L’Assessment Neuropsicologico

 In FocusMinori, N. 4 - dicembre 2021, Anno 12

Il termine neurosviluppo viene utilizzato nella letteratura scientifica per identificare l’insieme di processi di maturazione che determinano l’evoluzione di strutture e connessione cerebrali, atte a funzionare in modo efficace e proattivo durante la crescita di un individuo.

Tale processo ha, sicuramente, origini endogene, ossia dipende da fattori genetici, ma è influenzato anche da fattori esogeni, come la famiglia e il contesto sociale nel quale l’individuo nasce e cresce e, pertanto, è possibile affermare che, grazie alla plasticità cerebrale tipica della prima infanzia, il soggetto sia il risultato della genetica in combinazione con l’ambiente sociale.

L’ambito dei disturbi relativi al neurosviluppo è stato negli anni approfondito ed oggi offre un ampio panorama di ipotesi eziopatogenetiche e di relativi modelli di intervento, grazie alla plasticità cerebrale del soggetto, che in fase evolutiva riesce ad acquisire nuovi schemi mentali e strategie di apprendimento.

Proprio perché si manifestano nelle prime fasi dello sviluppo, i disturbi del neuro-sviluppo si caratterizzano per deficit del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo.

Tali deficit possono inficiare in maniera differente, comportando limitazioni nell’ambito degli apprendimenti fino ad una compromissione globale delle abilità sociali e dell’intelligenza; pertanto, i disturbi del neurosviluppo influenzano le emozioni, il comportamento, le abilità di apprendimento, il controllo e la memoria, inficiando l’individuo quasi nella sua totalità.

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, quinta edizione (DSM-5, 2014) inserisce nella sezione dei Disturbi del neurosviluppo i seguenti:

  • Disabilità intellettiva: un disturbo con esordio nel periodo dello sviluppo che comprende deficit nel funzionamento sia intellettivo che adattivo negli ambiti concettuali, sociali e pratici.
  • Disturbi della comunicazione: comprendono deficit del linguaggio, dell’eloquio e della comunicazione.
  • Disturbo dello spettro dell’autismo: deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, non spiegabile attraverso un ritardo generalizzato dello sviluppo, e manifestato da Deficit nella reciprocità socio-emotiva, Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l’interazione sociale, Deficit nello sviluppo e mantenimento di relazioni, appropriate al livello di sviluppo.
  • Disturbo da deficit di attenzione/iperattività: un disturbo del neuro-sviluppo (e che può perdurare in età adulta) caratterizzato da problematiche nel mantenere l’attenzione, eccessiva attività e/o difficoltà nel controllare il proprio comportamento.
  • Disturbo specifico dell’apprendimento: caratterizzato dalla persistente difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche chiave per almeno 6 mesi tra lettura delle parole lenta o imprecisa e faticosa, difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto, difficoltà nello spelling, difficoltà con l’espressione scritta, difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero, i dati numerici o il calcolo, difficoltà nel ragionamento matematico.
  • Disturbi del movimento: L’acquisizione e l’esecuzione delle abilità motorie coordinate sono notevolmente inferiori rispetto all’età cronologica e alle opportunità che l’individuo ha avuto di apprendere e utilizzare tali abilità. Le difficoltà si manifestano con goffaggine o lentezza e imprecisione nello svolgimento delle attività motorie.

Al fine di indagare le aree sopra descritte e verificare la presenza di un deficit del neurosviluppo, è necessario intraprendere un percorso diagnostico che ha inizio solitamente con la presa di coscienza che qualcosa non va nel proprio figlio.

Può accadere che il bambino sia molto piccolo e siano proprio i genitori a notare qualcosa di diverso e rivolgersi al pediatra per un consulto; a volte il disturbo si manifesta nei primi anni dell’infanzia, alla scuola materna o alle elementari e in questo caso insegnanti ed educatori riscontrano delle difficoltà e consiglieranno alla famiglia un’osservazione più mirata, al fine di supportare il bambino nel suo processo di crescita e di apprendimento, dotandolo, se necessario, di supporti e strategie adatte ai suoi bisogni.

In entrambi i casi il passo successivo è rivolgersi al medico-pediatra che stilerà una richiesta per una visita specialistica presso un Neuropsichiatra dell’età evolutiva.

Ai fini di un ipotetico riconoscimento della diagnosi è consigliato rivolgersi a strutture pubbliche, nonostante la lista d’attesa sia molto lunga, oppure in alternativa è possibile accedere a strutture private convenzionate con il pubblico, che accetterà e protocollerà la diagnosi stilata dallo specialista.

La valutazione comprende:

  • La valutazione delle funzioni cognitive;
  • La valutazione del comportamento adattivo;
  • La valutazione delle capacità scolastiche;
  • La valutazione delle abilità lavorative.

Questa viene effettuata attraverso la somministrazione di alcune batterie di test psicodiagnostici che indagano le aree sopra menzionate.

Tra i vari strumenti psicodiagnostici alcuni dei più utilizzati sono:

Le scale Wechsler (Wechsler, 2012), creata da David Wechsler nel 1949. Originariamente venne inventata la Wechsler Adult Intelligence Scale, furono poi realizzate nuove versioni: la WISC-R nel 1974 e la WISC-III nel 1991. L’attuale versione (WISC-IV) è del 2003:

  • Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence – WPPSI: dai 4 ai 6 anni.
  • Wechsler Intelligence Scale for children – WISC – IV: dai 6 ai 16 anni.
  • Wechsler Adult Intelligence Scale – WAIS: oltre i 16 anni.

Forniscono un punteggio composito che rappresenta la capacità cognitiva generale, ed altri punteggi che rappresentano il funzionamento cognitivo in dominii specifici.

  • Il funzionamento cognitivo nella norma si pone nel range di punteggio 85-115
  • Il funzionamento intellettivo limite si pone nel range di punteggio 70-85.

Nei casi di compromissione dello sviluppo intellettivo e del funzionamento adattivo, la valutazione neuropsicologica fornisce un profilo dei punti di forza e di debolezza e cioè, a parità di QI quelle che sono le abilità meno compromesse.

La WISC-IV (Wechsler, 2012) è composta da 15 subtest divisi in 5 sezioni, che forniscono 4 punteggi compositi:

  • Indice di comprensione verbale.
  • Indice di ragionamento visuo-percettivo.
  • Indice di memoria di lavoro.
  • Indice di velocità di elaborazione.
  • Quoziente intellettivo.

 

Figura 1. Descrizione degli ambiti del profilo cognitivo valutati dalla WISCH IV (Wechsler, 2012)

 

Nei punteggi compositi la media è pari a 100 e la deviazione standard è 15.

Indice di comprensione verbale – ICV misura: le capacità del soggetto di formulare e di utilizzare i concetti verbali e implica la capacità di ascoltare una richiesta, di recuperare informazioni precedentemente apprese, di pensare e, infine, di esprimere verbalmente la risposta.

La prestazione in questi subtest permette di misurare il bagaglio di conoscenze personali e scolastiche immagazzinate dal soggetto.

A livello scolastico, un deficit in quest’area si traduce nella difficoltà a comprendere i testi che si leggono, in un linguaggio concreto ed evolutivamente non congruo con l’età, nella difficoltà a creare temi e testi scritti articolati che rispettino i nessi di causa-effetto, nella tendenza a parlare usando termini aspecifici, generici e ad avere un vocabolario ridotto. In ambito matematico, le difficoltà si manifestano come una difficile comprensione non solo dei dati dei problemi, ma anche delle procedure implicate per l’apprendimento delle operazioni di base.

Indice di ragionamento percettivo – IRP misura: il ragionamento non-verbale è il ragionamento fluido. Valuta, inoltre, la capacità del soggetto di esaminare un problema, di avvalersi delle proprie abilità visuo-motorie e visuo-spaziali, di pianificare, di cercare delle soluzioni e, quindi, di valutarle.

La prestazione del bambino/adolescente ai subtest Disegno con i cubi e Completamento di figure (Gv) dà informazioni rispetto alle sue capacità di utilizzare un ragionamento astratto e ha ripercussioni soprattutto sulle abilità matematiche.

La prestazione ai subtest Somiglianze, Concetti illustrati, Ragionamento con le matrici e Ragionamento con le parole (Gf) permette di descrivere quali sono le abilità di problem-solving che il soggetto è in grado di mettere in atto a fronte di compiti che richiedono la pianificazione di strategie e non possono essere risolti in automatico. Queste abilità di ragionamento giocano un ruolo nella qualità della lettura, dell’espressione scritta e nella capacità di comprendere la matematica e la geometria. Ha importanti ripercussioni nel disegno tecnico e nella capacità di utilizzare informazioni visive per l’apprendimento (schemi).

Indice di memoria di lavoro – IML valuta: la capacità del soggetto di memorizzare nuove informazioni, di conservarle nella memoria a breve termine, di mantenere l’attenzione focalizzata e di manipolarle per arrivare a una soluzione.

La prestazione a questi subtest fornisce informazioni rispetto all’ampiezza dello span di memoria e alle potenzialità della memoria di lavoro. Una prestazione carente in questi subtest può tradursi in difficoltà di comprensione di quello che si legge, impossibilità a ricordare i dati dei problemi se non sono scritti e a eseguire tutte le operazioni a mente a una povertà espressiva nelle interrogazioni per la fatica a ripetere le informazioni studiate.

Indice di velocità di elaborazione – IVE misura: la capacità del soggetto di focalizzare l’attenzione e di scansionare rapidamente gli stimoli.

La prestazione a questi è un indice della velocità di elaborazione, aspetto centrale soprattutto alle scuole elementari. La lentezza di elaborazione delle informazioni impatta negativamente sulle abilità di ragionamento, riduce le abilità di simbolizzazione e astrazione e quindi blocca la possibilità di avere una lettura fluida e di riuscire a pensare concetti da scrivere, impedisce lo sviluppo di automatismi matematici e blocca l’apprendimento delle operazioni matematiche di base.

Bisogna prestare attenzione ai vari indici piuttosto che al quoziente totale, poiché sono maggiormente informativi.

NEPSY-II

La NEPSY-II, è l’aggiornamento della NEPSY (Korkman et al., 2011), ideata dagli psicologi e neuropsichiatri infantili Marit Korkman, Ursula Kirk e Sally Kemp e pubblicata nel 2011, a fronte di alcuni studi svolti dagli autori sull’impatto che le funzioni esecutive hanno sull’apprendimento del bambino e, pertanto, hanno deciso di aggiungere dei test atti ad indagare tali aspetti. La versione italiana è a cura di Cosimo Urgesi, Fabio Campanella e Franco Fabbro.

La NEPSY è una batteria di valutazione neuropsicologica che valuta sia gli aspetti base che quelli complessi delle capacità cognitive fondamentali per apprendere ed essere efficaci tanto all’interno dell’ambiente scolastico quanto nella vita quotidiana.

La funzione dei test è di indagare le abilità cognitive del bambino e diagnosticare eventuali disturbi durante l’infanzia. Attraverso i relativi risultati è possibile avere un quadro generale di funzionamento del bambino e stilare un piano terapeutico di abilitazione/riabilitazione nell’ambito degli apprendimenti e dei disturbi neuropsicologici ad ampio spettro, oltre che quelli sociali e comportamentali.

Viene posta enfasi sui punti di forza del bambino, al fine di potenziare quelli deboli, programmando un appropriato piano educativo individuale.

La possibilità di fornire sia punteggi quantitativi, che si compongono in un profilo neuropsicologico, sia osservazioni qualitative affina ulteriormente la capacità dello strumento di rilevare deficit cognitivi sottili che possono interferire con l’apprendimento.

Sono previsti 19 test per la fascia di 3-4 anni, 27 per la fascia di 5-6 anni, 31 per la fascia 7-12 anni e 30 per la fascia 13-16 anni.

È stata riscontrata una particolare sensibilità della NEPSY-II nella valutazione dei seguenti quadri patologici:

  • ADHD.
  • Disturbi dell’Apprendimento (lettura e calcolo).
  • Disturbi del Linguaggio.
  • Disturbi dello Spettro autistico.
  • Sindrome di Asperger.
  • Danno cerebrale di origine traumatica.
  • Sordità e Ipoacusia.
  • Disturbi emotivi.
  • Disabilità intellettiva di grado medio.

I test e i domini cognitivi

La versione italiana della NEPSY-II è composta da 33 test (quattro con condizioni di rievocazione differita), che possono essere somministrati ai soggetti dai 3 ai 16 anni singolarmente, a gruppi o con l’intera batteria, a seconda delle richieste di valutazione e delle ipotesi diagnostiche. Alcuni test sono specifici per alcune fasce di età, mentre la maggior parte dei test, pur essendo somministrati ai bambini di tutte le fasce di età, prevedono prove specifiche per ciascuna fascia.

La NEPSY-II indaga sei differenti domini cognitivi:

Attenzione e Funzioni esecutive: 7 test, valuta funzioni attentive ed esecutive generali, quali l’abilità di inibire risposte automatiche apprese, di monitorare e autoregolare i comportamenti e le risposte, l’attenzione selettiva e sostenuta, l’abilità di comprendere, generare, mantenere o cambiare un insieme di regole di risposta, l’abilità di pianificare e organizzare risposte complesse.

Linguaggio: 7 test, valuta le funzioni di comprensione ed espressione, inclusa l’elaborazione fonologica, la denominazione, la comprensione a diversi livelli di complessità sintattica, il recupero e la produzione libera di parole dalla memoria semantica, la coordinazione oro-motoria.

Memoria e Apprendimento: 7 test, valuta diversi aspetti della memoria e dell’apprendimento verbale e non-verbale, includendo prove di rievocazione sia a breve sia a lungo termine.

Funzioni sensorimotorie: 4 test, valuta la rapidità e la precisione motoria, la pianificazione e l’esecuzione di sequenze complesse di movimenti, la coordinazione bimanuale, la coordinazione visuo-motoria e l’imitazione di gesti.

Percezione sociale: 2 test, valuta l’identificazione delle espressioni facciali e la capacità di decodificare e interpretare le intenzioni degli altri e i loro punti di vista e capire come questi influenzino i comportamenti.

Elaborazione visuo-spaziale: 6 test, valuta la capacità di discriminazione di oggetti, di elaborazione globale e locale di stimoli visivi e di rappresentazione mentale di oggetti. I test valutano, inoltre, la capacità di giudicare l’orientamento di linee, l’orientamento destra-sinistra, la comprensione delle relazioni reciproche tra oggetti nello spazio e le abilità costruttive. 

È possibile somministrare l’intera batteria di test o soltanto alcuni se è necessario indagare solo specifici domini.

Nel manuale vengono proposte nove batterie diagnostiche ad hoc per i principali disturbi neuropsicologici dello sviluppo che richiedono dai 60 ai 120 minuti di somministrazione:

  • Generale.
  • Apprendimento della Lettura.
  • Apprendimento della Matematica.
  • Attenzione e Concentrazione.
  • Controllo del Comportamento.
  • Linguaggio.
  • Sviluppo percettivo e motorio.
  • Prerequisiti per la Scuola (3-6 anni).
  • Sviluppo sociale.

La MEA – Measures of Executive Attention (Benso, 2019), ideata da Francesco Benso consiste di 9 test, di cui 5 applicabili a partire dall’ultimo anno della scuola dell’infanzia, che hanno dimostrato una buona predittività sui futuri apprendimenti, e altri 4 standardizzati fino ai 13 anni.

Anche nel caso della MEA, i test possono essere somministrati tutti o anche singolarmente.

I test sono:

  • Switch di aste, che valuta gli aspetti motori e quelli attentivo-esecutivi.
  • Matrici di colore, valuta la memoria di lavoro e altre funzioni attentivo-esecutivo necessarie a svolgere il compito.
  • Naming di colori, valuta l’abilità di accesso lessicale e l’efficienza dei sistemi attentivo-esecutivi.
  • Fluenza figurale, valuta la flessibilità cognitiva e il mantenimento di uno scopo.
  • Cancellazione e visual-search, valuta la ricerca visiva semplice e complessa, l’attenzione selettiva e sostenuta, l’orientamento spaziale e la motricità fine.
  • Enumerazione indietro-avanti, indaga le componenti dell’executive attention.
  • Alpha span, valuta la capacità di rielaborazione in memoria di lavoro.
  • Categorizzazione, valuta la capacità di rielaborazione in memoria di lavoro.
  • Pasot, valuta la capacità di rielaborazione in memoria di lavoro che coinvolge aspetti attentivo-esecutivi.

La diagnosi completa che si potrà stilare attraverso la somministrazione dell’intera batteria è composta di 2 parti:

  • Clinica: vengono analizzate le funzioni compromesse.
  • Funzionale: vengono individuate le potenzialità, i fattori ambientali, le condizioni emotive e le comorbilità.

Le Scale CONNERS (Conners, 2017) vengono utilizzate per valutazione dei sintomi per ADHD e danno anche una serie di informazioni su altre categorie di disturbi sia comportamentali sia emotivi, come ansia e depressione.

Sono composte da una serie di questionari nella cui compilazione viene richiesto di stimare la frequenza (o gravità) di un tratto, così da valutarne la consistenza oltre che il numero di sintomi il numero di sintomi.

Viene valutata la presenza di: comportamenti oppositivi, difficoltà cognitive e disattenzione, iperattività, ansia, timidezza, perfezionismo, problemi sociali e problemi psicosomatici.

Sono adatte per bambini e adolescenti dai 3 ai 17 anni.

La compilazione delle CRS-R (59 items) richiede mediamente 20 minuti.

La forma di riposta è a scelta multipla su una scala di quattro valori: 0=mai raramente (niente affatto vero);1=ogni tanto (appena in parte vero); 2=spesso o frequentemente (abbastanza vero); 3=molto spesso o molto frequente (molto vero).

Gli indici ricavati dai questionari compilati dagli insegnanti presi in esame per la ricerca sono stati:

  • Oppositività: punteggi alti in questa sotto-scala rilevano una propensione a violare le regole, ad avere problemi con l’autorità e ad infastidirsi facilmente.
  • DS M-IV – Disattenzione: un punteggio elevato indica una corrispondenza superiore alla media con i criteri diagnostici del DSM-5 per ADHD tipo Disattenzione.
  • DS M-IV – Iperattività-Impulsività: un punteggio elevato indica una corrispondenza superiore alla media con i criteri diagnostici del DSM-5 per ADHD tipo Iperattività-Impulsività.

La BIA – Batteria per la valutazione dei bambini con deficit di attenzione/iperattività (Re et al., 2010) è batteria di diagnosi per l’ADHD, che consente di fare una valutazione cognitiva e neuropsicologica. Attraverso tali test è possibile diagnosticare disturbi di attenzione e iperattività e programmare un eventuale potenziamento delle funzioni attentive e creare le premesse per programmare un eventuale intervento riabilitativo di tipo cognitivo.

La batteria include 5 categorie di strumenti:

  • Questionari per la valutazione del comportamento del bambino nei contesti principali di vita.
  • Test per la valutazione dell’attenzione sostenuta sia visiva (CP) che uditiva (TAU).
  • Test per la valutazione del comportamento impulsivo (MF).
  • Test per la valutazione dei processi di controllo nelle sue diverse sfumature (test Ranette, Test di Stroop, CAF).
  • Test di memoria strategica per la valutazione delle strategie di memoria (TMSV).

Per i disturbi psicopatologici in bambini e adolescenti viene somministrata la K-SADS-PL (Picchiotti et al., 2019), un’intervista diagnostica.

Viene somministrata da psicologi o neuropsichiatri infantili sia ai ragazzi che ai loro genitori e consente di ottenere un punteggio complessivo che tiene conto di tutti i dati raccolti dalle varie fonti disponibili (familiari, bambini, insegnanti, pediatri, ecc.).

Essa è composta da:

  • Un’intervista introduttiva non strutturata, un’intervista diagnostica di screening.
  • Una checklist per la somministrazione dei supplementi diagnostici.
  • Cinque supplementi diagnostici (disturbi dell’umore, disturbi psicotici, disturbi d’ansia, disturbi da deficit di attenzione e da comportamento dirompente, abuso di sostanze) per ciascuno dei quali sono forniti i criteri richiesti dal DSM,
  • Una checklist complessiva della storia clinica del paziente.
  • Due scale di valutazione dei sintomi trasversali per il genitore/tutore e per il soggetto da 6 a 17 anni.

La K-SADS viene somministrata intervistando il genitore e il bambino e attribuendo infine un punteggio complessivo che include tutte le informazioni ottenute dalle varie fonti possibili (genitori, bambini, scuola, documenti).

La Multidimensional Anxiety Scale for Children – 2nd Edition (MASC 2; March, 2017), è un questionario per la valutazione delle principali dimensioni dell’ansia nei bambini e negli adolescenti dagli 8 ai 19 anni.

Viene utilizzata per diagnosticare nei bambini a rischio un disturbo d’ansia precoce nei bambini a rischio di sviluppare un disturbo d’ansia.

Le scale di cui è composta sono:

  • L’Indice Disturbo d’Ansia Generalizzata (Indice GAD), composto da dieci item che valutano i sintomi fisici e cognitivi comuni nel GAD.
  • La scala Ossessioni e compulsioni, composta da 10 nuovi item, che misurano i sintomi legati alla paura di contaminazione, al controllo, alla scrupolosità, alla necessità di simmetria/ordine e all’accumulo patologico.
  • Il Punteggio Probabilità d’Ansia, che misura la probabilità di un ragazzo di avere almeno un disturbo d’ansia.

ADHD: Disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività

Il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività è uno dei più comuni disturbi del neurosviluppo e può causare importanti effetti sul percorso di apprendimento, del comportamento e dell’interazione sociale di un bambino.

L’accademia americana di pediatri pubblicò le prime raccomandazioni cliniche per valutazione e diagnosi pediatrica per ADHD nel 2000 e le indicazioni al trattamento seguirono nel 2001.

Le linee guida furono poi riviste e pubblicate nel manuale dei disturbi mentali – DSM nel 2011 e aggiornate successivamente nella quinta edizione del DSM.

L’ADHD si manifesta con difficoltà a prestare attenzione, attraverso comportamenti impulsivi e/o un livello di attività motoria accentuato.

Nell’ADHD con disattenzione predominante il deficit principale è rappresentato dal deficit attentivo, inficiando in particolare l’attenzione selettiva e l’attenzione sostenuta; inoltre risultano deficitarie anche alcune delle funzioni esecutive, quali pianificazione e memoria di lavoro.

Vengono compromessi gli aspetti dell’apprendimento, quali lo sviluppo delle abilità cognitive come il problem-solving e strategie comportamentali, importanti ad instaurare relazioni soddisfacenti con adulti e pari.

Nell’ADHD con impulsività e iperattività predominante, accade che la funzionalità attentiva risulta lievemente compromessa, a differenza del comportamento ipercinetico e dell’autoregolazione risultanti molto compromessi.

Tali deficit si manifestano attraverso un’attivazione motoria spropositata ed inappropriata, eloquio eccessivo, difficoltà di inibizione delle risposte e difficoltà nel rispettare regole e turni.

Il bambino affetto da ADHD combinato presenta tutti i sintomi.

Tale disturbo provoca un deficit evolutivo che interessa i circuiti cerebrali correlati all’inibizione ed all’autocontrollo.

È stato, inoltre, riscontrato che le persone affette da ADHD abbiano le aree cerebrali che governano emozioni e motivazione meno sviluppate rispetto a soggetti non affetti; i bambini in età prescolare con ADHD mostrano un volume cerebrale significativamente più ridotto in più regioni della corteccia cerebrale, inclusi i lobi frontali, temporali e parietali che sono coinvolte nel controllo cognitivo e comportamentale (Douglas et al., 2016).

Ne consegue che i bambini affetti da ADHD facciano molta fatica a mantenere la concentrazione focale e prolungata nel tempo su una determinata attività, si stancano, demotivano e si annoiano dopo pochi minuti, hanno difficoltà a focalizzare l’attenzione e pianificare, sentono la necessità di muoversi di continuo, non riescono a controllare gli impulsi, non riflettono prima di agire, vanno in frustrazione facilmente e non riuscendo a tollerarla, attivano un meccanismo di negazione, non sanno rispettare i turni sia nei giochi che in una conversazione.

I primi studi e pubblicazioni sull’ADHD risalgono al 1798 da parte del dott. Alexander Crichton, il quale pubblicò “An inquiry into the nature and origin of mental derangement: comprehending a concise system of the physiology and pathology of the human mind and a history of the passions and their effects” (Finger et al., 2010), nel quale presentò osservazioni di casi clinici riguardanti malattie mentali.

Egli sosteneva che quando un oggetto di senso esterno o un pensiero, occupa la mente in un modo così intenso da non permettere alla persona di non ricevere chiara percezione da nessun altro stimolo, a quel punto deve necessariamente prenderne atto.

Crichton affermava, inoltre che l’intensità di una sana attenzione varia tra individui e anche nella stessa persona in differenti momenti e un’eventuale distrazione non è necessariamente da intendersi patologica, ma può dipendere da fattori esterni, quali educazione, stimoli e contesto sociale.

Egli distingueva due possibilità di disattenzione posti ai due poli opposti di un aumento o diminuzione patologica, definendola “sensibilità dei nervi” (Finger et al., 2010).

  • Incapacità di concentrazione attraverso un livello elevato di costanza su un determinate oggetto.
  • Una totale sospensione dei suoi effetti sul cervello.

L’incapacità di assistere con un necessario grado di costanza a qualsiasi oggetto nasce quasi sempre da una sensibilità innaturale o morbosa dei nervi, per cui questa facoltà viene incessantemente ritirata da un’impressione all’altra. Può essere nato con una persona o può essere l’effetto di malattie accidentali.

Quando nasce con una persona diventa evidente in un periodo molto precoce della vita, e ha un effetto molto negativo, in quanto lo rende incapace di assistere con costanza a qualsiasi oggetto educativo. Ma raramente è così grande da impedire totalmente ogni istruzione, e ciò che è molto fortunato, generalmente diminuisce con l’età.

Gli studi sull’attenzione proseguono con il dott. George Frederic Still (Levy et al., 2001), pediatra, che descrisse i sintomi di alcuni bambini che aveva visitato, molto simili a quelli caratterizzanti l’ADHD.

I primi lavori sull’attenzione sono attribuiti a Wilhelm Wundt, il quale introdusse nello studio della psicologia il Metodo Sperimentale. I primi studi quantitativi sull’Attenzione si focalizzarono sulla misurazione del tempo necessario a spostare l’Attenzione da uno stimolo all’altro. Dopo di essi molti altri studiosi si sono susseguiti, come Hlemotz, James, Broadbent con la Teoria del filtro.

Oggi l’Attenzione viene definita come la capacità di un individuo di direzionare le risorse cognitive verso un determinato oggetto in un preciso momento.

Essa rappresenta una delle capacità mentali primarie per lo sviluppo e la sopravvivenza dell’essere umano ed è un processo psichico alla base di molti altri, quali memoria, percezione, linguaggio, pensiero ed emozione.

Vi sono tre tipologie di Attenzione:

  • Attenzione Selettiva, quel tipo di processo che permette di dare priorità a determinati elementi dell’ambiente esterno a discapito di altri. Essa può essere volontaria e controllata, quando viene direzionata in modo cosciente dall’individuo, oppure essere determinata dalle caratteristiche dell’ambiente. Un esempio di Attenzione Selettiva determinata dall’ambiente è spiegato dall’Effetto Cocktail Party teorizzato nel 1953 dallo scienziato Colin Cherry: durante una festa in cui prevale il rumore di sottofondo, nonostante le voci delle altre persone, gli individui sono in grado di focalizzarsi sulla conversazione che stanno intrattenendo con il proprio interlocutore.
  • Attenzione Divisa, quel tipo di capacità che permette ad un individuo di effettuare più compiti contemporaneamente, poiché l’Attenzione è veicolata verso diversi stimoli allo stesso tempo. Un classico esempio di Attenzione divisa è quella del guidatore che è contemporaneamente concentrato sulla strada, sulla conversazione che sta tenendo in auto, sulla musica alla radio.
  • Attenzione Sostenuta, quel tipo di Attenzione che perdura nel tempo e rappresenta la capacità dell’individuo di sostenere per un lungo periodo di tempo il focus su aspetti critici dell’ambiente.

I criteri diagnostici presenti nel DSM-5 (2014) permettono di discernere ciò che è patologico da ciò che, invece, risulta essere un temperamento più vivace e secondo tali criteri l’ADHD mostra sintomi riguardanti a disattenzione, l’iperattività impulsività e una loro possibile combinazione.

Ogni area è contraddistinta rispettivamente da 9 sintomi caratterizzanti.

È necessario che tali sintomi siano di numero pari o maggiore a 6 nell’area riferita alla disattenzione o in quella dell’iperattività impulsività.

Per gli adolescenti e gli adulti il numero previsto è di 5 sintomi.

Per poter porre una diagnosi, inoltre, è necessario che suddetti sintomi siano pervasivi, presenti in due o più contesti.

L’esordio avviene prima dei 12 anni. Infine, i sintomi devono interferire o ridurre la qualità e il funzionamento sociale, accademico o professionale, creando una grave disfunzionalità nella vita quotidiana del paziente.

Sebbene alcuni bambini abbiano sintomi sia di disattenzione che di iperattività-impulsività, vi sono alcuni pazienti in cui può predominare l’una o l’altra caratteristica. In particolare, nel DSM 5 si presentano i seguenti sottotipi:

  • Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo con Disattenzione Predominante (6 o più sintomi di disattenzione, ma meno di 6 sintomi di iperattività-impulsività sono persistiti per almeno 6 mesi).
  • Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo con Disattenzione Predominante più restrittivo del precedente (6 o più sintomi di disattenzione, non più di 2 sintomi del gruppo di iperattività-impulsività sono persistiti per almeno 6 mesi).
  • Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo con Iperattività/Impulsività Predominante (6 o più sintomi di iperattività-impulsività, ma meno di 6 sintomi di disattenzione sono persistiti per almeno 6 mesi).
  • Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo Combinato (6 o più sintomi di iperattività-impulsività e 6 o più sintomi di disattenzione sono persistiti per almeno 6 mesi).

Le indicazioni diagnostiche sono sicuramente importanti per il clinico che riesce ad avere un quadro statistico-quantitativo per stilare un quadro diagnostico, ma l’assenza di un modello interpretativo del funzionamento psicologico dell’ADHD rende difficile l’inquadramento del disordine sia dal punto di vista cognitivo che comportamentale.

L’età di esordio viene identificato nell’infanzia e per tale ragione può accadere che si prospettino due scenari:

  • Essere persistenti nel tempo.
  • I sintomi vadano scemando in età adulta.

Per questi motivi, la prevalenza è più alta nei bambini che negli adulti. Circa 1 su 6 bambini con ADHD manterrà la diagnosi completa, mentre la maggior parte dei bambini presenterà solo alcuni aspetti della patologia (Lambruschi, 2014).

DSA: Disturbo specifico dell’apprendimento

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) costituiscono un’area d’interesse clinico nella quale si è realizzato, negli ultimi trent’anni, un importante avanzamento delle conoscenze grazie a numerosi contributi derivati dalla ricerca scientifica e all’affinamento delle tecniche d’indagine diagnostica.

La definizione stessa di disturbo specifico dell’apprendimento va considerata però come punto d’arrivo di un lungo percorso storico.

Nella letteratura e nella storia si trovano diverse definizioni dei “processi di apprendimento” dipendentemente dall’approccio teorico di riferimento.

L’apprendimento può essere definito come un complesso processo di acquisizione e cambiamento di contenuti e schemi. Implica l’acquisizione di una risposta diversa rispetto a quella precedente.

L’apprendimento, così come viene considerato oggi, nasce dal Cognitivismo sociale, attraverso Albert Bandura, il quale dimostra come un soggetto abbia un ruolo cognitivo attivo nell’assimilare e riprodurre comportamenti anche attraverso l’interazione con il contesto sociale. L’uomo assume uno specifico comportamento attraverso l’esperienza sociale, l’osservazione e l’imitazione.

Per Bandura, come per i sostenitori della metacognizione, l’essere umano ha strumenti atti a distanziarsi, auto-osservare e riflettere sui propri stati mentali, quindi la capacità di apprendere o meno un determinato comportamento o concetto.

Per Brown (Albanese et al.,2013) e altri studiosi, la metacognizione può avere duplice significato:

  • Designa la conoscenza che un individuo ha del proprio e dell’altrui funzionamento cognitivo.
  • Il modo in cui può prenderne atto e renderne conto.

Al fine di strutturare e delineare un lavoro organico nell’ambito dei processi di apprendimento scolastico, le maggiori associazioni di professionisti nel campo degli apprendimenti si sono riuniti tra il 2006 e il 2007, in una Consensus Conference per fare il punto della situazione sui DSA.

Il Disturbo specifico dell’apprendimento si caratterizza per una specificità di un ambito di abilità, all’interno del quale si evidenzia una discrepanza tra abilità del dominio specifico interessato, quindi in rapporto alle attese per età e/o classe frequentata, e intelligenza generale adeguata e in linea con l’età cronologica.

Nel 2009 la Consensus Conference ha deciso che è necessario l’utilizzo di test standardizzati per misurare l’intelligenza generale sia labilità specifica.

Per poter evidenziare un deficit l’abilità deve comportare una prestazione inferiore a -2 deviazioni standard (Ds) dei valori normativi attesi per età o classe frequentata, mentre il livello intellettivo deve essere entro i limiti della norma, con un quoziente intellettivo non inferiore a -1 deviazioni standard, pari ad un QI di 85.

Per avere una diagnosi di DSA bisogna escludere la presenza di:

  • Menomazioni sensoriali e neurologiche gravi.
  • Disturbi significativi della sfera emotiva.
  • Situazioni ambientali e socioculturali interferenti con un’adeguata istruzione ed integrazione nel tessuto sociale.

Riguardo l’eziologia dei DSA, i vari studi compiuti evidenziano una verosimile origine di tipo neurobiologico, perché i fattori biologici sembrano agire in sinergia con quelli non biologici, come opportunità di apprendimento, producendo caratteristiche cliniche tipiche del disturbo.

Alcuni studi hanno dimostrato che bambini affetti da dislessia mostrino un mancato/ridotto funzionamento delle regioni posteriori dell’emisfero sinistro, l’emisfero coinvolto nei processi linguistici (Shaywitz et al.1998).

Lauria e Fiumara hanno riscontrato, inoltre, che l’origine neurobiologica della dislessia e dei DSA sarebbe supportata un’incidenza nel sesso maschile e dalla familiarità del disturbo, infatti circa il 60% dei dislessici ha un familiare che presenta un DSA, alto indice di concordanza tra gemelli monozigoti.

Attraverso le tecniche di neuroimaging sono state fatte delle comparazioni tra soggetti dislessici e soggetti non dislessici ed estato verificato che l’emisfero sinistro, in particolare nel sistema dorsale temporo-parietale e ventrale occipito-temporale appare compromesso, data la ridotta attivazione e delle connessioni fa queste aree (Cornoldi, 2019).

 

Risultato immagini per aree del cervello coinvolte nella dislessia

Figura 2. Analisi delle aree compromesse nel cervello di un soggetto con dislessia (Massachusetts Institute of Technology, 2016)

 

Il DSM-5 (2014) e l’ICD-10 (1994) raggruppano col termine di DSA la Dislessia Evolutiva, la Disortografia, la Disgrafia e la Discalculia all’interno della sezione dedicata ai Disturbi del neurosviluppo.

Le difficoltà riscontrate vengono divise in 4 aree:

  • Dislessia: disturbo della lettura, dovuta ad una difficoltà nell’automatizzazione dei processi di lettura.
  • Disortografia: difficoltà nel rispettare le regole ortografiche e sintattiche della scrittura, caratterizzata da errori quali inversioni, trasformazioni, omissioni, separazioni e fusioni illegali.
  • Disgrafia: difficoltà nella scrittura intesa come abilità grafo-motoria, caratterizzata da una capacità di scrittura inferiore all’età cronologica del soggetto, al livello cognitivo e al livello di istruzione in rapporto all’età.
  • Discalculia: difficoltà ad eseguire operazioni matematiche anche semplici, operare con i numeri, anche su piccole quantità, sia per quanto riguarda le procedure di calcolo che le conoscenze numeriche. Un bambino con disturbo della lettura non riesce, nonostante l’allenamento, ad avere una lettura fluida, inverte alcune lettere e sillabe; sembra che le parole si muovano davanti ai suoi e questo non accade per un problema al nervo ottico. Di conseguenza la fatica investita dal bambino a leggere il più correttamente possibile, va ad inficiare la comprensione del testo che ne risulterà fallace.

Quindi il disturbo della lettura avrà ripercussioni nella comprensione del testo e nel successivo lavoro di analisi, memorizzazione e sintesi del testo letto.

Un bambino disortografico ha difficoltà nell’uso delle doppie, nell’inserimento della lettera h quando serve, non riesce ad utilizzare i segni d’interpunzione, i periodi sono spesso lunghi e contorti, non riesce sempre a seguire la struttura esatta della frase, ponendo in ordine soggetto, verbo e complemento e sbaglia spesso l’uso dei tempi verbali.

Un bambino disgrafico non riesce a mantenere una grafia lineare e decifrabile, se ci prova, risulta molto complicato e stancante mantenere la concentrazione; non rispetta gli spazi, di conseguenza i caratteri risulteranno di differenti misure e piò capitare che il corsivo venga poi sostituito dallo stampato.

Il bambino discalculico riscontra un’importante difficoltà nel sistema di memorizzazione delle tabelline, delle operazioni in colonna, delle procedure avanzate nell’ambito delle espressioni numeri e poi algebriche, nella logica dei problemi aritmetici e nell’uso delle formule geometriche.

Alcuni bambini possono avere difficoltà in una sola area delle sopra esposte, ma spesso capita che siano almeno due le aree coinvolte, o addirittura tutte e quattro le aree e in questo caso si parla di DSA puro.

Molti si chiedono se attraverso un esercizio di potenziamento delle aree coinvolte, possa esserci una completa “riabilitazione”.

Il potenziamento in tenera età ha sicuramente importanti risultati, andando a migliorare quelli che sono gli aspetti di velocizzazione dei processi di lettura o computazione, ma in ambito di disturbi dell’apprendimento il potenziamento mira a fornire al soggetto STRATEGIE adatte alla difficoltà, in base al suo grado di difficoltà e insegnargli a metterle in pratica, al fine di raggiungere un buon livello di comprensione di ciò che gli viene richiesto e degli strumenti a lui disponibili.

 

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Figura 3. Aree coinvolte nei Disturbi specifici dell’apprendimento

 

Comorbidità neurobiologica comune

Molto spesso nelle diagnosi che mi arrivano attraverso le famiglie dei bambini che seguo, noto la presenza di disturbi che, pur essendo di diversa natura, si presentano nello stesso soggetto.

Questo è ciò che avviene molto spesso e la scienza ha constatato che la percentuale di sovrapposizione di disturbi è talmente elevata che uno dei due disturbi può prevedere la valutazione dell’eventuale presenza dell’altro.

È stata riscontrata una co-occorrenza frequente che varia tra il 25-40% tra ADHD e DSA (Flanagan et Al, 2012), e nel caso di comorbidità i problemi di apprendimento si aggravano, perché l’incapacità di mantenere l’attenzione aumenta le difficoltà di lettura, scrittura o calcolo, caratterizzanti il disturbo specifico dell’apprendimento.

La presenza di un disturbo specifico dell’apprendimento può comportare anche il peggioramento di un disturbo comportamentale, causando una maggiore frustrazione per via dei fallimenti scolastici, creando di conseguenza anche un aumento dei livelli di iperattività del bambino.

E.G. Willcutt (Rhee et al., 2014) sostiene che nei bambini con dislessia isolata sono più comuni sintomi internalizzanti come ansia e depressione, mentre nel profilo psico-comportamentale degli individui con comorbidità è più alto il rischio di manifestare sintomi esternalizzanti, fino al disturbo oppositivo provocatorio, disturbo della condotta, e di conseguenza, maggior fallimento accademico e risultati scolastici peggiori rispetto ai disturbi presi in maniera isolata.

Secondo la letteratura scientifica esistono 4 modelli teorici per spiegare l’associazione tra DSA e ADHD.

Secondo il primo modello spiegato da Pisecco, la presenza di DSA favorisce la comparsa di ADHD; il soggetto, quindi, ha primariamente un disturbo dell’apprendimento, successivamente aggravato da un quadro comportamentale di ADHD.

La dislessia, infatti, potrebbe compromettere un buon andamento scolastico, comportare una ridotta concentrazione e l’adozione di comportamenti iperattivi e disturbanti.

In tal caso, l’ADHD rappresenta un pattern psico-comportamentale manifestatosi come conseguenza della demotivazione all’apprendimento.

Una dimostrazione sta nell’aver verificato che comportamenti iperattivi in bambini con dislessia tendono a ridursi con il diminuire delle difficoltà di lettura.

Secondo un secondo modello teorico l’inattenzione e l’iperattività potrebbero provocare l’insorgenza di difficoltà specifiche di apprendimento.

Infatti, i tratti impulsivi e l’essere frettoloso nello svolgere un compito possono ridurre le capacità di esaminare, analizzare e di conseguenza compromettere l’apprendimento di informazioni e ritardo nello sviluppo della lettura e scrittura.

Friedman e Willcutt escludono il rapporto causa-effetto tra i disturbi e definiscono la relazione in termini di comorbidità, la coesistenza dei due disturbi provoca una menomazione funzionale più estesa con possibili ricadute in altri ambiti dello sviluppo.

Pertanto, tale condizione risulta svantaggiosa rispetto alle due condizioni isolate perché potrebbero insorgere sia fallimento scolastico che comportamenti devianti come disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta.

Un ulteriore studio ipotizza che i due disturbi siano l’espressione di un’unica condizione patologica avente una comune eziologia e l’esistenza di un unico genotipo e fenotipo, che si esprime con le caratteristiche cognitive e comportamentali appartenenti ad entrambi i disturbi.

Approfondimenti sono stati eseguiti anche su coppie di gemelli, verificando e confermando l’ipotesi secondo la quale fattori genetici comuni siano coinvolti nel determinare la co-occorrenza dei due disturbi o che la componente ereditaria per i soggetti con comorbidità sia più forte rispetto ai soggetti con il disturbo isolato.

Stevenson ritiene che la comorbidità potrebbe dipendere dal “Pleitropismo”, fenomeno per cui un singolo gene controlla più di un carattere fenotipico.

Tale ipotesi viene successivamente confermata da Gayán che ha constatato la presenza di un locus sul cromosoma 14q32 con effetto pleitropico per entrambi i disturbi, testando un campione di 182 fratelli.

La ricerca ha cercato di mettere a confronto l’ADHD anche con il Disturbo oppositivo provocatorio – DOP, riscontrando che l’ADHD è caratterizzato da livelli evolutivi devianti e compromettenti di disattenzione e iperattività/impulsività, e il DOP comporta difficoltà di rabbia/irritabilità, argomentazione/sfida e vendetta.

L’ADHD e il DOP da soli possono causare una significativa compromissione del funzionamento familiare, scolastico e sociale e la prognosi è anche peggiore quando questi disturbi si verificano contemporaneamente.

La comorbidità tra ADHD e DOP è sostanziale; da un terzo alla metà dei bambini con un disturbo soddisfa anche i criteri per l’altro.

Sebbene le conseguenze e le correlazioni della comorbidità ADHD/DOP siano state ben documentate, meno ben compreso è il motivo per cui esiste una sovrapposizione così elevata.

Sembra che l’ADHD e il DOP spesso emergono durante gli anni prescolari, e suggeriscono che la nostra comprensione dello sviluppo della comorbidità ADHD/ DOP possa essere avanzata studiando questi sintomi all’inizio dello sviluppo.

Livello di attività elevato, comportamento impulsivo, sfida e aggressività sono normativi durante gli anni prescolari, ma si stima che dal 75% al 90% dei bambini in età prescolare che presentano sintomi di ADHD clinicamente significativi soddisfino i criteri per l’ADHD quando raggiungono l’età scolare.

Sono stati proposti numerosi modelli per spiegare l’elevata comorbidità tra ADHD e disturbi del comportamento dirompente, i due più importanti dei quali sono il modello dei fattori di rischio correlati e il modello del precursore dello sviluppo.

  • Il modello dei fattori di rischio correlati suggerisce che la comorbilità può essere dovuta a fattori di rischio correlati o condivisi. Studi sui gemelli hanno supportato questo modello e generalmente suggeriscono che la comorbidità è dovuta a fattori genetici condivisi, sebbene alcuni abbiano indicato fattori ambientali condivisi.
  • Il modello del precursore dello sviluppo postula che i sintomi dell’ADHD portino allo sviluppo del DOP. Si teorizza che i sintomi dell’ADHD nei bambini esercitino stress sulla famiglia e interrompano il funzionamento familiare, il che a sua volta mette i bambini a rischio di dispari.

Questi due modelli prevedono modelli specifici dello sviluppo precoce dei sintomi di ADHD e DOP.

Il modello del precursore dello sviluppo suggerisce che i primi sintomi di ADHD dovrebbero predire i successivi sintomi, ma non viceversa.

Il modello dei fattori di rischio correlati suggerisce che la comorbidità tra i sintomi di ADHD e DOP dovrebbe emergere in tenera età in funzione dei fattori di rischio correlati.

La storia familiare, che è un “indicatore dei rischi genetici, ambientali e comportamentali per la salute” (Burns et al., 2016) può essere un insieme di fattori di rischio correlati chiave.

Per valutare questi due modelli, è possibile ottenere importanti intuizioni esaminando la relazione transazionale tra ADHD e sintomi dispari, valutando il ruolo della storia familiare nello sviluppo precoce della comorbidità tra sintomi.

 

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Figura 4. Confronto incrociato della storia familiare dell’ADHD e del DOP (APA, 2016)

 

Disturbi sopra descritti vengono delineati a livello teorico, testati e verificati attraverso batterie di test neuropsicologici, ma prendono forma e sfaccettature differenti nelle vite di ogni singolo bambino, fornendo a noi specialisti un bagaglio prezioso di informazioni che variano da vissuto a vissuto.

Gli studi sul neurosviluppo sono in continua evoluzione e fare indagine e approfondimenti sui disturbi da me trattati è stato come buttarsi in un oceano di supposizioni, affermazioni, esperimenti e di fatto, in particolare sulle ipotesi di comorbidità, si vaga ancora nell’incertezza e ciò che è stato ipotizzato da Willcutt, Friedman, Stevenson e Gayan ad oggi sono degli studi che a quanto pare hanno avuto un riscontro molto positivo, ma non rappresentano la certezza assoluta.

Parlare di comorbidità o di effetto causa/conseguenza rappresenta il risultato di un’osservazione ravvicinata con bambini con i quali viviamo la nostra quotidianità professionale.

Risulta molto sottile la linea di demarcazione tra l’ipotesi di comorbidità e quella di effetto causa/conseguenza di un disturbo sull’altro, ma la realtà dei fatti è che la quotidiana di un bambino affetto da un disturbo del neurosviluppo o della condotta, è complessa, difficile e destabilizzata da una serie di variabili ed incognite, per la cui gestione spesso abbiamo soltanto dei suggerimenti validi come tentativi per noi stessi, per loro e per le famiglie.

La letteratura, i criteri diagnostici sono fondamentali per comprendere un disturbo e, di conseguenza, capire le caratteristiche di un bambino, approfondire il suo funzionamento attraverso test neuropsicologici, che offrono un quadro piuttosto esauriente a livello cognitivo, ma tanto fa anche il colloquio con le figure di care-giver e l’esplorazione attraverso l’osservazione.

 

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The Nature and Heritability of Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder.

Il mistero della dislessia: ecco cosa succede nel nostro cervello.

 

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