I culti distruttivi: metodologie d’indagine e spirito di ricerca

 In Sotto il Segno del Culto, N. 1 - marzo 2021, Anno 12

Il tema che ci si propone di affrontare appare già ad un primo sguardo complesso e controverso.

Cominciando ad affrontare il tema “alla lontana”, ovvero andando alla sua radice, è però possibile comprendere i motivi principali.

Questa radice risiede nella sostanziale separazione tra gli ambiti sacro e profano della vita così come è vissuta al nostro tempo, definibile con più compiutezza come una vera e propria scissione.

Le conseguenze “di riflesso” di tale fenomeno hanno investito e continuano ad investire negativamente il metodo di studio e gli stessi ambiti di ricerca strettamente connessi al fenomeno che qui ci si propone di studiare.

Si avrà un’idea chiara di tale concetto provando a chiedersi quale sia la differenza, sempre che una differenza sia percepita, tra i termini “setta” e “culto distruttivo”, per poi soffermarsi il tempo dovuto sulle immagini mentali e sulle impressioni che ci suscita il solo aver immaginato un’applicazione di questi termini.

Le più tipiche reazioni si collocheranno con relativa precisione su una linea ideale nella quale non mancheranno punti corrispondenti a indifferenza, dubbio, rifiuto, scherno, sdegno, un’ampia scala di incertezza circa l’opportunità stessa di interrogarsi su cose del genere, ed una consistente dose di scetticismo.

Si tratta certamente di reazioni comprensibili, che però una volta riassunte in un’unica immagine, denotano la presenza di una coordinata mentale che può rivelarsi fuorviante per lo studioso dei fenomeni sociali, primi fra tutti la devianza, soprattutto quando la principale materia di studio e formazione è quella che va sotto alla definizione di Criminologia.

Tale coordinata infatti tenderà a concretizzarsi in atteggiamento, e da atteggiamento diventerà un consolidato stile di comportamento, una linea fissa di pensiero che tenderà ad escludere automaticamente i “corpi estranei”, similmente a quanto avviene con un “Taboo”, e qualora non vi fosse piena esclusione, tenderà ad affrontare le dimensioni in oggetto da un punto di vista più volto all’espressione di un giudizio di valore – seppur pienamente condivisibile e riscontrabile dal punto di vista professionale ed accademico – piuttosto che teso alla sua comprensione diretta ed interna.

Si tenderà quindi affrontare determinati fenomeni con strumenti di analisi adatti parzialmente, che porteranno all’espressione di un giudizio rispetto ad un fenomeno che non si è compreso appieno.

Il fine complessivo dell’ambito di ricerca che qui si introduce è quello di muovere, nel tempo, dei passi lungo un sentiero ancora non ben asfaltato, con la speranza di portare dei contributi che siano il più possibile seri e spendibili dal professionista, in particolare dal criminologo, che desideri specializzarsi nello studio di quei fenomeni devianti e criminali la cui radice di problematicità risiede negli archetipi psichici che regolano e formano il rapporto dell’uomo con la dimensione del sacro, i quali solo in ultimo nella scala di manifestazione relazionale del fenomeno (quella che appare visibile a tutti), sfociano nelle distorsioni delle coordinate psichiche regolanti l’ambito profano, istituzionale e sociale di tale fenomeno.

Il primo passo da compiere è di ordine definitorio, anche dal punto di vista etimologico, in virtù del fatto che nell’affrontare tematiche e fenomeni quali culti distruttivi e sette sinistre il vocabolario in uso può creare più dubbi di quanti ne risolva, se tale vocabolario non viene pienamente compreso e ragionato.

Un esempio lampante che faccia da apriporta a questa prima necessità è riscontrabile nella parola “setta”: l’immagine e la percezione che istintivamente si hanno di tale termine costituiscono infatti un velo spesso e problematico, essendo ad esso intimamente ed istintivamente legate numerose serie di simboli, percezioni ed attitudini provenienti dall’ambiente relazionale dell’interlocutore.

Si rende allora utile spogliare e ripulire i termini utilizzati di tutti quegli spettri e quelle vesti che nulla hanno direttamente a ché fare con essi; aspetto non semplice e non scontato in questo caso, non essendo l’uomo di oggi abituato a ragionare dall’interno il fenomeno del culto, che viene invece sempre più vissuto come variabile non determinante della propria esperienza di vita, e sempre meno percepito come una costante relazionale e psichica.

A questo riguardo il ricercatore si rende subito conto della sostanziale differenza che si pone tra lo studio di un fenomeno chiaramente distinguibile da un altro ed un fenomeno che non si è in grado di definire ed individuare con esattezza.

La difficoltà principale rispetto all’argomento in analisi è però riuscire a comprendere e definire lo scopo, il fine, l’obiettivo originario ed archetipico della presenza nella psiche dell’individuo di ciò che si identifica con “dimensione del sacro”, poiché compreso questo punto diventa possibile farsi un’idea di quale sia il filo conduttore che lega tale dimensione alle varie epoche e culture, permettendo così di risalire a quella “radice” ed a quel substrato comune che in superficie quasi non appare.

Una volta fatto emergere quel filo conduttore si potranno quindi ricercare quei momenti e di quei punti che hanno determinato la nascita di distorsioni e incrinature, manifestatesi nel tempo attraverso culti definibili propriamente come “distruttivi”, dei quali sarà possibile individuare le fondamentali caratteristiche che li distinguono dal “culto” generalmente e positivamente inteso.

Una simile indagine si prospetta certamente molto ampia, ma come sopra affermato, oggi il grado di esposizione diretta a determinate percezioni è molto diverso rispetto, ad esempio, a quel che era quattrocento anni fa, ed oggi i confini di simili variabili sono infinitamente più sottili per l’immaginario corrente, più vicini ad una tenda che ad una porta.

Dal punto di vista metodologico tale questione è oggi accentuata, poiché la ricerca procede tipicamente per osservazione concreta, basandosi su metodi propri a discipline poco inclini a soffermarsi sulla percezione e comprensione di fenomeni legati all’ambito “spirituale” (anche se solo formalmente o in apparenza), principalmente con lo scopo di conformare gli “sguardi” oltre che appunto i metodi.

Se da un lato questo tipo di strategia porta uniformità e relativa comprensibilità interdisciplinare, dall’altro lato, nei riguardi di determinate questioni, rende molto difficoltoso esprimersi, poiché avendo alla base un determinato metodo, ci si potrebbe esprimere solo in un senso.

Un esempio concreto della criticità appena discussa può essere il seguente: si pensi ad un’ipotetica scena, legata allo svolgimento di una messa nera, di particolari riti sacrificali, o di scene del crimine nelle quali siano presenti determinati riferimenti a simbologie complesse.

Rispetto all’oggetto “scena”, che diventa a tutti gli effetti dimensione fondamentale del fenomeno in analisi, il commento accademico o professionale – basato sul metodo proprio delle discipline rilevanti per quella professione – che ne evidenzi la completa e totale inutilità o insensatezza, o la consideri come il segno e la manifestazione di squilibri psicologici, non sarà direttamente in grado di dare all’osservatore un quadro descrittivo chiaro e puntuale di tale scena, né saprà rilevare i punti di differenza o quelli comuni rispetto ad altre scene dal contenuto simile. Questo può portare confusione nel momento in cui si stia cercando di mappare la presenza di un determinato gruppo od il tipo di influenza di tale gruppo in un dato ambiente o territorio, poiché limitandosi all’assunto precedente, si farà per forza di cose “di tutta l’erba un fascio”.

Quel che invece si propone è di affrontare l’oggetto “scena” in fase di studio, di ricerca e di consulenza, tale per come si presenta, e tale per come è considerato da chi lo ha realizzato, manifestato o posto in essere, in modo da poter entrare a pieno nella struttura e nei caratteri fondanti del fenomeno più ampio nel quale la data scena è inserita.

Allo studioso si chiede quindi di tenere in equilibrio tanto il proprio legittimo scetticismo rispetto al valore ed all’opportunità di simili atti, quanto le personali credenze legate alla propria educazione e proveniente dallo sguardo proprio della cultura di origine rispetto a date tematiche, in modo da poter cogliere quegli elementi e quei particolari che avrebbero ed hanno un fondamentale ruolo nel processo di comprensione del fenomeno.

Il concetto fondamentale è quello per il quale una qualunque eventualità deve essere considerata reale quando da essa procedono delle conseguenze: dunque se da una messa nera procedono conseguenze criminologicamente rilevanti, allora la messa nera diventa criminologicamente rilevante, dovendo di conseguenza essere studiata ed analizzata in due direzioni: prima e soprattutto in quanto messa nera; ed in un momento successivo in quanto (ad esempio) espressione di una eventuale patologia psicologica dei singoli soggetti.

Tale tipo di approccio ha infatti come unico scopo la possibilità di comprendere e “profilare” compiutamente chi si ha di fronte; come determinati soggetti agiscano e per quali motivi; quali vincoli relazionali li leghino l’uno all’altro; per quale motivo raggruppamenti settari a carattere violento e sinistro siano più comuni di quanto si creda; quali siano le ragioni profonde (così come supposte da chi le percepisce come tali) alla base di particolari atti compiuti e della presenza di particolari gruppi di individui.

Si tratta dunque di cominciare a fare ricerca etnografica – non all’interno di subculture (che in questo caso potrebbe veramente essere rischioso per l’incolumità del ricercatore), ma – all’interno di simbologie complesse e generalmente rifiutate (dunque per forza di cosa non- e mal- comprese) da qualsiasi disciplina di studio che non siano quelle discipline (generalmente velate da abbondanti scetticismo e superstizione) che trattino determinati argomenti direttamente.

Si tenga presente a questo riguardo come una qualunque branca dello scibile umano, sia essa concreta o astratta, debba essere approfondita tale quale si presenta internamente a sé stessa nel momento esatto in cui la si trova alla base di eventi che sono il fulcro dell’attività professionale di una data categoria di studiosi e ricercatori.

Dal punto di vista teorico e della ricerca attiva sarebbe profittevole ed auspicabile superare lo scoglio percettivo verso particolari argomenti che oggi caratterizza il nostro sguardo. Ne gioverebbe la ricerca criminologica, “l’accademia”, l’assistenza alle Forze dell’Ordine nel corso di indagini – che certamente non possono essere formate oltre ad un certo grado di esattezza su determinate questioni (ad eccezione di rari nuclei) –, ed ancora l’assistenza a persone offese, quali ad esempio i soggetti che con sforzi e sofferenze immani sono riusciti a venir fuori da contesti a dir poco traumatizzanti, per i quali sarebbe di forte appoggio aver modo di esprimersi con soggetti ben formati e competenti rispetto alla situazione che hanno vissuto o che ancora stanno vivendo e che sanno esattamente di cosa stiano parlando, non solo dal punto di vista psicologico, psichiatrico o legale, ma dal punto di vista “simbolico”, interno al loro vissuto, che comprendano e conoscano forme e sostanza di quel vissuto, cosa questa che contribuirebbe anche ad evitare pericolose e frequenti forme di vittimizzazione secondaria, oltre a facilitare l’attività di prevenzione.

La presenza di un “vuoto teorico” di questo tipo è quindi comprensibile, in quanto non si è mai considerato ufficialmente necessario o utile l’approfondimento di determinate tematiche, rispetto ad ambiti di studio e discipline che non fossero quelle a loro direttamente riferite.

Tale vuoto però è riscontrabile e senza una formazione personale precisa e pregressa, acquisita autonomamente ed esternamente agli istituti di formazione, risulta ostico e complicato agire e muoversi con sicurezza e relativo “agio” lungo determinati archi dello studio del crimine, segnatamente quel tipo di crimine che poggia saldamente la sua base e la sua forma a fondamenta e radici che stanno a lato di sociologia, psicologia ed antropologia tradizionalmente intese; radici e forme ben riscontrabili e rinvenibili invece negli studi relativi alla sostanza dei culti antichi, alla simbologia sacra ed a quella tipicamente rituale, con particolare attenzione alle simbologie di tipo sinistro.

Per esprimersi sul valore della “cerimonia” si deve prima aver compreso la portata del “rito”: studiare il fenomeno solo superficialmente può infatti risultare fuorviante, non avendo l’azione esteriore (cerimonia) alcun significato per colui che non è formato riguardo all’evento interiore (rito) ed al suo supposto impatto sull’individuo.

Ogni fenomeno sociale, compresa la stessa idea di società, è stato studiato, all’inizio, quando ancora si trattava di studi “nuovi”, dal punto di vista più profondo, ovvero cercandone la base, la radice, il fondamento più interno ed interiore possibile all’uomo.

Si ritiene quindi utile e potenzialmente redditizio fare uno sforzo simile a quello che fecero i padri delle discipline che studiano da allora le relazioni umane, per poter ampliare ed integrare con cognizione di causa – attraverso l’elaborazione di nuovi strumenti e metodi di ricerca – la portata ed il raggio d’azione di quelle discipline, prima fra tutte la Criminologia.

Di fronte all’esempio della messa nera o del rito sacrificale sopra accennato si dovrà quindi prima e soprattutto conoscere cosa siano quei riti, come si mettono in piedi, a cosa siano finalizzati e per quale motivo siano stati compiuti in un modo piuttosto che in un altro.

Sarà importante saper riconoscere la simbologia in essere e distinguerla da altre simbologie, così come sarà rilevante tener presente il significato del dato simbolo nel contesto in cui è pervenuto, il ché spesso è ostico dato che lo stesso simbolo cambia radicalmente valore e significato se in relazione ad altri simboli o se inserito in ambienti naturali differenti.

Conoscendo però determinate caratteristiche fisse e comuni, e ce ne sono varie, si può comprendere molto del singolo fenomeno, ma anche, qualora siano presenti più scene simili, identiche, o sovrapponibili in qualunque altro senso, è possibile tracciare determinate attività su un dato territorio, comprendere il grado di diffusione di un gruppo ostile, e soprattutto, sarà possibile identificarne i metodi, i mezzi e l’identità “tipica” con maggior precisione.

A livello remoto, in fase di elaborazione teorica, si dovrà comprendere quali distorsioni interne alla struttura dell’impianto relazionale della società, complessivamente intesa, siano all’origine della nascita di gruppi che rientrano sotto alla definizione di “setta”; come e perché questa definizione rimandi automaticamente il pensiero a forme di devianza o di crimine; dovrà essere indagato il modo in cui determinati gruppi cultuali sviluppino il carattere di “distruttività” (quando non nascano già con tale carattere); allora bisognerà lavorare cercando di comprendere quali variabili strutturali rendano un dato culto “distruttivo” e da quali caratteristiche sia possibile desumere tale carattere quando ci si trova di fronte a particolari scenari; andrà poi ponderato il rapporto di tali caratteri e variabili con le fonti normative, in modo da riuscire, nel tempo, a fornire strumenti concreti di contrasto a tali fenomeni, realmente incisivi dal punto di vista legale oltre che di ricerca ed indagine.

Rimuovere quel velo di incomunicabilità che al momento vige tra disciplina di studio e fenomeno in essere è qualcosa che il professionista specializzato può e potrà fare una volta che sia a venuto a conoscenza (e che parli “la stessa lingua”) di quei fenomeni che si prefigge di voler comprendere e di quei soggetti pericolosi che cerca di contribuire ad arginare e fermare.

Per farlo dovrà conoscerli come conosce i motivi profondi che stanno alla base della loro nascita, stando sulla soglia e sul confine posto tra il conoscere un fenomeno dall’esterno e il conoscerlo dall’interno, mantenendo quello sguardo neutro ed imparziale, né scettico né superstizioso (naturalmente arduo da mantenere rispetto a fenomeni simili), che da tale figura ci si aspetta, e che è poi il fulcro che da credibilità al suo ruolo e sostanza al suo profilo professionale.

Ciò significa in fase preliminare delimitare e definire il campo di interesse, sia rispetto alla totalità dei fenomeni affini a quello in esame, sia rispetto al ruolo che la criminologia debba proporsi di assumere a tal riguardo – il quale dovrà certamente essere di tipo tecnico – poiché se la religione non è ad un primo sguardo criminologicamente interessante, il culto in alcune sue forme distruttive può e dovrebbe esserlo.

 

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