Bullismo e rischio di suicidio in adolescenza. Un contributo sperimentale

 In FocusMinori, N. 1 - marzo 2012, Anno 3

Consapevoli del fatto che la tematica del suicidio giovanile, complessa quanto complesso è il mondo adolescenziale, necessiti di essere trattata in sede distinta e più approfondita, per finalità di redazione del presente articolo ci si limiterà a riprendere alcune considerazioni e risultati offerti dalla letteratura, in via teorica e sperimentale, per ciò che concerne nello specifico gli studi che riguardano il possibile nesso di causalità esistente tra l’essere stati vittime di bullismo e l’aver intentato il suicidio.

Le vittimizzazioni subite in ambito scolastico da quella multiforme e muldimensionale modalità comportamentale nota a tutti come “bullismo”, sono causa di disagi psicologici, sociali e fisici tanto nella contingenza degli avvenimenti quanto a distanza di medio e lungo tempo.

Tenendo conto che tali fenomeni intervengono in un’epoca dello sviluppo in cui il soggetto che ne è vittima è una “personalità in formazione” – sia dal punto di vista emotivo interiore che cognitivo e del processo di socializzazione – non stupisce di apprendere che la vittima si senta investito da qualcosa che, potremmo dire, appare come “più grande di lui”.

Peraltro, non è possibile considerare le prevaricazioni, le prepotenze e le aggressioni subite come esclusivamente appartenenti e concluse in quell’ambiente scolastico che ne è spesso sede di origine: inevitabilmente, la vittima porta con sé, in ogni attività in cui si impiega ed in ogni ambiente che frequenta, le conseguenze lasciate da quanto subito, sperimentando spesso sensi di colpa, auto-svalutazione personale, impotenza ed inadeguatezza che non riescono ad essere sfogati o compresi, neanche nel proprio ambiente familiare.

Ricordando quindi che secondo quanto sostenuto dagli Autori in campo internazionale e nazionale sulle caratteristiche che consentono di distinguere il bullismo dai pur normali conflitti giovanili ed ovvero la presenza di intenzionalità della condotta di prevaricazione, la persistenza nel tempo ed l’asimmetria nella relazione tra aggressore e vittima (Olweus D., 1993; Olweus D., 1996; Fonzi A., 1997), è possibile affermare che proprio l’escalation di episodi di vittimizzazione subiti possa mandare in “corto circuito” il soggetto che li subisce, che vedrà quindi nel suicidio l’unica via di uscita e di interruzione dei soprusi.

La cronaca, del resto, non manca di fornire allarmanti notizie in tal senso: “Bullismo a scuola e suicidi: indagine a Ragusa” titolava il “Corriere della Sera” del 7 maggio 2005, riportando il caso di due ragazzi di 13 anni che, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro (Marco Rubino – 8 febbraio 2005; Damiano Leggio – 15 aprile), si erano tolti la vita perché stanchi di essere derisi dai compagni, frequentanti quello stesso istituto scolastico di Ragusa in cui, nel 1997, già si era registrata una prima vittima di 12 anni[1]; o ancora, “Di bullismo si può anche morire. Ragazzini suicidi perché umiliati” era il titolo di “La Repubblica” del 5 aprile 2007, che per episodi di subito bullismo richiamava l’attenzione della collettività su due casi di suicidio giovanile avvenuti nel 2006, un ragazzo di 20 anni di Castelnovo Monti in provincia di Reggio Emilia e una ragazza di 17 anni di San Vito di Cadore[2].

Ed anche in campo internazionale vi sono riscontri in tal senso: ad esempio, una menzione a parte merita il Giappone, Paese nel quale è ormai noto quanto lo ijime – termine giapponese del corrispettivo anglosassone bullying – incida orribilmente sui suicidi compiuti ogni anno da ragazzi adolescenti coinvolti in episodi di bullismo.

Abbiamo qui voluto citare solo alcune recenti notizie di cronaca, ben consapevoli che molte altre ve ne sono e che nessun adolescente o giovane che abbia perso la vita per tali cause possa essere dimenticato.

Del resto, molto è stato fatto in termini di prevenzione e cura, sia nei confronti delle giovani vittime che devono ricevere il sostegno necessario per la sofferenza che è loro indotta, sia nei confronti degli aggressori, anch’essi in corso di strutturazione della propria identità, che nel radicalizzare tali forme di aggressività e sopraffazione potrebbero in futuro incorrere nella messa in atto di comportamenti ancora più gravi, propriamente devianti o delinquenziali.

Con la stessa consapevolezza che possa esservi un collegamento tra bullismo e suicidio giovanile, molti studiosi si sono dedicati a tale approfondimento, ed in questa sede ve ne presentiamo una breve rassegna. Si tratta di studi condotti allo scopo di rilevare il fenomeno del bullismo a livello quantitativo, destinati quindi all’individuazione delle caratteristiche per mezzo delle quali si manifesta nonché della diffusione all’interno dell’ambiente scolastico, e delle conseguenze possibili in termini di incremento del tasso di suicidio giovanile.

I primi studi internazionali furono condotti negli ’70 dal medico svedese Peter Paul Heinemann e dal docente universitario norvegese Dan Olweus, che per primi accolsero l’allarme sociale derivante dai suicidi che tre ragazzi norvegesi di età compresa tra i 10 ed 14 anni avevano compiuto qualche anno prima, in modo del tutto indipendente l’uno dall’altro, a causa delle aggressioni perpetrate nei loro confronti dai compagni. I due studiosi furono i primi a coniare, mutuando dal termine mobbing che faceva riferimento ai contesti lavorativi, il termine bullying con appartenenza ai contesti giovanili.

Il primo studio sistematico sul bullismo fu condotto proprio da Olweus, che divenne titolare dei fondi stanziati dal Governo per lo studio di questo fenomeno nelle scuole, e portò alla pubblicazione del testo Aggression in the Schools: Bullies and Whipping boys (1973 edizione svedese; 1978 edizione anglosassone), nel quale venivano riportati i risultati quantitativi ottenuti dalla somministrazione di un questionario self-report appositamente ideato ad un campione di 150.000 studenti di scuola elementare e media ed atto a valutare se, in che forma e con quale frequenza, essi avessero subito o agito prepotenze verso i propri compagni. Contestualmente, l’Autore pianificò un piano di intervento nelle scuole (il noto Olweus Bullying Prevention Program) che consentì il raggiungimento di risultati straordinari in termini di riduzione delle denunce.

Un decennio più tardi, tutti i paesi europei ed extraeuropei vennero investiti dalla stessa sensibilizzazione scientifica, ed in Gran Bretagna, Spagna, Olanda, Australia e Stati Uniti non mancarono studi di approfondimento, ricerche ed interventi istituzionali di informazione e prevenzione.

Anche in Inghilterra, a causa della simile e triste circostanza del suicidio di un adolescente stanco di subire violenze da parte dei compagni, il Governo mise a disposizione dei fondi per promuovere studi e piani di intervento per il contenimento del fenomeno, utilizzando i quali lo psicologo evolutivo Peter Smith ed i suoi collaboratori misero a punto lo Sheffield Project (Smith, 1991; Boulton e Smith, 1994), che aveva lo scopo di coinvolgere in modo esteso la politica scolastica, ovvero tutti coloro che ne facevano parte: alunni ed insegnanti chiaramente, ma anche ausiliari, tecnici e genitori. Il progetto, che verificò possedere risultati non unitari in termini di benefici qualitativi a causa delle variazioni tra un istituto scolastico e l’altro, fu comunque innovativo e positivo (Cowie, Smith, Boulton e Laver, 1994).

In Italia, l’interesse nasce intono agli anni ’90, per merito degli studi condotti dalla Prof.ssa Ada Fonzi del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Firenze, che tra il 1994 ed il 1997 intervenne al fine di definire il fenomeno nel panorama nazionale, scoprirne le cause, gli effetti e le possibili strategie di intervento.

Lo studio, che condusse alla pubblicazione del volume Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Ricerche e prospettive di intervento (Ed. Giunti, Firenze, 1997), coinvolse un campione di circa 7.000 studenti di scuola elementare e media di otto regioni italiane, e portò ad alcuni risultati importanti: a subire episodi di violenza era un complessivo 41% di studenti della scuola primaria ed un complessivo 26% di studenti della scuola media (risultato che lascia intendere l’incidenza della variabile età nella progressiva diminuzione del fenomeno, laddove «con l’evolversi delle capacità socio-cognitive e morali diminuisce il numero di coloro che prevaricano e di quelli che sono disposti a farsi prevaricare»); esistono delle differenze tra le regioni coinvolte nell’indagine, laddove alcune sono maggiormente colpite (ad esempio, la città di Napoli) ed altre meno (ad esempio, la regione Calabria); se, in generale, i risultati della ricerca in merito all’incidenza del fenomeno in corrispondenza dell’appartenenza di sesso ricalcano i risultati ottenuti dalle ricerche internazionali, in alcune sedi quali Bologna, Napoli e Palermo i risultati si invertono e «le femmine che si dichiarano prepotenti sono in numero molto maggiore che altrove, mettendo in crisi l’immagine tradizionale della donna, soprattutto meridionale ma non solo, disposta e abituata a ricevere prepotenze piuttosto che a farle» (Fonzi A., 1997; http://www.psicologiagiunti.it/ psicologiacontemporanea).

Per ciò che concerne gli effetti delle vittimizzazioni da bullismo, la letteratura ha delineato un’ampia varietà di effetti a breve, medio e lungo termine che comprendono tanto la sfera dei disturbi fisici e psicosomatici (cefalea, dolori addominali, astenia, enuresi, inappetenza, disturbi del sonno, etc..), quanto quella dei disturbi psicologici (disturbi d’ansia, depressione, fobia sociale, alterazioni del funzionamento scolastico quali problemi di concentrazione ed apprendimento fino al ritiro scolastico, riduzione dell’autostima, difficoltà a livello lavorativo, etc..), fino a sviluppare comportamenti autolesivi quali abuso e dipendenza da sostanze e/o alcolismo, nonché ideazione e conseguenti tentativi di suicidio.

La letteratura spiega che gli effetti possono variare in considerazione della tipologia, durata ed intensità di episodi di vittimizzazione cui si è sottoposti – ad esempio, dando differenti conseguenze se si tratta di bullismo fisico o aggressioni verbali o indirette (Juvonen e Graham, 2001; Kochenderfer-Ladd B. e Ladd G.W., 2001); così come in base al genere sessuale di appartenenza della vittima ed al differente livello di maturazione ed integrità raggiunto dalla sua personalità – anche in considerazione dell’evoluzione delle strategie di coping in suo possesso.

Di conseguenza, i risultati ottenuti dalle ricerche mostrano di possedere differenti possibilità interpretative in merito ai rapporti di causalità esistenti tra eventi di vittimizzazione ed effetti/disturbi, poiché in taluni casi sembrano essere le vittimizzazioni a causare gli effetti negativi mentre in altri è la già presente depressione a porre il soggetto di fronte ad un maggiore rischio di essere prevaricato.

Alcuni studi retrospettivi sugli adulti hanno mostrato che le vittimizzazioni infantili possono lasciare delle conseguenze durature (Hugh-Jones e Smith, 1999); mentre studi longitudinali hanno chiarito che i due elementi effettivamente coesistono (Kochenderfer-Ladd, 1996) (in Smith P.K., 2007).

Allo stesso modo, in merito allo specifico rischio di suicidio, i riscontri della letteratura sono discordanti nel porre quest’ultimo in causalità diretta con il bullismo, e ciò vale tanto per le vittime quanto per l’autore, che a lunga distanza potrebbe ugualmente – e non si può escludere che ciò avvenga per il senso di colpa che si origina ripensando alla sofferenza in precedenza inflitta – nutrire ideazioni suicidarie (nella letteratura si parla in tal senso di “bullo-vittima”).

Infatti: secondo Klomek e colleghi, «I ragazzi che hanno subito spesso episodi di bullismo, e non solamente di rado, vanno incontro ad un maggiore rischio di subire una grave depressione e di manifestare ideazioni suicidarie al confronto con ragazzi che non hanno subito le stesse esperienze. Quando si studia il rischio di depressione in bambini di 8 anni, l’associazione tra frequenti episodi di bullismo e depressione grave è mantenuta, mentre l’associazione con l’ideazione suicidaria diventa non-significativa»[3] (Brunstein Klomek A., Sourander A., Kumpulainen K, et al., 2008); mentre invece per Kaltiala-Heino e colleghi, «Gli adolescenti che hanno subito bullismo e coloro che sono bulli sono esposti ad un rischio maggiore di sviluppare depressione e ideazione suicidaria. La necessità di intervento psichiatrico non dovrebbe essere considerata solo per le vittime del bullismo, ma anche per i bulli»[4].

Posizione invece decisamente più netta è quella proposta dagli studiosi Bennett Leventhal (Università dell’Illinois – Chicago) e Young-Shin Kim (Università di Yale – New Haven), autori di una ricerca svolta su un campione di studenti della Corea del Sud, per mezzo della quale è stato evidenziato che il bullismo è la forma prevalente di violenza studentesca; che con alte percentuali esiste un nesso di causalità tra l’aver agito e/o subito azioni di bullismo ed il manifestare comportamenti psicopatologici; ed infine che esiste un’alta probabilità che i soggetti coinvolti in comportamenti di bullismo pongano in essere azioni suicidarie (Kim Y.S., Koh Y.J., Leventhal B., 2005).

Successivamente gli stessi Autori, per mezzo della review critica di 37 precedenti studi condotti in altri Paesi sulla disamina del rapporto tra bullismo e suicidio giovanile, giungono a definire la questione affermando che, al di là delle differenze metodologiche esistenti tra le differenti ricerche analizzate, qualunque partecipazione in comportamenti di bullismo aumenta sempre il rischio di sviluppare ideazioni ed azioni autolesive e suicidarie: «Nonostante le differenze metodologiche ed altri limiti, è sempre più chiaro che qualsiasi partecipazione al bullismo aumenti il rischio di sviluppare ideazione e/o comportamenti suicidari in un ampio spettro della popolazione giovanile»[5] (Kim Y.S., Leventhal B, 2008).

Dunque la correlazione tra bullismo e suicidio è stata dimostrata da numerose ricerche, ed in conclusione del breve excursus qui esposto vale infine la pena di citare come, con questa consapevolezza, gli autori Neil Marr e Tim Field abbiano voluto coniare un nuovo termine, bullycide, da intendersi secondo un doppio versante: come suicidio di colui che è stato vittima di bullismo, e come omicidio del bullo da parte dell’aggressore (Marr N., Field T., 2001).

Accogliendo questo duplice significato, non si può allora non pensare ad alcuni casi di cronaca internazionale divenuti oggetto di specifico interesse criminologico: le note stragi avvenute nei college americani quali quello della Columbine High School in Colorado, dove il 20 aprile 1999 ad opera degli studenti Eric David Harris e Dylan Bennet Klebold persero la vita 13 persone ed altre 24 furono ferite, o quello avvenuto il 16 aprile 2007 al Virginia Polytechnic Institute ad opera dello studente coreano Cho Seung-hui, che uccise 32 persone e ne ferì altre 29.

Come è noto, in entrambi i casi alla strage fece seguito il suicidio degli autori. Le indagini condotte a seguito di questi eventi richiamarono, fra le altre plausibili considerazioni sui sottostanti moventi di tali comportamenti[6], anche la possibilità che i giovani autori fossero stati vittime di bullismo, e che il gesto compiuto fosse al contempo un mezzo per esprimere la loro rabbiosa denuncia ed il desiderio di vendetta per quanto subito. E quindi, davvero il confine tra autore e vittima si avvicina.

Dati statistici sul suicidio: panoramica nazionale

La tematica del suicidio, come riportato dalla letteratura, è sempre difficile da riportare per mezzo di statistiche, in virtù della copresenza di alcuni fattori che possono essere sintetizzati come segue:

  • problematiche metodologiche: alcuni casi di suicidio possono sfuggire al conteggio effettuato dall’ente o dall’autore che ha il compito di stilare il rapporto perché, se la selezione viene basata su quanto dichiarato dalla denuncia di morte, la dicitura utilizzata potrebbe essere differente (ad esempio: “morte improvvisa” o “causa sconosciuta”); oppure perché il suicidio viene confuso con morte accidentale legata allo stile di vita del soggetto (ad esempio: overdose volontaria in soggetto tossicodipendente); o infine perché la morte, come conseguenza del tentativo di suicidio, potrebbe anche non essere immediata, ed avvenire viceversa in epoca successiva alla fase di raccolta;
  • stigma sociale: vige da sempre nei confronti del suicidio un forte stigma sociale che ha origine in molteplici fattori, tra i quali ha un ruolo certamente rilevante la vergogna provata dai familiari e da coloro che erano a “stretto” contatto con la vittima (si pensi, ad esempio, al suicidio di soggetti con patologia di mente, che è già una condizione particolare, o a quello di carcerati o di operatori della pubblica sicurezza). Anche in questo caso, quindi, quanto menzionato potrebbe sfuggire alle nomenclature effettuate;
  • necessità di difesa sociale: la necessità di garantire e cooperare verso il mantenimento della difesa sociale, pone inevitabilmente il fenomeno del suicidio in secondo piano rispetto a fenomeni che rappresentano un pericolo per la comunità (reati violenti: stupri, omicidi, violenza in famiglia, etc..). Esso comunque rappresenta una piaga sociale verso cui la comunità si sta orientando sempre di più in termini di prevenzione ed intervento;
  • rilevanza mediatica: anche in virtù di quanto sopra detto, chi scrive è del parere che un suicidio, a meno che non condotto in circostanze particolari o curiose, o che non riguardi un personaggio in qualche modo pubblico o noto, ottenga di fatto meno risonanza mediatica (e sociale) ad esempio di un omicidio o di altre tipologie di reati violenti. Si ritiene che ciò possa avvenire anche per quel senso di rispetto che la comunità sceglie di mostrare verso colui che si è abbandonato al proprio “male di vivere”, nella considerazione, a posteriori, che non si è stati in grado di fornire aiuto prima del gesto.

Per tutti i motivi sopra citati, dunque, l’undereporting o sottostima dei suicidi e tentati suicidi è elevato e quindi i rapporti statistici non possono considerarsi del tutto attendibili.

In una panoramica mondiale, secondo quanto riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (http://www.who.int/mental_health/ prevention/suicide/ suicideprevent/en/#), ogni anno muoiono suicide quasi 1 milione di persone, con un tasso “globale” di mortalità di 16 suicidi ogni 100.000 abitanti, ovvero un suicidio ogni 40 secondi (in totale, ogni giorno muoiono suicide circa 3.000 persone). I tentati suicidi, non compresi nelle statistiche, sono 20 volte più frequenti dei suicidi compiuti.

Il suicidio, il cui tasso è aumentato a livello mondiale del 60% nel corso di questi ultimi 45 anni, è da considerarsi in alcuni Paesi tra le 3 principali cause di morte nella fascia di età 15 – 44 anni, e la seconda causa di morte nella fascia di età 10 – 24 anni.

Dunque anche se tradizionalmente il tasso di suicidio è stato più alto per soggetti di età anziana, oggi sono i giovani a destare maggiore preoccupazione, ed essi sono considerati il gruppo maggiormente a rischio in un terzo dei Paesi del mondo.

Per quanto riguarda l’Italia, l’Istat ha redatto due Rapporti relativi ai casi di suicidio e tentato suicidio accertati dalla Polizia di Stato e dall’Arma dei Carabinieri: il primo è stato pubblicato nel 2009 e contiene i casi riferiti al periodo storico 2006-2008 (ivi contenuti anche brevi cenni degli anni precedenti, dal 2003 al 2005); il secondo è stato pubblicato nel 2011 ed è relativo all’anno 2009.

Rimandando ad una lettura più approfondita delle fonti originarie per la visione d’insieme sull’argomento, è possibile sintetizzare come segue:

  • trend relativo ai casi di suicidio: complessivamente considerato, il periodo dal 2003 al 2009 ha registrato un andamento decrescente dei casi di suicidio, poiché si è passati dai 3.361 casi nel 2003 ai 2.986 casi del 2009. Il dato è certamente confortante, e non implica un minore interessamento al fenomeno, che anzi nell’arco di questi ultimi anni si è incrementato.
  • rapporto tra il totale dei casi di suicidio accertati ed i casi di suicidio divisi per fascia di età: come mostrato nel dettaglio, i suicidi adolescenziali non sono poi così frequenti. La fascia di popolazione con il più alto tasso di suicidi è comunque giovane (25-44 anni), ma meno preoccupazione destano i giovanissimi (fino a 13 anni, e da 14 a 17 anni). Il dato conferma quindi la tendenza generale, secondo la quale il tasso di suicidio aumenta in modo proporzionale con l’aumentare dell’età. Nello specifico, in rapporto all’età abbiamo:

Anno 2006

Anno 2007

Anno 2008

Anno 2009

Su un totale di 3.061 casi di suicidio accertati, 161 riguardano la popolazione giovane, con netta prevalenza nella fascia di età 18-24 anni (130 casi), seguita da quella 14-17 anni (30 casi) e da quella entro i 13 anni (1 caso) – fascia di età con maggiore tasso di suicidio 25-44 anni (1.574 casi).

Su un totale di 2.867 casi di suicidio accertati, 159 riguardano la popolazione giovane, anche in questo caso con netta prevalenza nella fascia di età 18-24 anni (128 casi), seguita da quella 14-17 anni (25 casi) e da quella entro i 13 anni (6 casi) – fascia di età con maggiore tasso di suicidio 25-44 anni (1.542 casi).

Su un totale di 2.828 casi di suicidio accertati, 144 riguardano la popolazione giovane, sempre con netta prevalenza nella fascia di età 18-24 anni (107 casi), seguita da quella 14-17 anni (34 casi) e da quella entro i 13 anni (3 casi) – fascia di età con maggiore tasso di suicidio 25-44 anni (1.589 casi).

Su un totale di 2.986 casi di suicidio accertati, 139 riguardano la popolazione giovane, ancora una volta con netta prevalenza nella fascia di età 18-24 anni (109 casi), seguita da quella 14-17 anni (27 casi) e da quella entro i 13 anni (3 casi) – fascia di età con maggiore tasso di suicidio 25-44 anni (1.561 casi).

  • rapporto tra casi di suicidio e tentato suicidio ed appartenenza di sesso: mentre nel caso del suicidio vi è una grande distanza tra uomini e donne (i suicidi maschili sono circa di 3 volte superiori a quelli femminili), le distanze si accorciano nel caso del tentato suicidio (i casi di tentato suicidio di uomini sono appena maggiori di quelli delle donne).
  • rapporto tra casi di suicidio accertati e casi di tentato suicidio:

Anno 2006

Anno 2007

Anno 2008

Anno 2009

I tentati suicidi sono stati 3.284, di cui 335 nella fascia di età 18-24 anni, 87 nella fascia di età 14-17 anni e 10 nella fascia di età entro i 13 anni (tot. 432 tentati suicidi).

I tentati suicidi sono stati 3.234, di cui 297 nella fascia di età 18-24 anni, 78 nella fascia di età 14-17 anni e 9 nella fascia di età entro i 13 anni (tot. 384 tentati suicidi).

I tentati suicidi sono stati 3.327, di cui 294 nella fascia di età 18-24 anni, 78 nella fascia di età 14-17 anni e 7 nella fascia di età entro i 13 anni (tot. 379 tentati suicidi).

I tentati suicidi sono stati 3.289, di cui 287 nella fascia di età 18-24 anni, 80 nella fascia di età 14-17 anni e 9 nella fascia di età entro i 13 anni (tot. 376 tentati suicidi).

  • l’area geografica maggiormente interessata dal fenomeno: è la metà del Centro e del Nord peninsulare a registrare più casi, mentre il Meridione si colloca sempre al secondo posto. Si può ritenere che questo fenomeno risenta, al pari di altri, dell’influenza del fattore socio-demografico relativo alla specifica composizione sociale: la struttura sociale del sud è meno debole che al nord, il gruppo sociale è più coeso, chi è in difficoltà riceve maggiore sostegno, etc… Nel dettaglio:

Anno 2006

Anno 2007

Anno 2008

Anno 2009

La netta prevalenza dei casi di suicidio si registra nelle zone del Centro-Nord, con 2.272 casi di suicidi accertati e 2.460 casi di tentati suicidi.

Anche in questo caso è il Centro-Nord, con 2.121 casi di suicidi accertati e 2.407 casi di tentati suicidi.

Ancora il Centro-Nord, con 2.085 casi di suicidi accertati e 2.544 casi di tentati suicidi.

Sempre il Centro-Nord, con 2.161 casi di suicidi accertati e 2.482 casi di tentati suicidi.

  • movente: la specifica relativa alla possibilità che siano state le vittimizzazioni da bullismo ad aver indotto nel soggetto l’ideazione o il comportamento suicidario (che può o meno essersi concretizzato) manca, almeno in modo così esplicito, dalla differenziazione effettuata dai Rapporti. La categoria di movente entro la quale vengono riportati più casi riguarda la “malattia (e nello specifico, in misura maggiore quella psichica rispetto a quella fisica), seguita poi dal movente “affettivo”. Vi è da dire che tali moventi derivano dalla dicitura utilizzata nei modelli individuali compilati dalla Polizia di Stato e dall’Arma dei Carabinieri in base alle notizie contenute nel verbale di denuncia di suicidio trasmesso all’Autorità giudiziaria: si tratta dunque di compilazioni in qualche modo sommarie, che certamente non possono indicare la complessità dei motivi interiori che spingono una persona a suicidarsi.

Per concludere, confrontando la panoramica nazionale con la situazione di altri Stati Europei, se da un lato i riscontri effettuati fanno ritenere che l’Italia risulta avere il tasso annuo di suicidi più basso per le classi di età 0-13 anni (meno di 1 soggetto l’anno) e 14-17 anni (1 soggetto all’anno per ogni 100.000 abitanti), dall’altro il dato relativo alla situazione italiana riportato nell’ultima “Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio[7]” è che avvengono circa 4.000 suicidi l’anno e che tra i giovani e gli adolescenti essa è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali.

In altre parole, se per una volta il nostro Paese può farsi vanto di essere fanalino di coda rispetto alla panoramica internazionale, è da ritenersi fondamentale migliorare ancora le strategie preventive e di intervento.

Bullismo e suicidio: contributo sperimentale (campione: 3.393 alunni)

Al fine di valutare se i riscontri offerti dalla letteratura internazionale possano valere anche per il territorio nazionale, si è operato nella conduzione di una indagine esplorativa volta ad indagare la percezione del fenomeno del bullismo tra i giovani, nonché le possibili correlazioni esistenti tra questo ed il rischio di mettere in atto condotte autolesive e suicidarie.

Sono stati coinvolti 3.393 giovani di età compresa tra i 13 ed i 16 anni, alunni del biennio iniziale di 18 Istituti Superiori della città di Roma, ai quali è stato somministrato un Questionario – rivisitato in alcune sue parti e tratto dal testo “Metodologia della ricerca socio-psico-pedagogica” di J.D.Nisbet e N.J.Entwistle (1999, Armando Editore) – composto da 21 item (vedi Tabella 1), al quale i ragazzi dovevano indicare le situazioni vissute in prima persona, o nelle quali potevano riconoscersi in qualità di spettatori, in riferimento all’istituto in quel momento frequentato.

TABELLA 1 – Item del Questionario sottoposto agli Alunni intervistati

A. Qualche volta mi comporto da bullo, e questo mi piace.
B. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, e io lo ammiro perché ci fa divertire e riesce a fare il capo.
C. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma la sua vittima se lo merita davvero.
D. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma la sua vittima non fa parte del suo gruppo, perché dentro il gruppo ci rispettiamo.
E. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo con gli altri, ma con me si comporta bene e quindi non sono affari miei.
F. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma la cosa non m’interessa perché la sua vittima ed io non siamo amici
G. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma non posso dire niente perché non voglio rimanere escluso dal gruppo.
H. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io cerco di vendicarmi delle sue prepotenze senza farglielo capire.
I. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo ma io faccio finta di non capirlo perché anch’io ho paura di diventare una sua vittima.
J. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io non mi sento tranquillo perché penso che posso diventare un suo bersaglio.
K. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io evito tutti i contatti con lui perché ho paura.
L. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e tutti sono spaventati.
M. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo ed io sono diventato il bersaglio delle sue cattiverie.
N. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io mi sento così triste e solo che a volte penso di non venire più a scuola.
O. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io non ce la faccio più a vivere così maltrattato e senza parlare con nessuno.
P. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma i professori se ne sono accorti e mi difendono.
Q. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma a scuola c’è molto controllo e io mi sento sicuro.
R. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma io ne ho parlato in famiglia e gli aduli mi stanno aiutando.
S. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo però nessuno lo appoggia ed io ho più amici di prima.
T. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma non può fare del male a nessuno perché tutti sanno e dicono che questo non è giusto.
U. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma sta imparando a comportarsi meglio.

La ricerca, condotta tra il novembre e l’aprile dell’Anno Scolastico 2008/2009, ha coinvolto i seguenti Istituti del territorio romano:

  • n. 7 Istituti scolastici del I Municipio (Galilei, Newton, Colombo Centrale, Colonna, Virgilio, Albertelli, Plinio Seniore), afferenti all’ASL Roma A;
  • n. 2 Istituti scolastici del II Municipio (Giulio Cesare e Azzarita), afferenti all’ASL Roma A;
  • n. 6 Istituti scolastici del IV Municipio (Archimede, Pacinotti, Matteucci Succursale, Giordano Bruno, Sisto V, Colombo Succursale), afferenti all’ASL Roma A;
  • n. 2 Istituti scolastici del XVII Municipio (Ferrara e Valadier), afferenti all’ASL Roma E;
  • n. 1 Istituti scolastici del XI Municipio (Cattaneo Succursale), afferenti all’ASL Roma C.

Per quanto concerne la competenza sanitaria sul territorio ed i servizi scolastici attivi all’epoca della ricerca, in quasi tutti gli Istituti scolastici erano presenti Centri o Sportelli di Ascolto nei quali esperti professionisti (psicologi, educatori, counselor) erano di sostegno alle problematiche avanzate dagli adolescenti.

In particolare, in considerazione delle ASL coinvolte, abbiamo:

  • ROMA A – Distretto Sanitario 1 – Unità Operativa Semplice Salute Mentale e Riabilitazione Età Evolutiva; Centro “Salute adolescenziale e dei giovani adulti”:
    • Centro di Informazione e Consulenza (CIC) presente negli Istituti: “Galilei”, “Colombo Centrale”, “Colonna”, “Virgilio” e “Albertelli”;
    • Progetto di educazione alla salute attivato nell’Istituto Scolastico “Newton”;
    • Sportello d’ascolto e consulenza per Genitori, Docenti e Studenti attivato nell’Istituto Scolastico “Plinio Seniore”.
  • ROMA A – Distretto Sanitario 2 – Unità Operativa Semplice Salute Mentale e Riabilitazione Evolutiva: interventi di educazione alla salute; attività di prevenzione rivolta a singoli o a gruppi su progetti specifici in ambito scolastico; Centro di Assistenza Psicologica giovani adulti (18- 35 anni):
    • Centro di Informazione e Consulenza (CIC) presente nell’Istituto scolastico “Giulio Cesare”;
    • Presidio Psicologico presente nell’Istituto scolastico “Azzarita”.
  • ROMA A – Distretto Sanitario 4 – Unità Operativa Semplice Salute Mentale e Riabilitazione età Evolutiva; Medicina Preventiva dell’età evolutiva:
    • Sportello d’Ascolto presente negli Istituti scolastici: “Archimede”, “Pacinotti”, “G. Bruno”;
    • Centro di Informazione e Consulenza (CIC) presente negli Istituti: “Matteucci” e “colombo Succursale”;
    • Presidio Psicologico presente nell’Istituto “Sisto V”.
  • ROMA E  – Consultorio adolescenti nel XVII Municipio;
    • Centro di Informazione e Consulenza (CIC) presente negli Istituti: “Ferrara” e “Valadier”;
  • ROMA C – Distretto Sanitario 11 – Servizio di Tutela Salute Mentale e Riabilitazione Età Evolutiva;
    • Centro di Informazione e Consulenza (CIC) presente nell’Istituto scolastico “Cattaneo Succursale”.

Vengono di seguito riportati, in riferimento ad ogni singolo Istituto Scolastico coinvolto nell’indagine, i dati relativi alle omissioni ed alle risposte prevalenti e minoritarie fornite dagli alunni:

Istituto Scol. “Galilei”:

– Tot. Alunni intervistati: 259

– Omissioni: 45 (4,83%)

– RISP. PREVALENTE: E (11%)

– RISP. MINORITARIA: O (1%)

Istituto Scol. “Valadier”:

– Tot. Alunni intervistati: 93

– Omissioni: 21 (6,84%)

– RISP. PREVALENTE: U (12%)

– RISP. MINORITARIA: K (1%)

Istituto Scol. “Colombo Centrale”:

– Tot. Alunni intervistati: 272

– Omissioni: 112 (17,42%)

– RISP. PREVALENTE: U – D (9%)

– RISP. MINORITARIA: O-M (1%)

Istituto Scol. “Archimede”:

– Tot. Alunni intervistati: 206

– Omissioni: 117 (32,41%)

– RISP. PREVALENTE: U (11%)

– RISP. MINORITARIA: O (1%)

Istituto Scol. “Plinio Seniore”:

– Tot. Alunni intervistati: 93

– Omissioni: 21 (6,84%)

– RISP. PREVALENTE: U (12%)

– RISP. MINORITARIA: K (1%)

Istituto Scol. “Colombo Succ”:

– Tot. Alunni intervistati: 44

– Omissioni: 4 (2,50%)

– RISP. PREVALENTE: D (11%)

– RISP. MINORITARIA: P (1%)

Istituto Scol. “Matteucci”:

– Tot. Alunni intervistati: 123

– Omissioni: 15 (3,35%)

– RISP. PREVALENTE: U (13%)

– RISP. MINORITARIA: O (1%)

Istituto Scol. “Azzarita”:

– Tot. Alunni intervistati: 167

– Omissioni: 30 (5,92%)

– RISP. PREVALENTE: U (13%)

– RISP. MINORITARIA: M (1%)

Istituto Scol. “Giulio Cesare”:

– Tot. Alunni intervistati: 422

– Omissioni: 182 (20,13%)

– RISP. PREVALENTE: D (12%)

– RISP. MINORITARIA: O (1%)

Istituto Scol. “Pacinotti”:

– Tot. Alunni intervistati: 154

– Omissioni: 35 (8,41%)

– RISP. PREVALENTE: E (17%)

– RISP. MINORITARIA: N (1%)

Istituto Scol. “Virgilio”:

– Tot. Alunni intervistati: 124

– Omissioni: 63 (23,77%)

– RISP. PREVALENTE: C (9%)

– RISP. MINORITARIA: O (0%)

Istituto Scol. “Newton”:

– Tot. Alunni intervistati: 323

– Omissioni: 86 (10,07%)

– RISP. PREVALENTE: U (15%)

– RISP. MINORITARIA: N (1%)

Istituto Scol. “G. Bruno”:

– Tot. Alunni intervistati: 344

– Omissioni: 119 (14,22%)

– RISP. PREVALENTE: D (9%)

– RISP. MINORITARIA: O (1%)

Istituto Scol. “Cattaneo Succ.”:

– Tot. Alunni intervistati: 49

– Omissioni: 14 (9,66%)

– RISP. PREVALENTE: E (11%)

– RISP. MINORITARIA: O (0%)

Istituto Scol. “Albertelli”:

– Tot. Alunni intervistati: 233

– Omissioni: 94 (18,29%)

– RISP. PREVALENTE: H (12%)

– RISP. MINORITARIA: N (0%)

Istituto Scol. “Sisto V”:

– Tot. Alunni intervistati: 120

– Omissioni: 28 (8,26%)

– RISP. PREVALENTE: E (13%)

– RISP. MINORITARIA: N (2%)

Istituto Scol. “Ferrara”:

– Tot. Alunni intervistati: 72

– Omissioni: 11 (4,91%)

– RISP. PREVALENTE: D (13%)

– RISP. MINORITARIA: N (0%)

Istituto Scol. “Colonna”:

– Tot. Alunni intervistati: 253

– Omissioni: 71 (11,51%)

– RISP. PREVALENTE: U (14%)

– RISP. MINORITARIA: O (1%)

Riportando nel complesso le risposte maggioritarie e minoritarie fornite dagli intervistati di tutti gli istituti, abbiamo (Tabella 2):

TABELLA 2 – Risposte maggioritarie e minoritarie per gli Alunni intervistati in tutti gli Istituti Scolastici coinvolti

A. Qualche volta mi comporto da bullo, e questo mi piace.
B. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, e io lo ammiro perché ci fa divertire e riesce a fare il capo.
C. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma la sua vittima se lo merita davvero.
D. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma la sua vittima non fa parte del suo gruppo, perché dentro il gruppo ci rispettiamo.
E. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo con gli altri, ma con me si comporta bene e quindi non sono affari miei.
F. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma la cosa non m’interessa perché la sua vittima ed io non siamo amici
G. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma non posso dire niente perché non voglio rimanere escluso dal gruppo.
H. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io cerco di vendicarmi delle sue prepotenze senza farglielo capire.
I. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo ma io faccio finta di non capirlo perché anch’io ho paura di diventare una sua vittima.
J. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io non mi sento tranquillo perché penso che posso diventare un suo bersaglio.
K. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io evito tutti i contatti con lui perché ho paura.
L. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e tutti sono spaventati.
M. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo ed io sono diventato il bersaglio delle sue cattiverie.
N.
Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io mi sento così triste e solo che a volte penso di non venire più a scuola.
O. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo e io non ce la faccio più a vivere così maltrattato e senza parlare con nessuno (min. assuluto).

P. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma i professori se ne sono accorti e mi difendono.
Q. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma a scuola c’è molto controllo e io mi sento sicuro.
R. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma io ne ho parlato in famiglia e gli aduli mi stanno aiutando.
S. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo però nessuno lo appoggia ed io ho più amici di prima.
T. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma non può fare del male a nessuno perché tutti sanno e dicono che questo non è giusto.
U. Qualcuno del gruppo si comporta da bullo, ma sta imparando a comportarsi meglio (magg. assoluto).

Quanto sopra evidenziato consente di trarre alcune considerazioni specifiche, ed ovvero:

  • il fenomeno del bullismo scolastico è ampiamente riscontrato dagli alunni degli istituti scolastici coinvolti. Gli studenti lo subiscono, lo vivono, lo percepiscono e lo osservano, questo è innegabile. E quali percezioni hanno dell’autore delle aggressioni, e se in prima persona non sono essi stessi vittime? I partecipanti si schierano secondo due opposte posizioni e percezioni: da un lato, vi sono coloro che, in ottica diremmo “innocentista”, confidano nel fatto che il bullo stia imparando a comportarsi meglio, come se volessero intendere il fenomeno a “breve scadenza”; dall’altro, vi sono coloro che, maggiormente “colpevolisti” dei precedenti, scaricano solo sull’autore delle prevaricazioni la responsabilità dell’arrecato disturbo alla vita del “gruppo”, che viceversa è saldo in termini di rispetto reciproco e di appartenenza (“con me si comporta bene, quindi non sono affari miei”; “la vittima non fa parte del gruppo, perché tra di noi ci rispettiamo”).
  • il disagio determinato dall’essere vittima dei comportamenti aggressivi del bullo è grave. Colpisce l’adolescente nell’intimità delle proprie emozioni più profonde, in quel delicato periodo della crescita dove il processo di socializzazione è insieme fonte e mezzo per la strutturazione della propria identità. Bersaglio di cattiverie che non riesce a spiegare, si sente solo, abbandonato e privo di risorse sia interiori che appartenenti all’ambiente sociale, come ausilio per contrastare le vittimizzazioni subite. Ed in questi casi, cresce in lui il desiderio di “ritirarsi dal mondo”, di abbandonare i luoghi e le attività che così profondamente lo feriscono, nel presente (“a volte penso di non venire più a scuola”) e senza speranze per il futuro (“non ce la faccio più a vivere così maltrattato e senza parlare con nessuno”).
  • Ciò nonostante, in qualche modo, riesce a trovare la forza e le capacità per non lasciarsi andare del tutto, recuperando la stima personale ed un buon rendimento scolastico.

Conclusioni: risultati della ricerca e rilevanza dei dati statistici rispetto alle ipotesi teoriche

L’analisi dei dati provenienti dal contributo di ricerca proposto ci ha portato ad affermare che, nelle casistiche di bullismo riscontrate, non è stata dimostrata una relazione causale diretta tra l’essere stati vittima di bullismo e l’aver tentato il suicidio: nessuno degli studenti intervistati ha manifestato ideazioni suicidarie o tentato il suicidio durante la fase di somministrazione, né si hanno riscontri di episodi di suicidio in alunni degli stessi istituti scolastici frequentanti in passato, prima della realizzazione della presente ricerca.

Nel biennio successivo alla sperimentazione, si è provveduto a monitorare gli studenti che, in forma diretta o se segnalati come “a rischio”, avevano manifestato disagio psicologico correlato al fenomeno del bullismo, sia subito che agito.

Sia durante la fase sperimentale, che nella successiva fase di monitoraggio, gli attori scolastici istituzionali ed alcuni gruppi-classe hanno collaborato attivamente per favorire la riduzione o il contenimento del bullismo.

In fase di monitoraggio, il riscontro del fatto che non vi siano state ideazioni suicidarie negli studenti coinvolti si è avuto anche da parte di alcuni degli operatori dei CIC, Sportelli di Ascolto o Presidi Psicologici presenti negli Istituti scolastici coinvolti nell’indagine, che hanno peraltro evidenziato come proprio il fatto che gli adolescenti dispongano nel proprio istituto di appositi luoghi in cui poter parlare del disagio subito da eventuali episodi di vittimizzazione rappresenta un’adeguata strategia di prevenzione del suicidio adolescenziale, o comunque di intervento precoce ai primi segnali di allarme.

 

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[1] www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/05_Maggio/06/suicidi.shtml

[2] www.repubblica.it/2007/04/sezioni/cronaca/sedicenne-suicida/scheda-bullismo-suicidi/scheda-bullismo-suicidi.html

[3] Traduzione di:boys who were bullies frequently, but not merely sometimes, were more likely to be severely depressed and to report suicidal ideation compared to boys who were not bullies. When controlling for depression at age 8 the association between frequent bullying and severe depression was maintained but the association with suicidal ideation became non-significant”. In questa ricerca gli Autori mostrano l’esistenza di evidenti differenze tra i sessi e l’associazione bullismo/suicidio: nei maschi non si mostra statisticamente significativa la correlazione tra l’essere coinvolti in episodi di bullismo (come autori o vittime) e l’ideazione/tentativo di suicidio, pur tenendo conto della presenza di disturbi psicopatologici (depressione) o di disturbi della condotta nel campione; nelle femmine è statisticamente elevata la correlazione tra l’essere state ripetutamente vittime di episodi di bullismo e l’aver pensato/compiuto il suicidio, indipendentemente della pregressa presenza di psicopatologia nell’infanzia.

[4] Traduzione di: “Adolescents who are being bullied and those who are bullies are at an increased risk of depression and suicide. The need for psychiatric intervention should be considered not only for victims of bullying but also for bullies”.

[5] Traduzione di: Despite methodological and other differences and limitations, it is increasingly clear that any participation in bullying increases the risk of suicidal ideations and/or behaviors in a broad spectrum of youth”.

[6] Per quanto riguarda la strage della Columbine, l’America si animò in un acceso dibattito riguardante: la facilità con la quale è possibile reperire e detenere armi da fuoco, lo stato della sicurezza scolastica, l’abuso di psicofarmaci da parte dei giovani e l’effetto che l’uso dei videogiochi, in particolar modo violenti, può avere sulla psiche dei giovani. Per quanto riguarda invece il massacro al Virginia Polytechnic Institute, il movente più accreditato è proprio la possibilità che il giovane autore volesse farsi “giustizia” perché stanco di essere vittima di scherzi, derisioni ed episodi di bullismo.

[7] L’incontro, svolto presso l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma in data 8 e 9 settembre 2011, è stato indetto dal Servizio per la Prevenzione del Suicidio di cui sono Direttore il Prof. Paolo Girardi e Responsabile il Prof. Maurizio Pompili, referenti italiani per la IASP – International Association for Suicide Prevention.

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