentali → Attività di ricerca dell’obiettivo → Luoghi del crimine.
L’attività scientifica prodotta nell’ambito della criminologia ambientale ha incorporato le implicazioni comportamentali dell’interrelazione spaziale nel contesto criminale, fornendo la base per i principi fulcro del Geographic Profiling.
La Routine Activity Theory, la Rational Choice Theory e la Crime Pattern Theory rappresentano l’origine di ogni spunto e considerazione investigativa circa l’analisi investigativa-geografica di un crimine. I tre approcci criminologici convergono rispetto al fatto che i criminali sono relativamente portati a commettere un reato se:
- la situazione è considerata attraente (Routine Activity Theory);
- l’azione produce il compenso desiderato, in termini materiali e/o psicologici (Rational Choice Theory);
- le circostanze favorevoli si concretizzano in un ambiente familiare (Crime Pattern Theory).
Sommariamente, la Routine Activity Theory indica quali sono gli ingredienti per il verificarsi di un reato, la Rational Choice Theory ci dà informazioni sul processo decisionale dell’offender quando decide di commettere un crimine, e la Crime Pattern Theory ci aiuta a capire dove e quando un reato avviene.
Routine Activity Theory
La Routine Activity Theory, sviluppata da Cohen e Felson (1979), prospetta che è indispensabile la convergenza di tre fattori che entrano in contatto tra loro nello stesso tempo e nello stesso luogo affinché un crimine avvenga:
- un obiettivo appetibile, che può essere un bene da rubare, un’abitazione da saccheggiare o la vittima selezionata da assaltare;
- l’assenza di controllori sul territorio i quali con le loro azioni, dirette ed indirette, potrebbero evitare che il crimine accada;
- la presenza di un criminale ostinato e motivato a commettere un atto delittuoso.
Rational Choice Theory
Secondo Cornish e Clarke (1986), un offender agisce criminalmente in base ad un processo decisionale attraverso cui ricercherà dalla sua azione, consapevolmente, volontariamente e razionalmente, qualche beneficio (soldi, gratificazione sessuale e psicologica, vendetta).
Dal punto di vista degli economisti diremo che un criminale sceglie in condizioni di rischio un’attività delittuosa secondo postulati di guadagni attesi, ovvero se l’utilità attesa derivante dalla sua azione supera l’utilità attesa derivante da una condotta legale. Infatti, per l’economista Becker (in Van der Kemp, Van Koppen, 2007) gli autori di reato, come altre persone, bilanciano le loro decisioni su un plateau di costi e benefici: se la probabilità di essere catturati è bassa, il crimine “paga” ed è in un certo senso “razionale” in quanto i benefici attesi potrebbero compensare i costi previsti.
Crime Pattern Theory
La Crime Pattern Theory è considerata la fonte concettuale per l’applicazione del Geographic Profiling; combina i principi e gli studi della Rational Choice Theory, della Routine Activity Theory e della criminologia ambientale.
Paul e Pat Brantingham osservano che «gli individui interagiscono molto con persone e cose che sono posizionate vicino alla home location piuttosto che con persone e cose che sono lontane[1]», sia a causa dei costi di spostamento che per la familiarità spaziale con la zona prossima all’abitazione. L’approccio dei ricercatori suggerisce che gli atti criminali molto probabilmente avvengono in aree dove lo spazio di attività del criminale entra in contatto con un obiettivo percepito come appetibile e, di conseguenza, è ipotizzabile che moltissimi offender non scelgono casualmente i luoghi dei reati. Mentre le vittime possono anche essere scelte incidentalmente, il processo di selezione di un target/obiettivo è geograficamente strutturato, anche se l’azione non si realizzerà in concreto.
I due studiosi evidenziano che il crimine è il risultato dell’interazione tra l’autore e la vittima sia in termini di tempo che di comportamento spaziale che la coppia penale assume nell’ambiente urbano in cui si muove e, in particolar modo, in tre “strutture” fra loro strettamente collegate (Brantingham & Brantingham, 1995):
- Activity Nodes: luoghi dove gli individui spendono la maggior parte del loro tempo (scuola, casa, luogo di lavoro e di intrattenimento, negozi, abitazione di amici o parenti).
- Pathways: percorsi che collegano le persone ai loro activity nodes; non appena gli individui si spostano dai loro nodes verso altre zone attraverso i percorsi compiuti con una regolarità più o meno fissa, i nuovi luoghi diventeranno spazi conosciuti alle persone. I collegamenti definiscono le attività routinarie e determinano dove una persona si sposta, indirettamente anche quanto conoscono di una determinata zona; nella geografia criminale, di conseguenza, aiutano a determinare anche dove un offender cerca l’obiettivo e l’ambiente in cui gli obiettivi sono vittimizzati.
- Edge: estremità, barriere fisiche, geografiche e percettive che non possono facilmente essere attraversate o che comunque fungono da limitatori di movimenti. Il territorio che confina con un fiume, i parchi, le stesse strade costituiscono un’estremità/confine fisico. Entrare in una zona sconosciuta può costituire un limite percettivo e di comfort da parte di estranei. A volte i confini tra i diversi tipi di quartieri possono formare barriere psicologiche e sensoriali che deviano la mobilità dei criminali estranei, i quali commettono costantemente crimini in quartieri che conoscono personalmente o che hanno caratteristiche fisiche, sociali ed economiche molto simili ai loro quartieri domestici.
Queste tre strutture interagiscono tra loro per formare quello che è definito awareness space, lo spazio di consapevolezza.
Awareness space
Secondo Canter «dove andiamo dipende da ciò che sappiamo essere disponibile. Quello che sappiamo dipende da dove andiamo[2]». In termini di geografia comportamentale, l’area di cui un individuo ha conoscenza geografica è definita spazio di consapevolezza. Diversi studi dimostrano che l’area di ‘lavoro’ di un autore di reato è correlata al suo spazio di consapevolezza. Lo spazio di consapevolezza comprende l’area totale e tutti i luoghi di cui una persona ha un sufficiente livello di conoscenza, anche senza averne visitato alcuni. L’area di consapevolezza racchiude lo spazio di attività. Gli individui tendono a condividere nelle loro attività, anche criminose, molti nodi di attività soggettivi che, insieme ai “percorsi”, formano lo spazio di attività individuale. Si tratta di un’area in cui si svolgono la maggior parte delle attività quotidiane individuali, uno spazio periodicamente frequentato e abbastanza conosciuto; contiene le aree dettagliate utili alla geografia abituale degli individui.
Diverse analisi criminologiche su serie di incendi, furti, aggressioni sessuali, omicidi seriali hanno dimostrato che i criminali si spostano molto poco dall’activity node per commettere un’azione illecita, specialmente dalla loro abitazione o base, nonostante la presenza di molteplici opportunità. Al di là del fattore “prossimità”, i nodi di attività conosciuti tendono a influenzare per un certo periodo i processi decisionali spaziali dei criminali. Bernasco (2010) dimostrò che alcuni offender, ricollocati in altre zone dopo essere stati rilasciati dalle strutture carcerarie, avevano maggiori probabilità di colpire le aree in cui avevano precedentemente risieduto rispetto ai luoghi alternativi ove si trovavano.
Journey-to-crime
In genere, i «viaggi» verso i luoghi del reato sono espressione di un’articolata interazione tra offender, punto di ancoraggio, ambiente circostante, conoscenza del territorio; variano, dunque, in ragione del tipo di crimine e delle caratteristiche del criminale, della direzione di moto, della morfologia strutturale del territorio, fattori che tra l’altro incidono sulla funzione di decadimento della distanza. I risultati delle ricerche sul journey-to-crime supportano l’idea che gli autori di crimini, compresi quelli seriali, rimangono vicini alla loro area di confidenza e il fenomeno sembra stabile e consistente per Paesi, luoghi e culture diverse, e per periodi differenti.
I viaggi criminali sono caratterizzati dalla funzione di decadimento della distanza (distance decay curve), che rivela l’interazione spaziale tra reo, vittima e luoghi nonché un modello prevedibile nella scelta dell’obiettivo/target da colpire da parte di un offender.
L’effetto della curva di decadimento non è un concetto esclusivamente numerico in quanto, sotto il profilo criminologico e investigativo, la funzione può essere utilizzata per investigare il connubio tra la location di origine delle attività di un offender seriale e il luogo del crimine.
Quando un offender seleziona i targets all’esterno dell’area di consapevolezza e/o dell’area di attività, solitamente tenderebbe a seguire un movimento condizionato alla funzione di decadimento della distanza. Nel contesto investigativo, la relazione di decadimento della distanza rappresenta il riscontro empirico che i reati commessi da un criminale seriale decrescono all’aumentare della distanza tra il luogo del reato e la sua abitazione che, in base alle ricerche svolte nell’ambito dello studio territoriale e degli spostamenti dei criminali, assume una funzione fondamentale nelle attività e nelle scelte del reo. Eck (1993) ha introdotto il concetto di familiarity decay, secondo cui, qualora un criminale non riesca a trovare o non sia nelle condizioni adatte per colpire obiettivi vicini ai luoghi noti o preferiti, è meno probabile che avvenga uno spostamento verso altre zone sconosciute poiché la distanza dalla sede naturale di un crimine ovvero dai luoghi ritenuti abbastanza sicuri aumenta le probabilità della condizione di non-familiarità. Ad esempio, se l’area di opportunità ubicata vicino a un luogo familiare è sotto sorveglianza delle forze di polizia, è molto plausibile che la rilocalizzazione avvenga sì nella direzione di altri obiettivi, ma all’interno dell’area familiare o verso una zona che ha un particolare significato percettivo di comfort per l’offender.
Tendenzialmente la zona delle operazioni dell’offender sarà quella nei pressi della propria dimora, area conosciuta e in cui si sente più tranquillo e libero di agire. Il grado di familiarità con l’area dei crimini consentirebbe di ridurre a un livello più basso sia l’impegno di localizzare altrove opportunità più interessanti con analoghe caratteristiche ricercate come la vulnerabilità dell’obiettivo, la ricchezza e la sicurezza della zona, e sia i rischi associati alla commissione del reato connessi alla cancellazione delle prove, alla fuga, all’eventuale rilascio del cadavere della vittima e all’occultamento dei beni asportati.
Consistenza/stabilità spaziale ed ambientale
La consistenza/stabilità spaziale e ambientale indica che, all’interno di una serie di crimini, un offender non si sposterebbe molto dalla sua zona di abitazione, sceglierebbe simili circostanze di reato e caratteristiche ambientali (inclusi gli elementi fisici, contestuali e temporali del reato) nella selezione dei siti criminali oltre il livello di casualità con la conseguenza che “qualsiasi cosa possa condizionare la selezione di un ambiente influenzerà anche la scelta degli ambienti (scene del crimine) successivi” (Lundrigan S. & Czarnomski S. & Wilson M., 2009).
Spesso gli autori di crimini seriali usano lo stesso spazio geografico entro cui si muovono e tendono a “modellarsi geograficamente”. L’ambiente in cui l’offender agisce e la selezione del crime site possono essere considerati come un riflesso della propria conoscenza ed esperienza geografica in quello stesso ambiente/area d’azione.
Vittimologia
Nella prospettiva geografica del crimine, in relazione alla realizzazione di un profilo geografico, anche la vittimologia gioca un ruolo importante nella comprensione della distribuzione spaziale dei siti criminali. Le caratteristiche dell’ambiente sono rilevanti per avere un’immagine dello scenario geografico dei siti criminali; rappresentano la collocazione spaziale delle opportunità dell’offender sulla base di target accessibili e disponibili all’interno di una determinata area. Una dispersione non uniforme o irregolare degli obiettivi può alterare il pattern spaziale dei siti criminali. La scelta delle vittime/obiettivo con criteri non-casuali, basata su requisiti specifici, richiederà una maggiore attività di ricerca da parte dell’offender rispetto a una selezione di vittime rapportata a modelli casuali, con caratteristiche non specifiche. Ad esempio, se un offender andrà ad assumere uno spostamento specifico orientato alla ricerca di bersagli particolari e “non comuni” (come vittime prostitute), i luoghi in cui l’offender selezionerà gli obiettivi (luogo di incontro) saranno determinati dalla disponibilità ristretta del target, ovvero dagli attrattori di criminalità riconducibili alle zone in cui è esercitata l’attività del meretricio (un determinato quartiere o strada) che provocheranno una distorsione nel comportamento geografico offensivo. In pratica, l’opzione dei luoghi dove colpire sarà influenzata solo dallo spazio di attività della vittima/obiettivo e non anche dallo spazio di attività dell’offender.
L’ipotesi del serial killer di Milano
L’ipotetica azione omicidiaria a catena del serial killer di Milano si sarebbe consumata tra il 1963 ed il 1976, principalmente nell’area del centro di Milano, in danno di giovani donne: stiliste, affittacamere, cassiere, studentesse, prostitute.
Tutti gli omicidi, nonostante gli sforzi investigativi, sono rimasti senza colpevoli.
In assenza dei documenti ufficiali delle indagini, le informazioni sui delitti sono documentate da informazioni pubbliche provenienti da fonti aperte, per lo più da articoli di stampa on-line[3]:
- Omicidio di Olimpia Drusin. È la quarantacinquenne Olimpia Drusin la prima vittima della presunta serie di omicidi consumata nell’area del centro di Milano iniziata nel 1963. Risiedeva nella zona di Parco Sempione, fu pugnalata a morte nel quartiere Greco di Milano, in via Pontano 45, dove si prostituiva, preferendo stare lontano dalla zona di residenza.
- Omicidio di Elisabetta Casarotto. A distanza di un anno, 1964, la ventinovenne Elisabetta Casarotto fu massacrata a coltellate a Cascina Decima a Lacchiarella, nella zona a sud di Milano. Abitava in Via Sercognani, nel quartiere di Villapizzone. Anche lei sceglieva stare lontano dalla sua residenza.
- Omicidio di Adele Margherita Dossena. In una pensione al civico 18 di via Copernico, gestita dalla quarantacinquenne Adele Margherita Dossena, è avvenuto il terzo delitto. Adele venne uccisa il 16 febbraio 1970 con diverse decine di coltellate su tutto il corpo. Ogni tentativo di trovare il colpevole, anche con il supporto di investigatori privati incaricati dai familiari, fu vano.
- Omicidio di Salvina Rota. Salvina Rota venne uccisa il 16 giugno 1971, in via Tonale al civico 4, strangolata e seviziata con una lima. Era rientrata a casa al termine del turno di lavoro come cassiera in un supermercato di largo Alpini.
- Omicidio di Simonetta Ferrero. Presso l’Università Cattolica Del Sacro Cuore, il 24 luglio 1971 fu trovato il corpo senza vita della giovane Simonetta Ferrero, uccisa con 33 coltellate nei bagni dell’ateneo milanese. Il delitto suscitò l’interesse della stampa ed accese i riflettori sugli altri sei omicidi, commessi a Milano in quegli anni.
- Omicidio di Valentina Masneri. Il 18 marzo 1975, Valentina Masneri, stilista, sposata senza figli, fu assassinata a coltellate nella sua abitazione di via Settala 57. Sembra che la vittima abbia aperto la porta al suo assassino e poi sia stata aggredita alle spalle.
- Omicidio di Tiziana Moscadelli. La ventenne Tiziana Moscadelli venne uccisa a colpi di coltellate e con un cacciavite. Abitava in un piccolo appartamento di via Tertulliano 58, insieme ad un’amica trans che, come Tiziana, si prostituiva. Le indagini si concentrarono sui clienti della vittima, che, a quanto pare, avesse l’abitudine di incontrare i clienti solo in strada, e non nell’appartamento.
Caso |
Data (gg/mm/aa) |
Vittima |
Crime Site |
1 |
1963 |
Olimpia Drusini |
Via Pontano 45, quartiere Greco, Residenza c/o Parco Sempione |
2 |
1964 |
Elisa Casarotti |
Cascina Decima a Lacchiarella Residenza quartiere Villapizzone |
3 |
16/02/1970 |
Adele Margherita Dossena |
Via Copernico 18 |
4 |
16/06/1971 |
Salvina Rota |
Via Tonale 4 |
5 |
24/07/1971 |
Simonetta Ferrero |
Università Cattolica |
6 |
18/03/1975 |
Valentina Masneri |
Via Settala 57 |
7 |
12/06/1976 |
Tiziana Moscadelli |
Via Tertulliano 58 |
Geographic Analysis
Un geographic profile determina l’area di maggiore probabilità di residenza dell’offender. Prima di analizzare il caso, è opportuno riferire che un profilo geografico agisce in termini di probabilità e non di certezza.
Un profilo geografico si incentra sul concetto di “base o anchor point”, vale a dire il luogo più rilevante nella vita spaziale di una persona. Per la maggior parte dei criminali, la base è costituita dalla zona di residenza. Tuttavia, per alcuni offender questa base coincide anche con il luogo di lavoro o con l’area situata nelle vicinanze della residenza passata; altri offender utilizzano luoghi “sociali”, luoghi di ritrovo come posto di partenza per la loro attività criminosa. Alcuni criminali, invece, possono avere caratteristiche nomadiche, cioè considerati offender mobili che non hanno un punto di ancoraggio fisico stabile.
Questo strumento investigativo sfrutta la componente geografica dei crimini (distance, mobility, directions, movements, mental map, locality sociodemographic) e costituisce un’appendice del criminal profiling e dell’analisi investigativa-comportamentale della scena del crimine ma, rispetto a questo tipo di analisi, indirizza il suo focus sulla «scena geografica del crimine». In effetti, tra il punto di primo incontro con la vittima e il luogo di abbandono del cadavere, quest’ultimo sito sarà la scena del crimine “propriamente detta” in quanto rappresenta il luogo adeguato alle analisi criminalistiche. Tuttavia, nel procedimento di geographic profiling i due siti (così come anche altre locations eventualmente coinvolte nel reato) interagiscono spazialmente tra loro, formando la «scena geografica del crimine».
La scena geografica del crimine è un “sistema di location”, formato da:
- Livello particolare: il sito criminale corrispondente alla specifica unità (di analisi) geografica dell’ambiente in cui sì è verificato l’evento criminoso (luogo chiuso, all’aperto, in zona urbana, in prossimità a posti frequentati).
- Livello generale: le locations di tutti i siti coinvolti nel crimine, qualora siano conosciuti dalle agenzie di controllo (es., luogo dove la vittima è stata vista per l’ultima volta, luogo di provenienza di telefonate anonime e/o di acquisto di strumenti di offesa collegati al crimine principale) e/o le location delle offese seriali, intese come struttura geografica generale dei luoghi degli eventi in rapporto alle azioni degli “attori”, al significato e agli attributi fisici dei luoghi: contesto socio-demografico-economico, alla presenza di barriere fisiche (laghi, mare, montagne) o psicologiche (inopportunità di attraversare un quartiere abitato da un gruppo etnico differente dal proprio per non destare sospetti), al sistema stradale (presenza di strade cittadine, autostrada, strade extraurbane), al tempo di commissione dei delitti, alle caratteristiche di sfondo dell’ambiente entro cui si muovono le vittime o sono collocati i bersagli.
Pertanto, per la realizzazione di un profilo geografico, diversi elementi devono essere presi in considerazione: il layout delle strade, l’ambiente fisico ed il suo status sociodemografico dove sono stati commessi i delitti, l’analisi temporale dei crimini, il sistema di trasporti presente, le eventuali barriere fisiche o mentali, le ulteriori location connesse al crimine, il modus agendi del reo.
L’analisi presentata in questa sede è stata realizzata mediante le poche informazioni rinvenute in internet, le quali non hanno consentito di poter valutare i fatti secondo una prospettiva geografica più approfondita.
Presupposti
Non tutte le serie di crimini possono essere sottoposte all’analisi geografica criminale. Sulla base della bibliografia in materia (Rossmo, Canter), la costruzione del profilo geografico criminale si basa su alcuni presupposti metodologici:
- l’attività di linkage è esatta, presenta un alto grado di ragionevolezza che i crimini siano stati commessi da uno stesso criminale/i;
- vi sono abbastanza siti criminali certi e indipendenti che permettono di poter tracciare il profilo territoriale del reo – almeno cinque località;
- la sequenza degli omicidi e delle offese è relativamente completa, nel senso che non vi sono delitti simili considerati da escludere e/o includere nella serie ovvero non connessi che si sono verificati in altre località;
- le caratteristiche di sfondo degli obiettivi (target backcloth) sono ragionevolmente uniformi; l’ambiente non esercita una forte costrizione sui movimenti del criminale, e di conseguenza lo spazio di attività dell’offender si sovrappone all’ambiente dove sceglie di colpire le vittime.
Crime Site Locations
La serie criminosa analizzata coinvolge 7 omicidi.
L’area interessata dai crimini si estende principalmente nella zona urbana centrale di Milano, con la presenza di una scena geografica del crimine (n. 2) relativamente distante ed esterna alla predetta area.
Il profilo geografico dell’autore dei delitti di Milano
Le coordinate delle location degli omicidi sono state inserite all’interno software Dragnet, sviluppato da David Canter, dell’Università di Liverpool, fondatore della Psicologia Investigativa in Europa. Il software genera una mappa a colori a cui è associato, iniziando dalla zona di colore rosso, un diverso gradiente di probabilità secondo cui determinate aree contengono il punto di ancoraggio del criminale. Ogni regione “colorata” può assistere le agenzie investigative nella priorizzazione della zona per le ricerche dell’offender e, di conseguenza, nella messa a punto di opportune strategie investigative.
Il profilo geografico dell’autore dei delitti di Milano si basa sullo scenario afferente alle scene geografiche del crimine collegate a solamente 5 omicidi. È opportuno precisare che, sebbene i riferimenti geografici di alcuni siti dei crimini siano eliminati dall’analisi spaziale tecnica della serie criminosa, i dati spaziali delle location escluse non sono estromessi dalla complessiva interpretazione e valutazione geografica dell’intero scenario criminoso.
Dall’analisi geografica tecnica concernente la serie analizzata è stato escluso il delitto n. 1) ed il n. 2) per ragioni metodologiche connesse alle caratteristiche ambientali di sfondo entro cui si muovevano le due vittime. In tal modo è stata garantita una distribuzione spaziale uniforme delle scene del crimine.
La zona peak profile area (area di picco e di alta probabilità del profilo geografico) è rappresentata dalla mappa particolare sottostante.
Si ritiene che l’autore dei crimini abbia un’area di caccia nelle zone centrali della Città, in luoghi dove è più facile spostarsi e dove il sistema di trasporto pubblico è più efficiente. La location (Cascina Decima) di un caso di omicidio è collocata ai margini dell’area urbana della città Milano, in alcuni casi le vittime vivevano in appartamenti e in aree urbane centrali.
Nei casi in cui l’autore del reato è tornato nello stesso settore areale per commettere un altro reato, è assai probabile che abbia già un feedback circa i costi e benefici connessi all’azione delittuosa in questa zona, e abbia notato buone opportunità in questo spazio per colpire vittime, sole; oppure, queste aree forniscono l’indicazione di dove l’offender “è più vicino a”, cioè, un’area rilevante rientrante all’interno dello spazio di consapevolezza dell’offender perché lo frequenta spesso, e questi luoghi sono all’interno di un sistema di location accessibile e raggiungibile perché sono posizionati in prossimità della propria abitazione.
La zona contrassegnata dal profilo geografico criminale è un’area densamente abitata, a tratti turistica, assai frequentata anche in ragione della presenza della Stazione Centrale, in prossimità della quale si sono verificati tre delitti della serie. Pur considerando l’ipotesi di un offender che non abiti nella zona contraddistinta dal profilo geografico a causa delle peculiarità sociodemografiche dell’area, caratterizzata dalla presenza di distretti economici rilevanti (il “quadrilatero della moda”, il commercialissimo Corso Buenos Aires) nonché di attrattori e generatori di criminalità (aree problematiche come via Padova, stazione Centrale e dintorni, via Benedetto Marcello, Piazzale Maciachini), che generano un flusso continuo di persone, e dell’estensione assai ristretta dell’area dei crimini, è evidente che l’offender agisce, si muove in modo confortevole e libero in tutta la zona dei delitti. Non è da escludere la previsione di un soggetto che avesse un’occupazione all’interno del settore territoriale di picco del profilo e che avesse avuto di conseguenza qualche contatto con le vittime o una conoscenza delle stesse.
Conclusioni
Il metodo del profiling geografico non costituisce una panacea investigativa nella ricerca dell’autore del reato, non conduce l’analista all’esatta residenza del reo, ma nello stesso tempo non è una semplice mappa geografica che rimanda a una lettura priva di ogni valore ed interpretazione investigativa o ad un mero effetto visivo. Difatti, il profiling geografico è un sistema di supporto decisionale che, integrandosi con strategie investigative specifiche, calcola l’area di residenza in cui l’offender potrebbe vivere o le zone da cui l’offender incomincerebbe l’attività criminale partendo dai siti con cui ha una certa familiarità collocati attorno agli activity nodes, l’area dei luoghi di residenza personale, di parenti o amici, di lavoro, di svago.
Nel caso in cui fosse confermata l’ipotesi del coinvolgimento di predatore seriale, il profilo geografico criminale concernente l’ipotesi di un serial killer che ha agito in Milano, tra gli anni sessanta e settanta, indicherebbe che con molta probabilità l’offender ha o ha avuto un “punto di ancoraggio” (luogo dove vive, ha vissuto o ha avuto una base) all’interno di una ristretta regione areale: l’area di picco del geoprofilo (zona rossa) è una zona approssimativamente delimitata a sud da Viale Tunisia che si interseca con Via Pisani, e a Nord da Viale Brienza, a ovest da tratto di via Melchiorre Gioia, a est da Corso Buenos Aires – intersezione con Via Plinio. La seconda zona di priorità per le investigazioni e di alta probabilità racchiude, invece, un’area geografica di ricerca più ampia ma circoscritta a sud da Via Fatebenefratelli a ridosso di Piazza Duomo, a Nord da Via Parravicini – Via Sant’Alessandro Sauli, a est dalla Strada Statale SS11, ad Ovest dalla Stazione Milano Porta Garibaldi.
Certamente questa scia di delitti meriterebbe un completo approfondimento investigativo, anche in relazione alle tracce geografiche criminali.
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Ringraziamenti
Grazie al Prof. David Canter per l’utilizzo del sistema Dragnet ai fini di ricerca e per la pubblicazione degli outputs.