Stalking: comparazione nei sistemi di common e civil law

 In Sul Filo del Diritto, N. 4 - dicembre 2014, Anno 5

«Ma lui che l’insegue, con le ali d’amore in aiuto, corre di più, non dà tregua e incombe alle spalle della fuggitiva, ansimandole sul collo fra i capelli al vento» 
Ovidio

 

Come nel racconto mitologico dove il dio Apollo, perdutamente innamorato, “bracca” la ninfa Dafne che, ossessionata dalla sua insistenza, fugge disperata, così lo stalker concretizza, verso la sua vittima, quel medesimo amore tanto impossibile quanto persecutorio.

Benché le condotte persecutorie, “compiute in nome dell’amore”, si perdano nel tempo e nella Storia solamente verso la metà del ‘900 del secolo scorso hanno acquisito una loro peculiarità in sede giuridica, oltre che nella società.

Oggi, attraverso la dizione Stalking, si tratteggiano una serie di azioni, ripetute nel tempo, che si contraddistinguono per il loro carattere di sorveglianza e controllo, di ricerca di contatto e/o comunicazione e che vengono percepite dal destinatario come capaci di suscitare, e in effetti suscitano, preoccupazione e timore.

Stalking deriva dal verbo inglese to stalk nel significato di “camminare con circospezione”, per cui è stalker “colui che cammina in modo furtivo”, proprio come un cacciatore in agguato.

Il persecutore o stalker può essere sì un estraneo, ma il più delle volte è un conoscente, un collega, un ex compagno/a che tenta di stabilire o ristabilire una relazione sentimentale attraverso l’insistenza e l’imposizione della propria presenza.

Stabilire a priori un numero e la gravità di eventi considerati molesti, non è semplice: non è facile riconoscere ed eliminare i cd “falsi positivi”, ovvero quei comportamenti, comunque importuni, ma che non si possono far rientrare nell’alea dello stalking. Infatti, spesso alcune espressioni provocatorie o insistenti si possono inserire in dinamiche di forte tensione relazionale come, ad esempio, una separazione, un divorzio. In via ulteriore, le condotte della fattispecie di stalking possono essere tanto azioni non penalmente rilevanti – il dono di un fiore ‑, quanto veri e propri illeciti, come ad esempio la violazione del domicilio o la trasgressione di norme eventualmente predisposte dal giudice in fase di separazione, così come le minacce esplicite, verbali e non, e/o i comportamenti violenti.

Difficilmente valutabile è anche lo stato dei vissuti della vittima di stalking e del relativo danno esistenziale connesso al suo status di vittima; tanto è che alcuni autori di livello internazionale (es. JDH Jagessar, L. Sheridan, 2004), suggeriscono il criterio della “sofferenza soggettiva”, ovvero come i comportamenti vessatori dello stalker, determinino sofferenza specifica in rapporto alla soggettività della vittima. A complicare il quadro si aggiunge il problema delle cd false vittime, i cui timori originano non da comportamenti reali di stalking ma da situazioni patologiche, quali possono essere ad esempio gli stati maniaco-persecutori, paranoidei o stati alterati di coscienza[1].

Si può comunque tracciare, se anche in maniera sintetica, una disamina di quello che risulta essere lo stato dell’opera sul reato di stalking, in particolare quale sia l’assetto normativo nazionale e sovranazionale ponendo a confronto i sistemi di civil e common law.

Uno sguardo nel mondo

È negli anni ’90 del secolo scorso che in America si è iniziato, in dettaglio, ad individuare tra le definizioni generiche quali minaccia, danneggiamento, aggressione e violenza senza circostanziarne la specificità, quelle che potevano rientrare tra le caratteristiche della fattispecie del reato stalking, identificando nel contempo le ipotesi di intervento (M. Labianca, 2013).

In seguito a numerosi casi di stalking il giudice John Watson, della Orange County, richiese al Los Angeles Police Department l’istituzione della prima Threat Management Unit. Per cui lo Stato della California fu il primo Stato USA a dotarsi di una normativa sullo stalking, introducendo, nel 1994, il Driver’s Privacy Protection Act (DPPA). Tre anni dopo altri Stati americani introdussero il reato di stalking nei loro ordinamenti.

Per lo Stato californiano sono elementi essenziali del reato:

  • la volontà di molestare (harasses): porre in essere volontariamente una serie di condotte dirette ad una specifica vittima, esclusivamente finalizzate a terrore e molestia;
  • il compimento di due o più atti (course of conduct): posti in essere in un breve lasso di tempo, ma che evidenzino una continuità nel fine persecutorio;
  • una minaccia credibile (credible treath): verbale o scritta ‑ realizzata anche mediante l’uso di un sistema di comunicazione elettronico ‑ purché posta in essere con l’intenzione di fare ragionevolmente temere la vittima per la sua sicurezza o per quella della sua famiglia.

La pena prevista è la reclusione di un anno nel carcere della Contea, alternativamente o contestualmente all’imposizione di una pena pecuniaria prevista nel massimo in mille dollari. Come pena accessoria, inoltre, la Contea può sia ordinare al condannato di registrarsi come “reo sessuale”, sia infliggere ‑ a seguito di attenta valutazione sulla gravità del fatto e la possibilità di recidiva ‑ delle misure restrittive che vietino, fino ad una massimo di dieci anni, di avvicinarsi alla vittima. Benché ogni singola Contea abbia poi sviluppato strategie differenti volte al contrasto ed alla prevenzione dello stalking, delle violenze domestiche e sessuali, su tutto il territorio è stato disposto la creazione e diffusione di agenzie paragovernative specializzate nel contrasto e nella prevenzione di questi reati[2].

Sempre nel 1994 il Congresso ha approvato il Control Violent Crime and Law Enforcement Act all’interno del quale si prevedevano alcune disposizioni che definivano il reato di stalking quale reato di natura interstatale, di modo che la fattispecie criminosa potesse essere perseguita a prescindere dal luogo di perpetuazione della condotta o realizzazione dell’evento di molestia e/o minaccia. Queste disposizioni inoltre, hanno attribuito alle forze di polizia locali strumenti di contenimento e prevenzione del reato di stalking più efficaci rispetto ai precedenti ordini restrittivi o meri soggiorni obbligatori.

A seguire, molti Stati federali hanno potenziato la loro normativa in materia di stalking; con l’evolversi delle tecnologie e l’uso diffuso degli strumenti di comunicazione interattiva, nel 2000 all’interno del reato federale di stalking, furono incluse le forme di molestia virtuali (cyberstalking) attuate per mezzi di sistemi telematici (Art. 18 USC par. 2261).

Analogamente al contesto statunitense anche il Canada ha inserito nel suo Criminal Code il reato di criminal harrassement “molestia criminale”. L’Art. 264, difatti, dispone il divieto di agire nei riguardi di una persona in modo da farla sentire molestata, con l’obiettivo di realizzare un fondato senso di pericolo per se stessi o per i propri cari. La pena prevista è quella detentiva fino ad un massimo di dieci anni di carcere. Del 1997 sono le disposizioni in tema di omicidio di primo grado e premeditato se commesso in un contesto di molestia insistente, con la previsione dell’aggravante qualora le molestie siano realizzate in violazione di un protective court order (Art. 264 par 4 e5). Con la riforma del 2002 la pena è stata aumentata fino a dieci anni di reclusione[3].

Ancora, nel 1994, l’Australia si è dotata di una legge contro lo stalking e le violenze domestiche. La caratteristica intrinseca della legge australiana risiede nel fatto di non prevedere, a carico della vittima, l’onere di provare lo stress, le ansie o le paure generate dallo stalker. In via ulteriore la disciplina non ha una valenza extraterritoriale ambia per cui la competenza territoriale dell’autorità giudiziaria può non corrispondere necessariamente a quella ove si è verificato la condotta e l’evento persecutorio.

Elemento comune della disciplina sullo stalking nei paesi di common law sopra citati è quindi:

  • la previsione di una norma penale generale contenente una definizione minima del reato con indicazioni di pene non eccessivamente severe;
  • la possibilità per la vittima di poter richiedere all’autorità competente un restraining order (o injuntion), forma di diffida rivolta allo stalker in caso di realizzazione della fattispecie o fondato fumus alla realizzazione della stessa;
  • la previsione di un’aggravante del reato con inasprimento delle sanzioni in caso di violazione del restraining order.

Spostando l’attenzione verso oriente, in Cina lo stalking è stato espressamente proibito a partire dal 1987 con una normativa recentemente sostituita da disposizioni aggiornate rispetto al reato di persecuzioni perpetrate a mezzo internet: come per altre fattispecie[4] anche per lo stalking è stata prevista la pena capitale.

Il Giappone, invece, ha dovuto attendere il nuovo millennio per dotarsi di una legge sullo stalking inteso come “un crimine che interferisce sulla tranquillità e la qualità della vita delle persone colpite”. Attraverso norme assai stringenti in materia, nel 2000, è stato istituito un apposito reparto di polizia adeguatamente formato e specializzato nel trattare i casi di stalking, e realizzare un’opera di mediazione tra la vittima e lo stalker.

Proseguendo verso ovest, l’India è stato uno degli ultimi paesi ad aver introdotto, nel 2013, una legge anti-stupro. E questo sull’onda della mobilitazione popolare a seguito dei molteplici casi di cronaca nera. La normativa prevede pene più severe, estendono il suo raggio d’azione penale anche ai casi di molestie e stalking. Nei casi ritenuti più gravi, è stata prevista la pena di morte, l’ergastolo per gli stupratori abituali o venti anni di carcere per le violenze occasionali. Requisito minimo per l’imputabilità del fatto di reato, il compimento del diciottesimo anno d’età: lo stalker può essere punito con pena detentiva fino a tre anni in caso di prima denuncia, fino a cinque in caso di reiterazione del crimine. In via accessoria e a seconda dello stato di gravità e reiterazione, sono predisposte anche sanzioni economiche (M. Labianca, 2013 ).

Costituisce rilevante riferimento normativo internazionale in tema di stalking la Convenzione di Istanbul, siglata l’11 maggio 2011. Tale accordo comunitario rappresenta tutt’ora lo strumento più avanzato di contrasto al fenomeno della violenza, di protezione delle vittime e repressione delle condotte criminose degli autori, oltre ad essere la disciplina con maggiori margini di applicabilità. L’influenza di tale testo risiede nell’aver preliminarmente non solo definito le diverse tipologie di violenza, ma anche gli obblighi di criminalizzazione di talune condotte lesive negli ordinamenti interni. Per esempio al Capitolo V si prevede specifiche clausole che dispongono obblighi di penalizzazione di condotte violente, introducendo fra queste la violenza psicologica (art. 33) e gli atti persecutori (Stalking, art. 34). Questa Convenzione si inserisce, quindi, nell’insieme di prassi internazionali di protezione dei diritti umani.

La disciplina normativa in Europa

Anche in Europa la disciplina sullo stalking ha avuto una storia non omogenea: alcuni Stati hanno introdotto legislazioni ad hoc, altri hanno adattato leggi non espressamente riferite allo stalking. Tra i paesi dell’Europa continentale dotati di specifica legislazione in merito vi sono la Germania, l’Austria, il Belgio, l’Irlanda, la Danimarca e dal 2009 l’Italia.

Alla Danimarca si deve la prima disciplina in tema di stalking: già a partire dal 1933, con modifiche nel 1965 e nel 2004, l’ordinamento danese ha previsto una normativa sullo stalking, col termine Forfolgelse (persecuzioni ripetute intese come ogni atto che violi la tranquillità di una persona), quale sottocategoria del più ampio vocabolo Kraenkelse (singolo atto di molestia). Nello specifico, il reato di atti persecutori, inserito nella sezione n. 265 del Codice Penale, intende ‘persecutorio’ ogni atto posto in essere da un attore che violi la tranquillità di una persona, la perseguiti o la disturbi con azioni ripetute ed invasive della sfera personale. La pena prevista è alternativamente quella della multa o della reclusione non superiore a due anni.

Costituisce esempio virtuoso l’Irlanda che, dal 1997, ha introdotto, tramite il Non fatal Offences Aganist the Person Act, il reato di atti persecutori col termine Harrassment. L’art.10 punisce chi, volontariamente o involontariamente, con atti molesti, interferisca nella vita privata di una persona o le provochi timore, angoscia e danni, attraverso persistenti pedinamenti, appostamenti, persecuzioni e comunicazioni. La norma, inoltre, prevede la reclusione fino a sette anni e/o l’ammenda fino ad un massimo di 1.905 Euro. Il numero degli atti persecutori non è specificato, ma la locuzione “con persistenza” lascia intendere che, perché si configuri il reato di stalking, occorre almeno una condotta ripetuta nel tempo.

Nel medesimo anno anche il Regno Unito si è dotato di apposita disciplina coniando l’ormai universale concetto di stalking, approvato con la promulgazione del Protection from Harassment Act. In particolare, differentemente dalla Scozia, per Regno d’Inghilterra e Galles la normativa prevede due ipotesi delittuose:

  • l’Harassment, ovvero la molestia assillante (art.1): comportamento, generato anche solo verbalmente, che spaventa e produce angoscia. Perché si concretizzi il reato devono verificarsi almeno due episodi di molestie atte a spaventare o produrre angoscia nella vittima. Elemento che rende difficile l’applicazione di tale dispositivo è contenuto nel co II, in base al quale, lo stalker dovrebbe rendersi conto della lesività delle proprie molestie, ovvero considerare come “una persona di normale raziocinio in possesso delle stesse informazioni valuterebbe molestia tale condotta”;
  • il Putting people in fear of violence (art.4): l’ingenerare il timore di subire condotte violente. Affinché si configuri sono necessari almeno due episodi atti ad instillare nella vittima la paura di essere destinataria di condotte violente.

In entrambi i casi il reato è punito solo a titolo di dolo generico e identiche sono le pene previste: pena detentiva fino a sei mesi di carcere, e nei casi più efferati e/o la commistione di entrambe le fattispecie, l’arresto immediato. Sempre sono consentiti gli ordini di protezione (restraining orders) emessi dall’Alta Corte o dalla Corte di Contea per impedire all’imputato la prosecuzione della sua condotta persecutoria e molesta. In caso di violazione di tali ordini, la vittima potrà richiedere l’arresto dello stalker corredando tale richiesta degli elementi di fatto addotti a prova della medesima istanza. La violazione dell’ordine giudiziario (injunction) integra gli estremi di un reato penale a se stante che prevede la condanna del persecutore assillante ad una pena detentiva fino ad un massimo di cinque anni e/o all’irrogazione di una multa. In via ulteriore, la vittima potrà richiedere il risarcimento del danno in sede civile in base allo stato d’ansia patita, delle molestie o di perdite finanziarie subite in conseguenza dello stato di stress subito. A partire dal 2006 è stato istituito una sorta di ‘tutor’, cd IDVA (Indipendent Domestic Violence Advisor), che segue la vittima di stalking per almeno tre mesi: tale soggetto opera da intermediario con i diversi enti, dai servizi sociali alle congregazioni religiose, fino all’interno del contesto lavorativo della vittima.

Nell’ordinamento scozzese, invece, non è stata introdotta alcuna incriminazione ad hoc, ma si è preferito adottare il cd ‘modello ingiunzionale’, mediante il ricorso alla disciplina degli orders, tanto di natura civile che amministrativa. La persona che si sente perseguitata può rivolgersi al giudice civile, oppure all’autorità di polizia, affinché ingiungano al persecutore di astenersi dal porre in essere comportamenti minacciosi o vessatori. Solo laddove il soggetto attivo perseveri, inottemperanza all’ordine del giudice o all’autorità di polizia, scatterà l’intervento del giudice penale.

Il Belgio ha inserito il reato di atti persecutori (Belaging o Harcelement), nel 1998 con l’articolo 442 bis codice penale: il dispositivo punisce “Chiunque abbia molestato una persona, mentre era a conoscenza o avrebbe dovuto comunque sapere che il suo comportamento era tale da violare la tranquillità di un’altra persona”. La pena prevista è della reclusione da quindici giorni a due anni e/o la multa da 50 a 300 euro. Ai fini della configurabilità del reato è sufficiente anche un solo comportamento molesto, ma risulta punibile solo ed esclusivamente a querela di parte.

Per quanto concerne, invece, la Spagna il reato di stalking è stato introdotto nel codice penale nel 1999 e nel 2004 il legislatore ha stabilito l’istituzione di tribunali ad hoc per le violenze perpetrate all’interno di una coppia di conviventi. A partire dal 2009 con la Ley Organica è stato inoltre, introdotto, quale strumento preventivo e deterrente, il braccialetto elettronico per quanti indagati o accusati di molestie al fine prioritario di verificare nell’immediato il rispetto dell’ordinanza restrittiva. Il braccialetto, in effetti, permette non solo la localizzazione dello stalker, ma consente alla polizia di intervenire tempestivamente in caso di violazione delle zone di sicurezza.

Nel 2000 anche i Paesi Bassi hanno approvato la legge Anti Stalkingswet o Wet Belaging, contenuta nell’articolo 285 b del codice penale olandese, definendo lo stalker ma non la natura degli atti persecutori in sé. Le pene previste sono quella della reclusione fino a tre anni e della multa fino ad un massimo di 11.250 euro. Tale disposizione, in ogni modo, costituisce l’extrema ratio esercitabile dalla vittima. Prima di qualsiasi cosa le parti in causa devono intraprendere una conciliazione tramite un mediatore, e solo in caso d’inutilità dell’azione civile, la vittima potrà richiedere gli effetti dell’azione penale per tutelare i suoi diritti lesi. Ai fini della configurabilità del reato la legge olandese non prevede un numero di azioni minime o massime, ma stabilisce soltanto che queste siano reiterate nel tempo.

In Austria è del 2006 la legge di riforma del codice penale BGBI I 2006/56, che ha introdotto il tema il reato di Beharrliche Verfolgung, ovvero di “Persistente Persecuzione”. Con essa si intende l’azione di chi, in modo idoneo, pregiudica la vita altrui, per un tempo prolungato. In particolare la fattispecie degli atti persecutori non può realizzarsi con una condotta omissiva, ma necessariamente deve costituirsi in un’azione distinta in quattro tipologie di persecuzione:

  1. l’appostamento dello stalker nelle vicinanze della vittima;
  2. l’acquistare beni o servizi adoperando il profilo personale della vittima;
  3. prendere contatto con la vittima adoperando il telefono e altri mezzi di comunicazione o attraverso terzi;
  4. indurre un terzo a prendere contatti con la vittima attraverso i suoi dati personali.

Le condotte devono essere ripetute per lungo periodo di tempo e idonee a compromettere (danneggiare od offendere) in modo intollerabile le condizioni di vita della vittima. La pena è la reclusione fino ad un anno: pur fondamentale la continuazione temporale, non si specifica un numero minimo o massimo di azioni ritenute persecutorie. Si prevede, comunque, la possibilità di imporre allo stalker dei divieti volti a proteggere la vittima dalle intromissioni, da parte dello stalker, nella sua sfera privata.

Nel 2007, la Germania introduce nel proprio codice penale, con l’Art. 237 (Rubricata Nachstellung “persecuzione” e prevista al §238 StGB), il reato di molestie persecutorie. Con tale disposizione il legislatore tedesco ha inteso perseguire il fenomeno senza, però, utilizzare espressamente il termine stalking. Nel seguire pedissequamente il legal rafting (normazione sintetica) degli ordinamenti di common law, in ossequio alla“tecnica casistica”, il legislatore germanico ha da un lato descritto analiticamente le condotte che possono dar luogo ad ipotesi di molestie persecutorie, e dall’altro previsto una clausola di chiusura di notevole elasticità attraverso l’espressione “e condotte analoghe”, che però pone dei dubbi rispetto al principio di determinatezza.

Il termine adoperato nella norma per indicare il reato di atti persecutori è quello di Unerwuenschtes Verfolgen und Belastingen; con dettagliata elencazione delle condotte vietate:

  • Perseguitare illecitamente una persona con lo scopo, insistente e petulante, di avvicinarsi;
  • Tentare di entrare in contatto con mezzi di telecomunicazione o anche con l’ausilio di terzi;
  • Ordinare beni o servizi adoperando abusivamente i dati personali della vittima;
  • Minacciare con lesioni corporali l’incolumità, la salute e la libertà della vittima o di una persona ad essa vicina o compiere azioni simili che arrechino grave pregiudizio all’organizzazione della vita della vittima.

Il reato prevede pene che vanno dalla detenzione fino a tre anni o il pagamento di un’ammenda pecuniaria. È inclusa, inoltre, una pena detentiva che va da tre mesi a cinque anni se il molestatore mette in pericolo di morte o provoca un grave danno di salute alla vittima, a un suo familiare o a una persona a essa vicina; e una pena detentiva che va da uno a dieci anni in caso di morte della vittima, di un suo famigliare o di una persona a essa vicina. Il reato di molestie persecutorie è generalmente perseguito su istanza di parte, ma può tuttavia esserlo d’ufficio nel caso in cui l’autorità giudiziaria individui un interesse pubblico nel perseguire l’azione penale. La norma incriminatrice prevede un solo evento, consistente nel fatto che le condotte intrusive del persecutore pregiudichino in maniera rilevante la Lebensgestaltung della vittima, cioè le sue condizioni di vita. Il bene giuridico protetto è , quindi, l’integrità psichica della vittima.

Oltre alle previsioni penali, sussiste una disciplina amministrativistica e civilistica finalizzata a concretizzare un’opera di dissuasione sul molestatore[5].

Merita di essere citata una realtà poco conosciuta, quella della Serenissima Repubblica di San Marino laddove i Capitani Reggenti hanno promulgato il decreto delegato in attuazione della pregressa Legge n. 97 del 20 giugno 2008, all’Art. 13 viene inserito il reato di “Atti persecutori – Stalking-Mobbing”. Il reato di atti persecutori (Art. 181 bis), è punito con la prigionia, di primo grado, da tre mesi a un anno e in assenza di aggravanti con una multa. Nell’ipotesi semplice, il reato di atti persecutori è procedibile a querela della persona offesa; esso si considererà consumato soltanto qualora si manifestino più azioni reiterate nel tempo che possano nella vittima turbarle la psiche, cagionarle sofferenze morali o ledere la sua dignità.

La Svizzera non ha ritenuto opportuno dotare il proprio ordinamento di una norma volta al contrasto degli atti persecutori, specificando che tale adozione normativa sarebbe stata contrastante alle già vigenti disposizioni in tema di reati penali. In Svizzera, lo stalking non costituisce, quindi, una fattispecie penale specifica e spesso anche i singoli atti persecutori non sono di per sé punibili. Sono perseguibili d’ufficio, senza eccezione, la coazione, la violenza carnale e le lesioni personali gravi; la minaccia e le lesioni personali semplici lo sono unicamente se la vittima è legata all’autore da un vincolo coniugale o partenariale e soltanto per un periodo limitato a un anno dal momento del divorzio o della separazione. In caso contrario, la procedura penale è avviata solo su querela di parte. Alcuni Cantoni, inoltre, hanno integrato nelle rispettive leggi di polizia alcune norme contro la violenza domestica che, in determinate circostanze, possono essere applicate anche ai casi di stalking.

Anche la Francia, come la Russia, non hanno ancora una normativa specifica sullo stalking: sebbene per la prima sia stata presentata al Parlamento francese una normativa sull’harcèlement dans la vie privée, norma all’esame del Senato francese che introdurrebbe il reato di harcèlement criminel (Florio M., 2013).

Italia: quadro normativo e giurisprudenziale

L’Italia ha introdotto il reato di “atti persecutori” col Decreto Legge[6] 23 febbraio 2009 n. 11, in seguito convertito in Legge (23 aprile 2009 n. 38): con tale normativa si riconosce il fenomeno degli atti persecutori, c.d. Stalking, disciplinandolo nell’articolo 612 bis del codice penale.

Secondo la Sentenza del 14 dicembre 2011 della Corte di Appello di Milano ‑ Sez. V penale – il delitto di atti persecutori previsto dall’art. 612 bis c.p. deve essere qualificato come fattispecie causale caratterizzata da condotte alternative e da eventi disomogenei, ciascuno dei quali idoneo ad integrarla, e sempre oggetto di rigoroso e puntuale accertamento da parte del giudice. In particolare, l’evento, consistente nel “fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona […] legata [all’agente] da relazione affettiva”. Il fatto dovrà essere desunto da una ponderata valutazione della gravità delle condotte e della loro idoneità a rappresentare una minaccia credibile di un pericolo incombente. L’evento alternativo, invece, consistente nel “grave stato di ansia o di paura”, andrà identificato in una condizione emotiva spiacevole, accompagnata da un senso di oppressione e da una notevole diminuzione dei poteri di controllo volontario e razionale, che deve essere grave e non passeggera e potrà assumere rilevanza penale anche se non si traduce in precise sindromi canonizzate dalla scienza medico-psicologica.

Con le disposizione normative adottate il legislatore ha voluto infatti tutelare il bene giuridico della incolumità individuale nella ipotesi in cui le minacce provochino la messa in pericolo della integrità psicofisica del soggetto offeso. Non è necessario che si verifichi un danno alla salute sotto il profilo del c.d. danno biologico, bensì è sufficiente che si verifichi una alterazione del normale equilibrio psichico e fisico della persona offesa, anche senza sfociare in una patologia conclamata.

In quanto reato abituale c.d. proprio[7], il reato di stalking ex art. 612 bis c.p. si può sufficientemente configurare con “anche due sole condotte di minaccia o molestia”, purché nel concreto idonee ad ingenerare nella vittima il fondato timore di subire un’offesa alla propria integrità fisica o morale[8]. Pertanto, elemento essenziale è necessariamente la reiterazione delle condotte in esame: reiterazione che tuttavia non significa abitualità[9]. Il dolo previsto dalla norma è specificatamente generico e consistente nella volontà e coscienza di porre in essere ogni singolo atto, e quindi nella volontà di sottoporre abitualmente la vittima ad una condotta offensiva.

In termini di procedibilità, il reato viene punito a querela della persona offesa, con termine per la proposizione della stessa entro sei mesi. Può tuttavia procedersi d’ufficio quando il fatto viene commesso nei confronti di un minore di età oppure di una persona con disabilità (L. n. 104/1992), nonché quando viene connesso con altro delitto per cui debba procedersi d’ufficio. È altresì procedibile d’ufficio quando il soggetto sia stato ammonito ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 8 del D.L. n. 11/2009, convertito in L. n. 38/2009, secondo cui fino a quando non viene proposta querela la persona offesa ha facoltà di esporre i fatti all’autorità di Pubblica Sicurezza, avanzando richiesta al Questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta.

Dalla entrata in vigore della legge ad oggi si sono succedute molte e importanti evoluzioni dovute allo ius superveniens giurisprudenziale.

Merita particolare attenzione, ad esempio, la decisione del 9 maggio 2012, n. 24135 della Corte di Cassazione, con la quale i Giudici hanno precisato che la prova dello stato d’ansia o di paura denunciato dalla vittima perseguitata può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall’agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante.

Sempre la Cassazione, con la Sentenza n. 8832 del 7 marzo 2011, ha inoltre evidenziato la possibilità di configurare il delitto di stalking qualora la reiterata condotta minacciosa o molesta di taluno, abbia cagionato un grave e perdurante stato di turbamento emotivo, evento destabilizzante ritenuto sussistente dalla Corte in presenza di ripetuti atti di danneggiamento rivolti verso beni di proprietà della vittima.

Sempre nel 2011, con la Sentenza del 26 luglio n. 29762, gli stessi Giudici di legittimità hanno stabilito che il delitto di atti persecutori è un reato ad eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità.

Ancora la Corte di Cassazione, sezione V penale, con la decisione del 15 maggio 2013, n. 20993 ha evidenziato che per configurare il reato non occorra una rappresentazione anticipata del risultato finale, bensì la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell’apporto che ognuno di essi arreca all’interesse protetto. Infatti, trattandosi di reato abituale di evento, è sufficiente alla integrazione dell’elemento soggettivo il dolo generico, ovvero la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli elementi degli eventi alternativamente necessari per l’integrazione della fattispecie legale, che risultano dimostrate proprio dalle modalità ripetute ed ossessive della condotta persecutoria compiuta dallo stalker e delle conseguenze che ne sono derivate sullo stile di vita della persona offesa. Ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non si richiede, per tanto, l’accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie di stalking non costituisce duplicazione del reato di lesioni, ex articolo 582 codice penale.

Interessanti evoluzioni giurisprudenziale sono state introdotte tanto dalla Sentenza n. 37448 della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, in base alla quale il reato può configurarsi anche in assenza di legami affettivi tra vittima e carnefice; quanto dalla sentenza n. 32404, con la quale la Cassazione ha confermato la custodia cautelare per atti persecutori pronunciata in primo grado nei confronti di un uomo che molestava la sua ex tramite uso prevalente del social network Facebook.

Conclusioni

Il fenomeno dello stalking e la sua normazione, in effetti, rispecchiano quello che spesso accade ed è accaduto per altre fattispecie: come altre problematiche socio-giuridiche, anche lo stalking è stato diversamente affrontato nei diversi contesti normativi europei ed internazionali.

Se nei paesi di common law ha prevalso una mera operazione di legal transplant, ovvero il “mettere una regola o un sistema di diritto da un paese o da un popolo in un altro” (A. Watson, 1974), il legislatore italiano, come negli altri pesi di civil law, ha fatto invece propria la tradizione di legal rafting, cioè una tecnica di “normazione sintetica” che consiste, nell’impiego di elementi normativi, rinviando ad una fonte esterna rispetto alla fattispecie, come parametro per la regola di giudizio, da applicare nel caso concreto. Tale tecnica si contrappone a quella della normazione descrittiva: descrizione del fatto criminoso mediante termini che alludono ai dati della realtà empirica. La condotta tipica non è descritta in termini casistici, come le omologhe fattispecie tedesca o austriaca; diversamente dal legislatore inglese per il quale è sufficiente la reiterazione del comportamento persecutorio per due volte; nella fattispecie incriminatrice italiana non si definiscono né quali comportamenti di minacce o molestie possano dar luogo allo stalking, né il numero di comportamenti necessari perché si abbia una condotta persecutoria, per cui l’analisi comparata del reato ha quindi fatto emergere alcuni elementi di forte criticità soprattutto in merito alla normativa italiana.

Primo fra tutti l’aver scelto di introdurre la fattispecie di stalking tramite la tecnica normativa della decretazione d’urgenza, per lo più dal contenuto disorganico e non omogeneo e perciò soggetta a continui ritocchi. L’art. 612 bis è stato di fatti considerato un “prodotto empiricamente scorretto” sotto il profilo dei principi di determinatezza, tipicità e tassatività, una norma molto deficitaria e per di più supportata da norme processuali solo apparentemente a tutela della vittima. Infatti, l’espressione “condotte reiterate” è tutt’altro che tecnicamente ineccepibile e contraddice la stessa rubrica dell’art. 612 bis, che parla di “atti”. Il requisito della reiterazione entro un certo lasso di tempo è, invece, riferito alle condotte di minaccia e molestia. Ancora, sotto tale profilo, la norma pecca di indeterminatezza: eleva la reiterazione delle condotte al rango di elemento costitutivo del fatto (che, dunque, mai potrà risultare integrato da un unico e isolato episodio), senza apporre vincoli temporali entro i quali ricondurre la ripetizione delle condotte tipizzate[10].

Oltremodo significative le integrazioni previste dal DL n.119 del 2013: tra le sue novità si ricorda la previsione dell’arresto obbligatorio in flagranza di reato (articolo 380, comma 2, lettera L ter cpp); l’irrevocabilità della querela se il reato è stato commesso mediante minacce reiterate aggravate; la previsione di nuove aggravanti e del gratuito patrocinio per la vittima.

Come in un caleidoscopio ove al semplice mutare di posizione varia l’effetto d’insieme, così per la fattispecie di stalking, quindi, mutano forme e contenuti a seconda dell’inclinazione geografica e temporale dalla quale si osserva. Oltremodo visibili e soprattutto per la vittima, sono, però, gli effetti di tale mutare continuo di prospettiva, soprattutto in termini di concreta ed effettiva sua tutela.

 

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www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=archivio&action=articolo&idArticolo=2514

 


[1] In riferimento all’incidenza di patologie mentali nello stalker, si veda A. Pomilla, A. D’Argenio & V. Mastronardi (2012), Stalking: considerazioni clinico-criminologiche tramite i risultati di un contributo di ricerca, in Supplemento alla Rivista di Psichiatria, 47(4).

[2] www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=archivio&action=articolo&idArticolo=2514

[3] Il reato di stalking pur essendo all’interno di una fattispecie assai dettagliata, specie nella descrizione delle condotte e del modus operandi dello stalker, mostra profili di criticità in quanto è richiesta la reiterazione (repeatedly) solo della condotta del comunicare o seguire, e non di quella relativa alla sorveglianza o alla minaccia rivolta alla vittima.

[4] Tra queste si ricordano l’omicidio, lo stupro, la violenza, l’aggressione, la lesione fisica, il traffico di esseri umani, il ricatto, l’estorsione, l’appropriazione indebita, la rapina, la violazione di domicilio, l’adozione di metodi pericolosi che cagionino la morte o gravi lesioni alla vittima etc.

[5] L’opera deterrente è realizzata tramite l’imposizione di prescrizioni (es. perquisizioni personali, della casa o delle cose, avviso orale di conoscenza del fatto da parte della polizia); od ordini di fare e/o omettere (es. divieto di avvicinare la vittima o contattarla con qualsiasi mezzo di comunicazione); oppure l’obbligo di risarcire, oltre alla possibilità per la vittima di ottenere dall’autorità giudiziaria e contro il persecutore dei provvedimenti la cui violazione risulta penalmente sanzionabile

[6] Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio n. 45

[7] Cass. pen. Sez. V, 27 novembre 2012 n. 20993.

[8] Cass. pen. Sez. III, 14 novembre 2013 n. 45648.

[9] Cass. Pen., sez. VI, sentenza 27.5.2003, C., in Cass. pen., 2005, 862; Cass. Pen., sez. VI, sentenza 12.4.2006, C., in Guida al dir., 2006, 38, p. 77 ss.

[10] Criticità normative, analisi della giurisprudenza più rilevante e incidenza dello ius superveniens di Rinaldi V., in Seminario giuridico Stalking: dalla legge38/2009al DL93/2013. Strumenti di lavoro e prospettive d’intervento, Università di Bari, 2013.

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