Il Padre: tra tradizione e innovazione
«La nominazione del padre è dare posto ad un uomo, uomo della donna da cui sono nato, uomo della mia economia ancora instabile, uomo del mio sogno, uomo della mia disdetta, uomo del mio conflitto o uomo della mia ammirazione, in ogni caso uomo padre»
G. Savio
Padre, Papà, Babbo sono alcune delle varianti con cui chiamiamo e identifichiamo l’uomo che ci ha generato. Non solo, sotto il segno del padre sono sorti regni, culti, religioni, pensieri e filosofie, sotto il vessillo paterno è stato dato avvio alla nostra società Occidentale. In seguito tale vessillo è stato spezzato, si è sgretolato il suo regno, è definitivamente cessato il regime patriarcale, tanto che tutt’ora ci chiediamo dove sia il padre.
Chi è il padre? Potremmo rispondere molto semplicemente che il padre è colui che ci ha dato la vita, colui che ci raccontava le favole o che ci ha insegnato ad andare in bicicletta; oppure potremmo dire che è colui che non abbiamo mai conosciuto, che ha reso la nostra vita difficile. In questo caso assoceremmo la parola padre a «nostro padre», ad un uomo in carne ed ossa. Ma se si chiedesse cosa fa di un uomo un padre? Oppure, che cosa implica la paternità? Le risposte si farebbero più variegate, complesse, articolate. In realtà i soli termini «padre» o «paternità» suscitano in ogni persona pensieri e riflessioni, che delineano la sua storia personale, l’aver avuto un padre, magari l’essere padre, ma che rimandano anche un immaginario collettivo culturale eterogeneo, diverso da Paese a Paese. In definitiva il vocabolo «Padre» assume un senso iper-complesso sia per la varietà di scienze e discipline che lo studiano, sia per le articolate dinamiche sociali che innesca.
Oggi nella società postmoderna, molti autori sostengono, a partire da Lacan, la «morte del padre», la caduta del suo dominio, la fine della sua autorità, il termine dei valori di marca paterna. La decostruzione del ruolo paterno – avvenuta durante gli anni Sessanta e Settanta del Novecento – implica l’assenza di tale figura nell’educazione dei figli. A tal proposito, forse ci siamo dimenticati che «il compito di essere genitori e di allevare, far crescere e far diventare adulto un piccolo è il compito principale che l’evoluzione ha assegnato a un uomo e a una donna per garantire la sopravvivenza della specie» (Bornstein &Venuti, 2013).
Infatti l’essere umano viene gettato nel mondo a sua insaputa, non ha possibilità di scelta e lì è costretto ad agire. Prima di agire egli deve Essere e, per formare la sua identità – oggi plurima, liquida, frammentata – ha bisogno di intessere relazioni autentiche con gli altri. Per divenire propriamente soggetto l’essere umano deve poter essere riconosciuto nella sua condizione esistenziale da un Altro, in una condizione circolare che qualifica la vita, la famiglia è il primo Altro che ognuno di noi incontra. È perciò essenziale formare una genitorialità attenta e partecipe, consapevole e responsabile che divenga una guida capace di sorreggere la costruzione dell’identità del figlio.
Analizzando il ruolo paterno nella società odierna sono emerse varie e differenti problematiche riguardanti tale figura e la sua funzione educativa, soprattutto è emersa l’urgenza di rivalutare il ruolo paterno come possibile soluzione al forte disorientamento che sembra attanagliare non solo la realtà familiare, ma anche il processo educativo dei figli. Il padre contribuisce a fondare l’identità del figlio, ha la funzione di riconoscerlo come persona, ha il compito di accompagnarlo nel mondo attraverso l’esempio e la spinta emancipatrice.
Per crescere i figli hanno bisogno di confrontarsi tanto con il codice materno, quanto con quello paterno, nella dialettica integrativa che dà forma all’essere umano e che si esplica nella co-genitorialità. In altre parole, l’essere umano simbolizza la realtà attraverso i codici affettivi costituitesi durante l’infanzia, che usa per interpretare il mondo. Ovviamente, i codici sono trasmessi dalla madre e dal padre e sono complementari: «il codice materno è fondamentalmente affettivo, orientato alla cura, alla protezione, al soddisfacimento dei bisogni; garantisce al bambino appagamento, conferma, rassicurazione, elementi indispensabili affinché il piccolo possa acquisire quella sicurezza di base che gli consentirà di affrontare la vita con equilibrio. […] La madre, pertanto, tende a interpretarsi e a proporsi come una sorta di scudo fra il figlio e gli aspetti dolorosi della realtà» (Romano, 2016). Mentre il codice paterno ha la funzione di bilanciare l’eccesso di cura e di protezione materno in quanto è «fondato sull’incoraggiamento, sull’invito continuo a fronteggiare le prove della vita e ad adattarsi e accompagna il figlio nella crescita attraverso un rapporto sempre meno mediato con la realtà. Tale codice aiuta ad accettare e affrontare la frustrazione, l’incertezza e il differimento della gratificazione, a gestire il conflitto, le delusioni e la sofferenza che ne conseguono, consentendo gradualmente al figlio di accettare questi ineludibili aspetti della condizione umana» (Romano, 2016). Essenziale per lo sviluppo dell’identità del figlio è l’integrazione dei due codici senza cadere nell’eccesso dell’uno o dell’altro, ma valorizzandoli nella loro diversità complementare. Il valore della funzione paterna funge da catena di trasmissione generazionale: mentre la madre consegna le «chiavi della vita», il padre consegna le «chiavi della città».
L’adulto in generale, il padre in particolare, deve ri-assumere il ruolo di guida, deve ri-consegnare esemplarità alla sua funzione divenendo il mentore del figlio e può farlo soltanto costruendo creativamente la struttura della sua identità, non estranea alla relazione e/o rigida, ma affettiva, decisa e vicina al figlio. La paternità è relazione, non consiste soltanto nell’atto di generare, anzi si costruisce passo dopo passo nel rapporto con il figlio commerciando con la cultura, il tempo e la storia: la paternità si realizza.
Il Padre: tra ieri e oggi
Analizzare il ruolo paterno partendo dal presente non è possibile, sarebbe limitativo e mostrerebbe una visione falciata della realtà. Ciò che viviamo oggi è àncorato a quello che abbiamo vissuto ieri infatti la paternità non è un’entità naturale, ma una costruzione storico-sociale che nasce ispirata ai valori dell’autorità, della supremazia. La paternità è sì il frutto del tempo e della storia, ma nello stesso momento ha anche influito nel tempo e nella storia. La scoperta del padre ha prodotto significative, epocali trasformazioni, anche se lente, nei modi di vivere e svilupparsi non solo dei singoli individui, ma dell’intera società.
La paternità ha dunque un aspetto privato e uno sociale, in ogni caso rappresenta un evento personale, storico, sociale, culturale, educativo, formativo. Per molti secoli si è discusso sull’origine della paternità, soprattutto sul suo dominio nella società: il germe della paternità nasce nella preistoria nel momento in cui gli ominidi collegano l’atto sessuale alla procreazione. È poi nella Grecia classica e nella Roma antica che si costituisce non solo la paternità, ma anche i valori di marca paterna che daranno avvio alle società patriarcali, rimanendo come archetipo nelle generazioni future, sotto forma di eredità che inconsciamente l’essere umano porta con sé.
Da quel momento in poi, nel corso dei secoli, la gerarchia famigliare che si è venuta a creare ha sancito di sovente una disparità fra mariti e mogli (padri e madri), che pone l’uomo come perno e capo della famiglia. Il sistema patriarcale guida e dà senso allo sviluppo delle società, il nome del padre diventa simbolo portatore di valori e significati propri che le generazioni avvenire poi assoceranno alla tirannia e all’autoritarismo. Il patrimonio spirituale che contraddistingue la figura paterna, consegna spesso alla cronaca una relazione con i figli formata da referenza, distacco, autorità: il padre austero perde di vista la sua stessa autorità creando un legame inautentico con la progenie.
Nella cultura letteraria, il nome dei padri ha schiacciato di sovente quello dei figli, come attestano ad esempio Giacomo Leopardi, Franz Kafka e Gavino Ledda oppressi dalla rigidità dei propri patriarchi. La Storia presenta un regime del patriarcato in cui la paternità era di fatto slegata dal sentimento di affetto e di tenerezza, veniva negata la vera paternità frutto dell’amore, del riconoscimento, della fiducia, del rispetto del padre verso il figlio e del figlio verso il padre. «Ormai nel nostro immaginario collettivo è seduta in prima fila l’immagine del padre che toglie la vita. Dai tempi in cui è divenuto compagno della madre, che ancora oggi la dà, dai tempi in cui sorse la parola padre il capovolgimento è completo. L’immagine pubblica dominante è quella negativa» (Zoja, 2003). Gli annali tratteggiano la figura del padre quale simbolo dell’autorità e del potere. È l’immagine del sovrano che, per secoli, ha regnato acriticamente sulla famiglia e sulla società. È il detentore della Legge, trasmessa nei secoli della tradizione anche religiosa. Una consacrazione che lo autorizzava a governare quale padrone indiscusso nella società. Finché, a un certo punto della Storia, il potere patriarcale va via via sgretolandosi sotto i colpi delle rivoluzioni, che a livello politico, economico e di costume hanno cambiato il volto della famiglia e della società. In primis la rivoluzione francese taglia il potere unico e assoluto del padre-sovrano dalla politica; sotto l’aspetto economico la rivoluzione industriale, aprendo le porte del lavoro alle donne e ai figli, toglie di fatto il primato dell’economia familiare dalle mani del padre, ponendo allo stesso tempo la progenie sotto il controllo esterno: se nel lavoro campestre gran parte dell’educazione avveniva sotto forma di imitazione a immagine del padre, con l’entrata nelle fabbriche la figura del padre si moltiplica facendo perdere potere al capofamiglia. Infine a far cadere la voce del comando paterno è stata la scoperta dell’infanzia come categoria da proteggere, nonché il processo di scolarizzazione che pone il Sapere al di fuori del controllo paterno.
Tuttavia, il duro colpo all’autorità dei padri si ha non solo con la caduta dei regimi totalitari del Novecento, ma ancor più con l’avvento della critica radicale rivolta alla società di stampo greco-cristiano-borghese (Mariani, 2008), innescata dalla Contestazione Giovanile degli anni Sessanta e Settanta che mirava a creare una nuova axiologia che rindirizzasse i legami fra i soggetti. Il ruolo paterno viene decostruito per far spazio ad una ridefinizione dei ruoli genitoriali, capace di costruire un nuovo immaginario di famiglia e di rapporti all’interno di essa.
Operazione che decreta la morte del Padre e con esso la rottura dei legami intergenerazionali originando, nei figli, un discredito verso il ruolo dell’adulto. ‘Nuovo’ contesto storico che ha lasciato senza guida le generazioni avvenire che, con maggior facilità, si sono lasciate ammaliare, come direbbe Recalcati, dal godimento che l’iper-edonismo della società consumistica garantiva (Recalcati, 2013). La deriva educativa che dobbiamo oggi fronteggiare ha posto le sue basi nel fallimento della Contestazione degli anni Sessanta, la figura del padre è stata decostruita, senza recuperare un’adeguata ricostruzione con conseguente squilibrio dei ruoli delle figure genitoriali, con ricadute anche negative per l’educazione nei figli.
La figura paterna ad oggi risulta fragile, sfumata, quasi evanescente, è una figura che ha perso i riferimenti normativi, non ha radici e non ha esempi. «Siamo oggi immersi in un dubbio profondo riguardo al senso della paternità, alla sua importanza e alla sua specificità rispetto a quello della maternità» (Paglia et al., 2014). I padri di oggi, nella maggior parte dei casi, lamentano una perdita della propria identità genitoriale, si sentono come in un limbo in cui da una parte c’è la paura e il fantasma del ritorno del padre-padrone e, dall’altra, c’è un rifiuto della responsabilità normativa. La crisi dell’identità paterna si lega, anzi è l’altra parte della medaglia, alla crisi del maschile dovuta alle sempre maggiori richieste di parificazione del femminile.
Ad oggi il ruolo del padre pare sbiadito e incerto rispetto alla società e poco supportato dalle istituzioni. Un esempio per tutti, nei casi di separazione conflittuale (al di là delle effettive responsabilità), in cui i figli vengono nella stragrande maggioranza delle volte affidati alle madri, lasciando al padre per lo più soltanto l’onere economico, creando di fatto un discrimine nei loro confronti.
Insomma fare il padre, sentirsi padre ed essere padre predispongono un processo in fieri di costruzione della paternità legata alla relazione con i figli e le madri. I padri hanno bisogno di recuperare dei modelli autorevoli a cui ancorare il proprio agire educativo e formativo, dove assieme alla necessaria cura ci sia anche la fermezza affinché non cada né nell’autoritarismo e né nel permissivismo. Se avere accanto un padre è fondamentale per il sano sviluppo del figlio, è innegabile che la sua figura recuperi valore divenendo un esempio degno di essere imitato per i figli.
Verso una ‘nuova’ paternità
Prendersi cura di un figlio, accettarlo nel suo Essere – vero e autentico – sono compiti che spettano a chi per primo accoglie la vita, sono la risultante di una serie di comportamenti che i genitori mettono in atto, molto spesso inconsapevolmente. Il padre dovrebbe acquisire consapevolezza non solo del ruolo che è chiamato a svolgere, ma anche del suo Sé, del suo essere uomo situato in un tempo e in un luogo, dovrebbe prendere parte alla conoscenza della sua storia profonda, dei fili che tengono insieme la sua identità, della sua formazione. «Per il padre, insomma, non si tratta semplicemente di uniformarsi a un ruolo sociale assegnatoli: è chiamato a fare appello alla propria disponibilità a crescere nel tempo come padre, modulando gradualmente la sua funzione in conformità ai nuovi bisogni educativi manifestati dai figli in particolare e dalla famiglia nel complesso» (Pati, 2014). In altre parole, il padre è chiamato a cucire su di Sé il ruolo e la funzione paterna.
Il sapere genitoriale deriva dalle pratiche familiari cui siamo immersi dalla nascita, dalla cultura sociale e dalle tradizioni che ci appartengono. Nel momento in cui un uomo diventa padre e una donna diventa madre, il soggetto deve definire la propria identità genitoriale riposizionando il suo Sé. Tale processo identitario non è scevro da ostacoli, è complesso e difficile da mettere in atto, poiché implica la messa in discussione del proprio essere: il genitore novizio agisce richiamandosi a pratiche àncorate nel proprio universo di riferimento, a ciò che ha introiettato dentro di sé nel vivere quotidiano, all’apprendimento dalle proprie esperienze. È un agire legato indissolubilmente al contingente, alla situazione data, al proprio mondo vitale. Da qui nasce il problema dell’agire genitoriale, che sì è legato alle culture (anche familiari), ma deve essere ripensato decostruendo quelle teorie implicite, quelle pratiche non dette che rimangono nell’inconscio dell’età adulta.
È nelle singole pratiche quotidiane che prende forma il nuovo modello di paternità, è nella relazione di cura e di amore fra padre e figlio che si instaura quel clima di reciproca fiducia e rispetto, ideale per la crescita del figlio e la nascita del padre. La relazione d’amore intima fra genitori e figli e nella coppia genitoriale postula un nuovo tipo di rapporto, non solo nel singolo nucleo famigliare, ma anche nella rete parentale più ampia. Se la perdita di credibilità nelle istituzioni e negli adulti in generale inficia la formazione delle giovani generazioni e, se storicamente e culturalmente al padre sono demandate le funzioni limitative che concernono le regole, allora si tratta di rispondere alla crisi sociale tramite la ricostruzione della funzione paterna. Ovviamente non basata sul cieco autoritarismo, bensì legata alla struttura affettiva del padre, che si fonda sì sull’autorità ma sostenuta dalla cura.
La struttura identitaria dei nuovi padri deve risultare in armonia con la costruzione identitaria dei figli, sostenendo così la loro crescita in modo da renderli autonomi per navigare nel mare della vita. I bambini per crescere hanno bisogno di spazi delineati da confini, hanno bisogno di sì e di no che li portino a disciplinarsi e orientarsi, a possedere il governo di sé. Hanno altresì bisogno di sentirsi protetti, sicuri, apprezzati e amati per poter formare la propria soggettività. Il padre ancora oggi incarna la Legge, ovvero quelle regole necessarie, che orientano la crescita del figlio per la costruzione della sua identità. I padri coadiuvano i figli nella ricerca del proprio Io, ponendosi accanto, sorreggendoli affinché essi sviluppino «una personalità capace di resistere ai rigori della vita e di rendere il dovuto servizio al suo possessore» (Bettelheim, 2013).
Il ruolo educativo e formativo del padre è perciò essenziale per lo sviluppo e la crescita dei figli, nonché per il supporto alla madre. Egli funge da perno della famiglia con le sue funzioni principali di riferimento normativo e rifugio sicuro su cui fare affidamento. Se nel passato il padre prendeva parte all’educazione del figlio nel momento in cui questi entrava in società, oggi si richiede la presenza attiva fin dalla gestazione. Il coinvolgimento dei padri nella vita dei figli inizia nel momento in cui vengono concepiti e continua per tutta la vita. In altre parole, il ruolo del padre è un Esser-ci nella vita del figlio, non solo come presenza, bensì come un Esser-ci partecipato – emozionalmente, cognitivamente e fisicamente – durante il suo sviluppo, dai primi passi fino all’indipendenza. Dalle singole pratiche famigliari vengono creati quei modelli cifra del fare famiglia. I padri sono chiamati ad accettare e prendere consapevolezza della paternità, assumendosi la responsabilità di crescere il figlio nel suo sviluppo, non abbandonando il campo (soprattutto in età adolescenziale), ma facendosi vicino nelle esperienze della vita.
«Gli studi che sono stati fatti sull’attaccamento hanno dimostrato che a ogni età gli esseri umani sono più contenti, ottimisti e in pace con se stessi quando possono contare su persone che li amano e li proteggono. Queste persone di fiducia rappresentano la “base sicura” da cui trarre energia e costituiscono quel supporto sociale che consente di far fronte a molte e diverse difficoltà» (Oliverio Ferraris, 2012). Gli studi sull’attaccamento vedono il coinvolgimento primario nella madre – ovviamente essenziale nella sua responsiveness [1] – ma non è da sottovalutare il ruolo che ricopre il padre come base emotiva sicura per il figlio. Infatti «l’avere un padre presente in casa rispetto a un padre assente, durante i primi tre anni di vita, comporta un minor numero di problemi comportamentali e una migliore crescita del bambino. […]. È indubbio che quando il padre è centrato sul bambino e sui suoi bisogni, è incoraggiante e responsivo durante il gioco, è soddisfatto del suo ruolo genitoriale, i bambini sembrano avere una migliore crescita cognitiva» (Bornstein & Venuti, 2013).
Il coinvolgimento paterno dovrebbe essere coadiuvato non solo a livello famigliare, ma anche istituzionale per far sì che la sua presenza si sveli attivamente nella relazione con il figlio fin dai primi giorni di vita. Ribadire questa necessità non è scontato nel momento in cui la madre è facilitata nel suo compito, non solo per la maternità stessa, ma anche perché sostenuta culturalmente tramite il ruolo di accudimento che la società le affida, mentre il padre, nell’accudimento – specialmente nella prima infanzia – e nella partecipazione all’educazione dei figli, «si piazza […] al quarto o quinto posto come genitore, dato che al secondo c’è la televisione ed al terzo e al quarto – a seconda dei casi – si classificano le educatrici del nido od i nonni» (Mollo, 215, 2002).
A tal proposito utile potrebbe essere fomentare e caldeggiare percorsi di preparazione alla paternità, con l’obiettivo di rendere sicuri e autonomi i neo-genitori, affinché vivano la loro esperienza nella maniera più serena possibile. Questo implica costruire una rete sociale di aiuto alla paternità, da effettuare fin da subito nei vari percorsi nascita. Tramite l’aiuto di un professionista della formazione, sarebbe necessario creare un ambiente confortevole e sicuro in cui i padri possano, superando il timore iniziale, affrontare le loro paure e perplessità per uscirne rassicurati e forti del loro sapere genitoriale – in progress –.
Costruire la Bildung paterna
Come fare quindi per ricostruire la ‘nuova’ paternità? Innanzitutto rispondendo al bisogno di formazione dei padri che recuperi dimensioni fino ad oggi rimosse, che riporti in auge insieme al codice materno quello paterno affinché aiuti il figlio a fronteggiare le frustrazioni della vita. Si tratta di impostare interventi di educazione alla paternità che realizzino esperienze di valore fra istituzioni e genitori, basati sull’educazione degli adulti, in un’ottica promozionale con lo scopo di implementare i Saperi dei padri e la loro autostima (Certini, 2, 2013).
La famiglia e la società hanno bisogno del padre che guidi con la parola e la vicinanza la formazione del figlio, insomma che utilizzi la premura nel sentire e l’autorevolezza nel prescrivere. Educare e crescere implicano fondamentalmente il coinvolgimento dell’educatore/genitore e dell’educando/figlio, è un processo bidirezionale in cui l’uno dipende dall’altro per crescere, progredire: l’autostima dei figli aumenta insieme alla consapevolezza dei genitori dello sviluppo sano e armonioso del figlio. Una paternità aperta all’accoglienza e alla cura dei figli, che lega la propria soggettiva formazione all’amore-fermezza, che riporta alla luce l’antinomia autorità-libertà; al dispositivo della riflessività perché dalle pratiche famigliari siano create le teorie che guideranno l’agire responsabile del padre e poi, di seguito, del figlio. Un modello di paternità improntato alla struttura dialogica-affettiva, che usa la parola per educare, riprendere, esortare il proprio figlio con autorevolezza, nell’esemplarità della sua umanità. Solo così la dualità Padre – Madre assume, nella co-genitorialità, una relazione funzionale per la crescita nella quale i due, nello sforzo comune possano in grado di spirare il rispetto nei figli.
«In tale prospettiva l’impegno paterno non è tanto un sapere od un saper fare, ma essenzialmente un essere. Un figlio, infatti, può immaginare l’umanità, che è in lui in germe, attraverso l’essere del padre, che rappresenta un uomo adulto che manifesta ed attesta capacità di ragionare, sentire ed attestare» (Mollo, 215, 2002). Il figlio ha bisogno di esempi di umanità, di percorrere le orme di chi gli mostra la strada, egli – soprattutto nei primi anni di vita – introietta dentro di sé ciò che assimila nella relazione con i genitori, in questo senso l’esemplarità del padre gli fornisce quei parametri di riferimento a cui legare la trama della sua identità. L’esemplarità del padre dà sì un orizzonte di senso in cui agire e comportarsi, un’impronta iniziale, originaria e originale alla formazione del figlio, ma si scontra con l’Io biologico del nuovo arrivato, con l’unicità della persona che, crescendo darà una forma propria al suo avvenire. E qui, all’interno della famiglia intima e accogliente, emerge e si dipana il problema della formazione che raccoglie in sé sia le istanze personali, esperienziali, ma anche quelle antropologiche, sociali, culturali: il cardine di tutto ciò è il soggetto chiamato a decantare la sua educazione dando senso alla propria formazione, che sostanzia la sua identità. La funzione e il ruolo del padre è quello di guidare il figlio nel mare della vita, di renderlo autonomo e indipendente perché sia lui stesso un giorno ad auto-dirigersi e ciò avviene tramite l’educazione genitoriale: il compito di educare una nuova vita è arduo, si educa in ogni momento e in ogni situazione, negli “scarti” delle giornate, negli attimi del tempo.
La Bildung, come formazione umana dell’Uomo, può essere il modello per la creazione del Sé paterno, di quel padre testimone di cui sia la famiglia che la società hanno bisogno. Costruire la Bildung paterna non è un ideale distaccato dalla realtà, diviene pratica nel momento in cui il padre, nella quotidianità del suo agire, riflette sul suo ruolo e sulla sua identità, cercando di divenire consapevole del proprio Sé paterno, delle trame che hanno sostanziato la propria forma.
Perché dobbiamo costruire e creare la Bildung paterna? Perché riprendere una concezione filosofica entro la nostra società professionalizzante e iper-moderna? Perché al padre serve la propria Bildung e in cosa consiste? In quanto processo di formazione connaturato all’uomo «la Bildung identifica […] il cammino interiore che si compie dentro se stessi. Qui, tra luce e oscurità, tra velatezza e trasparenza s’inscrive il mistero dell’uomo. Armonia e disarmonia, equilibrio e instabilità, corpo e spirito, movimento e relazione, forza e fragilità, natura e cultura sono alcune delle polarità entro le quali prende forma la formazione. Quest’ultima è da intendersi quale forma dell’azione e come azione della forma, nonché nei termini di una costante trasformazione» (Sola, 2002). Riflettere sull’identità dei padri significa riflettere sulla formazione del loro essere padre, vuol dire consegnare la libertà di agire entro la propria volontà con responsabilità.
I figli non hanno bisogno di un padre perfetto, ma di un padre umano, che non abbia paura di mostrare le proprie fragilità, che non si faccia portatore di un sapere assoluto, ma che dia un senso alla vita. Un padre imperfetto sì, che sbagli pure, ma che abbia la responsabilità e il coraggio di riconoscere i propri errori, di tornare sui suoi passi, un padre attento ai bisogni dei figli, capace di ironia e giocosità, ma senza dimenticare regole e limiti. Un padre empatico, che sia in sintonia sia con i bisogni del figlio che della madre, che si faccia presenza silente pronta a dare un consiglio, ad intervenire quando la situazione lo richiede, un padre che incoraggi a fare da soli, ma che allo stesso tempo sorregga nelle difficoltà. Un padre testimone che accolga in modo autentico la vita del figlio, che si ponga vicino nelle sfide, che dia sicurezza con la sua presenza.
I padri possono costruire la propria Bildung anche in questa società postmoderna àncorando la propria soggettiva formazione al dispositivo della riflessività. Essa è la chiave di volta della formazione dei padri, della ricostruzione della propria identità maschile/genitoriale, perché permette al soggetto che la fa propria di comprendere i diversi livelli che intercorrono nel pluralismo della vita. Il padre, nel momento della riflessione, è sia soggetto attivo essendo immerso nell’esperienza, sia passivo riflettendo su di essa. La riflessività è il dispositivo pedagogico a cui si fissa indissolubilmente la formazione dei padri e determina la propria Bildung nel momento in cui ri-pensa al proprio agire. Avere consapevolezza del proprio Sé paterno, attraverso le pratiche di responsabilità (agita) e riflessività (pensata), compone e ricostruisce l’identità dei padri definendone la propria soggettiva e personale Bildung, ponendosi nell’ottica di comprendere se stessi per capire gli altri.
Conclusioni
Nel momento attuale i padri sono assenti, vivono la perdita di senso del loro ruolo, non hanno un modello a cui àncorare le proprie pratiche. Allo stesso tempo non esiste una cultura della paternità, la funzione educativa dei padri è fortemente limitata del tempo a disposizione per stare con i figli. Esplicitare l’assenza del padre ha avuto lo scopo di mostrare quanto un padre assente infici lo sviluppo della personalità del figlio e abbia ripercussioni nell’intero sistema formativo e, non ultimo, sociale. C’è bisogno di Padre: un padre ‘ideale’, nella sua umanità imperfetta, che favorisca la crescita, la differenziazione, l’autonomia dei figli. La Bildung, come formazione umana dell’uomo, può essere il modello per la creazione del Sé paterno, di quel padre testimone di cui sia la famiglia che la società hanno bisogno.
Un padre quale genitore quasi perfetto, o meglio «sufficientemente buono» per usare un’espressione di Winnicott (indirizzata alle madri), ovvero spontaneo, autentico, in poche parole vero. Un Padre vicino al figlio fin dalla gestazione che lo accompagna nelle prove della vita, il suo compito è ben descritto dal taglio del cordone ombelicale sia alla nascita che nell’adolescenza. È il Padre che dona al figlio quella corazza e quell’armatura per proteggersi dai rigori della vita. Un’armatura però facile da togliere per aprirsi alle emozioni e ai sentimenti. Il ruolo di padre che trova la sua essenza nel padre testimone che cura e educa con la parola, con l’esempio, utilizzando la tenerezza come volano di senso e la fermezza come limite pensato, ma soprattutto l’Esserci come promessa di crescita. Un padre che testimoni appunto la crescita del figlio e dia un senso compiuto alla vita.
Ogni figlio esperisce il sentimento di «sentirsi incluso nell’eredità del padre non tanto per ciò che avrebbe ricevuto […], ma per il riconoscimento simbolico che essa comporta, per l’importanza vitale di avere forte la percezione di una provenienza, di un’appartenenza, di discendere dal padre» (Recalcati, 2011). Il padre, che accompagna il figlio fin dalla nascita, è la solida colonna a cui appoggiarsi per compiere i primi passi nel mondo, fino a camminarvi da soli. La guida paterna, la sua educazione è la strada maestra da percorrere per l’indipendenza, perché i figli possano agire sicuri di sé nella società. Come dimostrano le evidenze, chi ha avuto un padre presente nella propria vita è capace di creare legami solidi, è intraprendente e indipendente, è sicuro di sé (Oliverio Ferraris, 2012).
Il padre testimone è la forma a cui i padri dovrebbero tendere, camminando accanto ai figli, in modo da sorreggerli nella fatica di crescere. Il padre è il sale della vita che silenziosamente le dà un senso, ma è anche luce che sprona, che crea, che costruisce e allo stesso tempo abita il mondo. La testimonianza paterna è di amore, di sostegno, di forza, è il tralcio a cui la vite deve aggrapparsi per crescere.
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[1] “La responsiveness comprende le reazioni contingenti e pronte dei genitori manifestate in momenti di interazione con i propri bambini”. (Bornstein M. H., Venuti P., 2013, p. 58).