Totem: il Patto Sociale tra Taboo e Contro-Taboo

 In Sotto il Segno del Culto, N. 4 - dicembre 2021, Anno 12

In relazione al tema trattato risulta imprescindibile il contributo dei padri della Psicanalisi, in particolar modo Sigmund Freud e Carl Gustav Jung.

Grazie al primo è possibile arrivare all’origine del comportamento totemico; grazie all’opera del secondo diventa invece affrontabile il dilemma del “mezzo” attraverso cui il principio totemico, nato come azione e comportamento, è sopravvissuto e giunto fino ad oggi.

Esso si mostra come ammantato da un silenzio che lo ha reso invisibile allo sguardo pur rimanendo presente e parimenti influente e pervasivo rispetto alla strutturazione degli impianti sociali e relazionali umani, quello presente compreso, mutando notevolmente la portata della sua influenza, rendendo il principio totemico una caratteristica non solo del gruppo in quanto società, ma anche di questo in quanto “categoria”, “classe”, “subcultura” ecc., essendo il Totem un vero e proprio archetipo strutturale e strutturante i comportamenti nel micro e nel macro.

L’opera di Sigmund Freud si rivela particolarmente significativa quando messa in relazione ai concetti fondanti della trattazione junghiana.

Nella prefazione al suo elaborato[1] a proposito del totemismo e del suo legame con l’istanza del taboo (lett. divieto sacro), Freud illustra le due figure tematiche facendo presente quale sia la differenza tra loro, dando nel contempo un primo accenno al collegamento che tra queste vi può essere.

Il concetto di Taboo, ed i comportamenti che derivano dall’interiorizzazione di questo, è e rimane sempre ben visibile ed affrontabile dall’uomo moderno e contemporaneo, per necessità di struttura del simbolo stesso: esso si presenta nella sua forma più classica come la proibizione di replicare l’atto rituale sacrificale (es. parricidio) che stette alla base della formazione del gruppo: verso il sangue del ‘Padre’ perché d’ora in poi non si versi più alcun sangue (Freud, 1918)

Freud illustra il Taboo come un processo psichico estremamente profondo che riflette la necessità – al fine che si formi un gruppo – di un evento traumatico (non importa se realmente avvenuto, basta che sia percepito come tale) sufficientemente pervasivo e sconvolgente per tutti i membri della Tribù nascente.

In altri termini il Taboo è quel principio che regge il “sacrificio” (lett. rendere sacro) nel suo più ampio senso, ovvero la generazione del Sacro per mezzo di catarsi ed esorcismo del trauma.

Esempio emblematico di questo principio – in una forma di totemismo certamente più sviluppata e complessa di quella tribale, ma utile a far comprendere il concetto – è la narrazione neotestamentaria della Passione di Cristo, il “Salvatore”, il cardine della “Nuova Alleanza”, ovvero il soggetto (ed insieme l’evento) attraverso cui si genera una nuova Tribù, un nuovo popolo, un nuovo culto.

Se dunque un taboo non fosse di immediata percezione e l’oggetto specifico di questo al dato momento non fosse istintivamente e limpidamente individuabile, questo non sarebbe propriamente un taboo, poiché la reazione alla sua violazione o minaccia non potrebbe essere immediata, certa e giustificata universalmente dai membri del gruppo presso il quale questo ha valore.

Per quanto riguarda la figura del Totem, vi sono invece alcuni caratteri suoi propri che lo rendono meno individuabile e per nulla rispondente alla categoria dell’immediatezza.

Esso si presenta come un costrutto – a metà tra lo psichico e il materiale – che permette al Taboo di prendere una forma visibile ed un ruolo perpetuamente strutturante le relazioni interne alla tribù.

Il Totem infatti è la rappresentazione della divinità (nelle sue infinite forme) che viene presa a reggente del vincolo relazionale: nell’esempio precedente il Cristo in quanto oggetto del culto è appunto un Totem, il cui emblema è il crocefisso.

Per sua natura allora, il Totem viene a rivestire e permeare l’intera struttura sociale assumendo per altro la funzione di “recinto ideale” entro il quale garantire un determinato tipo di vita di gruppo: si faccia riferimento ad espressioni quali: “il recinto del Signore”, il “gregge di Cristo”, il “Popolo di Dio” ecc.

Ne deriva che se si vuole comprendere a fondo il Totem, è necessario anche comprendere a fondo la vita collettiva.

Freud pone inoltre l’attenzione sul carattere di estrema mutevolezza che questo presenta, specificando come nel corso dei secoli abbia assunto forme e codici interpretativi – e dato origine a schemi relazionali – diversi, per cui non si può affermare che le forme del totemismo siano uguali in ogni popolo, o periodo storico – al contrario del Totem in quanto istanza psichica che è propria di ogni civiltà – e questo proprio perché esso nasce nel singolo popolo a partire dalle caratteristiche di quel popolo al fine di preservare l’integrità dello stesso, in maniera più o meno rigida.

In sostanza quello che il Totem “richiede” al contesto relazionale di riferimento, non è di essere compreso nel suo profondo, ma semplicemente di essere rispettato, onorato e preservato, pena la dissoluzione del legame necessario alla coesistenza pacifica o il ritorno ad una condizione di squilibrio di risorse non accettabile e dunque di conflitto, causato dalla violazione del Taboo.

Partendo da quanto emerge a proposito della strutturazione delle caratteristiche del Totem degli aborigeni[2], è possibile tracciare una linea di congiunzione, a livello simbolico, tra quello che può essere un sistema totemico puramente tribale e sue forme più sottili e complesse, più moderne (come ad esempio quello che prende l’immagine cristica).

Innanzi tutto il Totem tribale riassume in sé ogni ruolo ed autorità politica e religiosa, per cui in esso, tra quelle dimensioni che al nostro tempo possono essere definite come “stato e chiesa”, non vi è distinzione: la gestione della comunità è parte del sacro tanto quanto il culto – qui del totem stesso – è parte della struttura che mantiene in essere la comunità.

In particolare l’autorità sacrale del Totem si rivela essere talmente intensa e pervasiva che la pressione da questo esercitata sulla comunità, non ha permesso ad esso di dotarsi di un unico rappresentante presso il “popolo”: un unico Re non esiste, così come non esiste un’oligarchia o dei privilegi sociali legati alla “funzione pubblica”.

Le decisioni sono prese dagli anziani del gruppo collegialmente, e non vi è una sostanziale differenza nella qualità della vita tra coloro che guidano il gruppo e gli altri membri.

Dunque il Totem a questo stadio non si riflette in gerarchie che determinano un particolare status.

D’altra parte ciò stabilisce un vincolo di subordinazione, molto rudimentale, che tende ad allargare esponenzialmente i legami famigliari, rendendo i membri del gruppo totemico di riferimento tutti ugualmente parenti, anche qualora una vera e propria consanguineità non sussista.

Il Totem una volta eretto, ricopre e pervade tutto l’impianto relazionale e sociale, rendendo ogni individuo necessario al suo mantenimento, a prescindere dal tipo di funzione che egli ricopre all’interno della struttura: poiché ogni uomo è fondamentalmente eguale ad ogni altro, ne condivide la natura intima ed è dunque legato ai suoi simili, attraverso il Totem, da un legame di “fratellanza” ideale strutturalmente necessaria, che nel Totem tribale si esprime con l’edificazione di rapporti parentali acquisiti che presentano, presso i membri della comunità, lo stesso valore, se non un valore più intenso, di quelli di sangue.

Altro punto cruciale relativamente ai caratteri totemici tribali presentati da Freud, riguarda la figura stessa del Totem: questo è spesso identificato in un essere non umano, tipicamente un animale, una pianta particolare o in ogni caso un elemento che sia appartenente al mondo naturale, al quale viene conferito il carattere del sacro, essendo in questa fase più pregnante la pervasività del Taboo che l’immagine del Totem, al quale per altro si richiede più che altro di fare da semplice “ponte tra due mondi”.

L’analisi freudiana prosegue, affrontando due principi, quelli di proiezione ed ambivalenza, riscontrati dall’autore nel rapporto tra popolo e leader all’interno della tribù nel sistema totemico, ma prima ancora nella concezione tribale di taboo, dalla quale per estensione si origina la figura totemica.

In questo senso, attraverso i dovuti passaggi, si giunge al concetto di “totemizzazione”, che è traducibile nella trattazione freudiana come “trasferimento” del Taboo-Totem da un oggetto ad un altro di modo che si mantenga, e quand’anche dovesse essere violato, sarebbe immediatamente ristabilito trasferendosi al soggetto colpevole, o più propriamente, esprimendosi e palesandosi attraverso di esso – dunque totemizzandolo –, per poi riconsolidarsi così come era prima della violazione.

Più avanti nella trattazione Freud illustra il nesso logico risiedente nel principio di ambivalenza, che permette di stabilire da un lato come il principio del taboo – e di conseguenza quello totemico – venga trasmesso di generazione in generazione, e dall’altro di comprendere la natura di queste istanze in quanto meccanismi psichici – che pertanto sono comuni ad ogni uomo – dimostrando di fatto l’universalità del simbolo totemico e della sua possibilità di manifestarsi come struttura comportamentale.

Tale struttura può essere anche intesa come un “modello” attraverso il quale affrontare la vita sociale ed in seguito il rapporto di ogni individuo con il sistema di riferimento; e questo potrà avvenire tanto coscientemente quanto inconsciamente.

Il principio di ambivalenza si rivela di particolare importanza, poiché spingendo da un lato ad onorare il taboo (Totem nella sua manifestazione visibile e rappresentabile) e dall’altro lasciando emergere il desiderio di trasgredire alle regole da esso comandate, genera un effetto ed uno schema psichico estremamente complesso, dalla forza tipicamente ambigua, e per questo dotato di una potenza ed di un’influenza e pervasività incalcolabile, che permette a quelle pulsioni contrastanti di entrare a far parte di un unico sistema, di un unico simbolo: il Modello Totemico, il quale si manifesta tanto attraverso il suo valore di necessaria limitazione degli impulsi personali al fine coesistere pacificamente con i propri simili (che proveranno il medesimo sentimento), quanto attraverso quell’impulso alla trasgressione, distruttivo, che viene scaricato, esorcizzato ed immolato in precisi momenti significativi per la Tribù di riferimento: es. l’uomo Gesù si immola perché Dio sacrifichi (renda sacro) sé stesso, così che il ‘Figlio’ sia come il ‘Padre’.

I due eventi psichici (riassumibili nelle figure freudiane di Eros e Thanatos) vengono poi applicati alla vita del gruppo: a) attraverso la pratica, all’interno della dimensione cultuale, del Rito Sacrificale espiatorio, propiziatorio e riparativo (questo anche solo, in forme totemiche più evolute, come reminiscenza simbolica di cui è un esempio il rito eucaristico della messa cristiana), e b) in seguito alla creazione del Patto Sociale, inteso come costrutto relazionale basato sull’archetipo totemico, ovvero attraverso la strutturazione di legami sociali e relazionali dotati di codici, principi, leggi e norme di comportamento[3].

Da ciò emerge che la trasmissione nel tempo e tra le generazioni dell’ideale totemico, in quanto simbolo di una particolare tipologia di impianto relazionale ed in quanto sistema concettuale e valoriale, sia equiparabile ed ancor più propriamente spiegabile nei termini che Carl Gustav Jung[4] impiega per la definizione dei concetti di archetipo e di inconscio collettivo.

Il primo rappresenta quelle tipificazioni universali ed istintive comuni ad ogni essere umano, essendo queste categorie simboliche essenziali che rappresentano quei moti tipici della natura umana in senso universale.

Il secondo è un recipiente esperienziale in cui gli archetipi sono contenuti e attraverso il quale vengono tramandati alla posterità, come informazioni e precetti imprescindibili per la costruzione di sé nel reale e per la costituzione di quei meccanismi psichici che permettono di comprendere e di relazionarsi proficuamente con l’esistenza altrui.

Dunque l’idea che il concetto di ambivalenza suggerisce – così come espresso da Freud, e contestualizzato (da Jung) nel flusso universale degli archetipi umani, tra i quali vi sono gli schemi relazionali totemici, attraverso e per mezzo dell’inconscio collettivo – è la medesima alla base del ragionamento di Thomas Hobbes[5] a proposito della volontà e necessità intrinseca di superamento dello stato di natura, in cui ogni uomo si sforza di porre un freno alle proprie pulsioni egoistiche al fine di edificare un impianto sociale più stabile per ognuno.

Tuttavia quelle pulsioni restano e permangono, e proprio queste rendono necessaria la costante celebrazione del Leviatano-Totem (sia nel culto che nell’espressione della legge profana), la riverenza verso di esso, e la legittimazione del potere del sovrano che ha il compito di regolare e tenere sotto controllo quegli impulsi – che se lasciati liberi di esprimersi minerebbero la solidità del Totem sistemico – attraverso l’amministrazione della giustizia, dunque dell’inflizione delle pene qualora vi fosse una trasgressione alle norme sulle quali è edificato il Patto; pene che hanno proprio il medesimo significato e funzione illustrati anche da Freud, ovvero di compensazione del danno subito, non tanto dal singolo, quanto dallo stesso Totem, ovvero dalla stessa collettività[6].

Se dunque sotto la lente della psicanalisi il Totem appare come un “modello” psichico ed un archetipo, quando analizzato attraverso la trattazione hobbesiana esso si mostra come un “sistema” – descritto come un gigantesco corpo umano formato da mebra ed organi – che vincola e unisce relazioni, gerarchia, norme e valori.

Dalla tribù alla società moderna: le prime crepe nel sistema

Poiché il meccanismo totemico ha bisogno di continuo sostegno e rinforzo, e poiché attraversa gli archetipi della natura sociale e psichica dell’uomo, esso viene trasmesso come modello relazionale, come struttura psichica che diviene categoria del pensiero, comune e condivisa da ogni essere umano più o meno inconsciamente a seconda del suo grado di manifestazione esplicita; è quindi proprio dell’Uomo, inteso questo nelle sue forma e sostanza idealtipiche.

A causa della sua centralità nella costituzione dell’essere umano e della sua vita collettiva, diventando una vera e propria necessità, prende forma nella realtà relazionale attraverso il Taboo (un’interdizione tanto sacra quanto maledetta), che ne rappresenta una prima proiezione psichica.

Questo poi si sviluppa ulteriormente, rendendo più complessa la sua struttura simbolica, identificandosi prima con elementi naturali (quali animali, piante o eventi atmosferici) – determinando la nascita di un culto totemico tribale –, poi penetrando visibilmente nelle reti relazionali della struttura sociale, identificandosi con potenze divine personali (es. le religioni “del Libro”) – più vicine all’uomo e pertanto approcciabili in senso comunicativo, ma non in senso gerarchico – proiettando dunque il conflitto interiore originario al di là della natura umana, e precisamente su quella divina, che attraverso la sua legge ed i riti volti a mantenerla e tramandarla, ritorna di riflesso sull’uomo, che da esso si sente dominato, guidato e diretto; principio molto simile al concetto di “alienazione” così come introdotto da Feuerbach[7].

Sulla base di quei comandi e precetti esso viene a regolare non solo le norme di comportamento interne al gruppo, ma arriva addirittura a renderle legge inviolabile, pena la lesione tanto del rapporto tra “Dio e l’Uomo”, ovvero del vincolo relazionale tra uomini che era garante della coesistenza pacifica.

Ne deriva allora che la trasgressione al Totem diventi trasgressione allo spirito comune che anima la collettività di riferimento.

È a questo punto che la sua natura muta nuovamente, esattamente quando si verifica l’associazione simbolica tra identità del Totem e identità del gruppo; in questo modo le regole e le convenzioni della tribù, che si erano convogliate nella figura totemica, passano a designare di per sé stesse i membri che compongono il gruppo in questione: se il Totem è il Patto, ed il Patto diviene Tribù, ne viene necessariamente che la Tribù sia il Totem, e parimenti che la Comunità sia la Legge.

Questo non è altro se non il Leviatano hobbesiano al suo grado più alto ed ideale possibile, poichè la manifestazione comune di questo risiede nello Stato (ancora e per nulla esente da contrasti interni, ma tendente a tale condizione).

Particolarmente utile ed affine al presente lavoro risulta inoltre l’opera di Durkheim, soprattutto per quanto concerne le trasformazioni interne alla collettività, tramite le quali ne viene mutata la struttura da un lato e la concezione dall’altro.

Tipiche del discorso sociologico sono diventate infatti le teorizzazioni delle due tipologie di “solidarietà”, termine con cui il filosofo francese evidenzia l’indicatore di coesione tra i membri del gruppo attraverso la stringenza e pervasività nella vita quotidiana dei legami sociali: tale solidarietà può presentarsi secondo una manifestazione di tipo meccanico, propria della struttura sociale e della legge tribale, od organico, con cui si identificano società più sviluppate.

Si rendono ora necessari un’analisi ed un raffronto più approfonditi tra queste due figure allegorico-teoriche proposte dall’autore, ed i concetti propri alla presente trattazione, al fine di osservare, attraverso il modello evolutivo della socialità umana riscontrabile e comprensibile grazie all’opera del filosofo, come e quanto il principio totemico stia alla base di questa socialità, e come questo sia rimasto costante e solido nel tempo, adattando semplicemente la sua forma al dato contesto, senza per altro modificare in alcun modo la propria essenza.

Il filosofo inizia la sua trattazione a proposito della “divisione del lavoro sociale”[8] interrogandosi su che cosa sia alla base della necessità della partizione dei ruoli interni al gruppo, ovvero a proposito della funzione che questa può avere, affermando che comprenderne la funzione, equivale a comprendere quale sia il bisogno, il dilemma di base, a cui questa assolve[9].

Da qui Durkheim prosegue, estendendo il dubbio alla funzione della società stessa, e di conseguenza alla funzione delle leggi, regole e norme interne a questa.

Poiché la legge è una prescrizione in positivo od in negativo rispetto ad un dato comportamento, dalla violazione della quale risulta una pena, egli si dedica alla definizione dei concetti di crimine e punizione, e della funzione di quest’ultimo rispetto al primo.

Dal percorso logico dell’autore, si evince come pena e crimine siano intimamente legati: se infatti il crimine è una violazione che appare come intollerabile e pericolosa al gruppo in quanto capace di minare la coesione di questo e la sua stabilità emotiva, la pena è la risposta del gruppo a tale violazione, e dunque la legge penale, attraverso le punizioni che prescrive, è volta a ristabilire l’integrità relazionale ed emotiva dei sentimenti (turbati) dei membri del gruppo da un lato, e del gruppo in quanto “monade” a sé stante dall’altro; in questo senso il gruppo è dotato di una “Coscienza Collettiva” che risponde e reagisce alle istanze ed ai comportamenti dei membri del tessuto sociale, del quale per altro rappresenta l’essenza vitale e autonoma.

La corrispondenza simbolica tra questi elementi e la loro valenza rispetto al tema del totemismo è palese, ed è grazie alla concezione durkheimiana che vede nel concetto stesso di crimine-pena un archetipo intimamente legato alla legittimazione della pervasività dei legami sociali sull’individuo, che si è in grado di trovare un nesso temporale tra il Totem, tale quale inteso in senso arcaico e tribale, e tale quale lo descrive Hobbes attraverso la figura del Leviatano.

Volendo meglio chiarire questo concetto, si può affermare che, poiché la legge penale ed in generale il principio di reazione alla violazione del precetto (o taboo), sono comuni sia alle società arcaiche, sia a quelle moderne – solo con mezzi e modalità esplicative differenti –; poiché inoltre questa spinta alla conservazione di uno stato delle cose tale come lo si è reso attraverso l’istituzione di tale legge (o Totem) è parimenti una costante del comportamento umano che è intimamente legata alla prima; e poiché infine queste due dimensioni sono il fulcro sul quale si edifica lo stesso principio del Totem (ovvero vincolo e risposta alla violazione di esso), ne consegue che questo principio sia atemporale – come per altro già emerso dalla trattazione del tema secondo la prospettiva psicoanalitica – ed applicabile (ed appartenente) alla natura sociale umana[10].

Il Totem quindi viene a rappresentare il simbolo idealtipico della società-socialità in senso lato, e pertanto si sostiene che le relazioni umane nel gruppo e tra gruppi sono sempre state e sono tuttora “totemiche”, a prescindere dal grado di modernità e dalle allegorie attraverso cui queste relazioni si manifestano.

Da questo punto di vista il simbolo del Totem è una lente interpretativa neutra, capace di mostrare l’essenza della socialità umana a prescindere da spazio e tempo, dunque a prescindere dal contesto storico e culturale, elementi che per quanto siano fondamentali tendono spesso ad “increspare le acque” nel momento in cui l’uomo tenti di comprendere sé stesso volendo definire la propria natura “al di là del bene e del male”.

È infatti attraverso il vincolo sociale, altrimenti detto Totem, che si sostanzia in un mezzo lo scopo stesso dell’esistenza della società: ovvero aggregare gli uomini, attraverso sistemi psichici che gli permettano di prendere coscienza della necessità di cooperazione, movente dall’innata consapevolezza di essere parte di una stessa natura, alla quale “tornare” proprio attraverso la vita di gruppo, attraverso il Totem, ed in ultimo attraverso il massimo grado di riconoscimento[11] che esso è in grado di stimolare quando applicato in assenza di distorsioni strutturali.

A seconda del grado di stringenza dei precetti e dell’intensità con la quale questi si identificano con la base identitaria comune a tutti i membri del gruppo, hanno origine le due grandi tipologie di solidarietà, meccanica ed organica, illustrate dall’autore.

In primo luogo, la solidarietà di tipo meccanico esprime un sistema relazionale estremamente rigido, che riunisce i membri della tribù entro dei confini non valicabili; ogni eversione o violazione alla norma è vissuta come un affronto diretto alla tribù stessa; la repressione automatica del comportamento ritenuto errato ne è la conseguenza.

Da questo punto di vista, non vi è particolare differenza tra quanto propone il filosofo francese e quanto affermato in precedenza a proposito dello stadio tribale del principio totemico: infatti la tribù è fondata intorno al taboo, ed è questo che riassume in sé stesso l’identità di ogni individuo che vi è immerso.

In questo senso si trova un’ulteriore prossimità di significati con l’opera durkheimiana, allorquando vi è sostenuto che in un gruppo sociale funzionante per mezzo di solidarietà meccanica, vige il principio della completa intercambiabilità dei suoi membri, poichè non vi è sostanziale divisione del ruolo sociale.

In sostanza quello che è qui descritto è un Totem che rappresenta direttamente il Taboo a cui è collegato, per questo motivo, a livello psichico, vi è una prossimità tanto forte tra la legge del Totem e l’archetipo mentale a cui è legato, da rendere la legge di quel Totem una manifestazione diretta del conflitto interiore proveniente dal suo archetipo, il quale, essendo vissuto egualmente da ogni individuo, tende ad esprimere la sua forza pervasiva attraverso un sostanziale annullamento della libertà di autodeterminazione personale, rendendo una sola le varie coscienze individuali, che si trovano riunite in un’unica, salda ed inviolabile coscienza collettiva.

D’altro canto la solidarietà organica trova più riscontro nella simbologia e struttura del Leviatano hobbesiano ed alle figure simbolico-cultuali proprie del cristianesimo (ed altre reglioni strutturalmente simili ad esso), che nei simboli del Totem tribale.

In particolare questo sistema relazionale prevede che tra i membri della comunità di riferimento vi sia “divisione del lavoro sociale”, ovvero che questo sia distribuito con logica organica tra gruppi interni ed individui. In questo ritroviamo un’esatta trasposizione della figura descritta da Hobbes, all’interno della quale ogni funzione e ruolo, siano essi pubblici o relazionali, vengono equiparati ai diversi organi ed apparati dell’enorme corpo umano leviatanico.

Emerge quindi un sistema relazionale molto diverso da quello meccanico: nel Totem a solidarietà organica infatti, non è il principio totalizzante ed istantaneamente repressivo della violazione, ad animare e dar forma allo schema relazionale, al contrario questo prende forma dall’idea di “restituzione”, dove con questo termine si indica un alleggerimento della pervasività totemica.

Alla violazione non corrisponde più una reazione automatica e diretta, ma un intervento del sistema (“organo”) giudiziario che ha il compito di giudicare e punire il colpevole della violazione, considerando questa non come un’affronto all’identità collettiva, quanto più uno sgarbo, un turbamento, verso la rappresentazione morale e coscienziale di quelle norme che garantiscono la pacifica coesione, la quale necessita attraverso l’esecuzione della pena di essere riappacificata.

Non si tratta dunque di eliminare fisicamente e materialmente la minaccia (il colpevole) o di estrometterla dal Totem-Tribù, ma di intervenire a partire dalla dimensione in cui la minaccia si è concretizzata in danno: la vittima, la quale viene ad essere il fulcro e la manifestazione principale dell’istanza totemica violata, con la quale si identifica e soprattutto viene identificata dal suo gruppo, la coscienza collettiva del quale risulta turbata.

La vittima quindi, nel momento in cui si vede ed è vista come tale, diventa essa stessa, per associazione, il Totem che è stato turbato, e che attraverso di lei chiede pacificazione.

Questo indica una notevole evoluzione del tipo di totemismo in questione rispetto al precedente: poiché ora il sistema totemico è a immagine dell’uomo, ne risulterà una spartizione dei compiti e delle funzioni necessarie al suo funzionamento, per cui si crea un rapporto di interdipendenza tra i membri del gruppo; nessuno è sostituibile ad un altro, ognuno ha il proprio ruolo sociale, il quale può non coincidere con quello altrui.

Tale è il secondo grado di manifestazione dell’archetipo totemico, in cui quella pervasività relazionale opprimente tipica del totemismo tribale, lascia il posto ad una pervasività sistemica che se risulta meno visibile da un lato, dall’altro si rivela più affine a quel dinamismo relazionale tipico si strutture sociali più ampie e sviluppate.

Viene così alla luce una socialità meno pesante e stringente per l’individuo, che invece ha ora modo di relazionarsi con i suoi simili in modo più completo, ed allo scopo di far progredire e crescere il sistema di cui si trova ad essere parte, e non solamente di mantenerlo sempre identico a sé stesso in nome di una antica intoccabilità propria del taboo alla sua base[12].

Nella solidarietà organica infatti, vi è meno prossimità tra il taboo dell’archetipo totemico ed il Totem-società su cui questo si riversa, prossimità che si rimanifesta attraverso la vittima delle violazioni, la quale a causa della riemersione del taboo viene totemizzata: ciò porta ad un’influenza più sottile del primo sul secondo, e ad una minor percepibilità, a livello mentale, della presenza di tale principio, il quale pur rimanendo come dormiente nell’inconscio dei singoli, resta sempre presente e costantemente vigile nella struttura stessa dei legami relazionali.

Al momento della violazione, l’influsso opprimente del taboo originale torna ad essere manifesto alla coscienza collettiva, e richiede, o meglio, esige attraverso la vittima, che il turbamento provato venga riappacificato.

Ora è opportuno considerare quanto segue: questa progressiva e sempre più caratteristica impercettibilità del vincolo totemico permette all’individuo ed al sistema stesso di progredire, non avendo più il giogo dell’immutabilità, verso quella società ideale per la cui costituzione risulta per altro neccesaria la presa di coscienza del legame tra interdipendenza e riconoscimento.

D’altro canto se la minore intensità di influenza diretta del taboo sul Totem (ovvero la struttura sociale che lo rende manifesto) si dirada dalla coscienza umana fino a rendersi totalmente invisibile, questo può portare nel tempo a distorcere il sistema totemico fino a farlo collassare su sé stesso, a causa del progressivo allentamento del vincolo che il Totem esprime traducendosi in struttra relazionale, per cui si noterà una sempre maggiore specificazione del ruolo sociale fino alla sua estremizzazione in individualismo puro, ovvero all’assenza di “organi” propriamente detti, concetto altrimenti traducibile con la risoluzione dei rapporti sociali a singoli rapporti contrattuali tra individui, non legati l’uno all’altro dallo spirito di necessità di identificazione l’uno nella natura dell’altro (riconoscimento) e nella natura sociale umana in generale (Leviatano-Totem), ma determinati unicamente dall’interesse ricavabile dallo sfruttamento egoistico delle capacità l’uno dell’altro.

È possibile rinvenire la ragione di tale progressiva invisibilità del Totem (e soprattutto del taboo che ne è alla base) tornando all’origine dell’ambivalenza di cui il meccanismo psichico si carica al fine di dar vita al taboo: si può vedere con relativa chiarezza quanto questo principio sia intimamente legato all’idea di “sacro”, o meglio, quanto questo venga proiettato sul sacro al fine di crearne come un’identità esterna all’uomo – la divinità totemica – che rappresenti tale taboo e la sua potenza presso l’uomo, esercitando su di esso e sulla sua vita individuale e collettiva quella tanto intensa pervasività di cui si è trattato in precedenza.

Se dunque allo sviluppo e progressiva sublimazione del vincolo sociale creato dal Totem si accomuna quanto detto appena sopra, ne deriva parimenti un progressivo alleggerimento dell’influenza divina sull’uomo, la quale, risultando sempre meno visibile ed esperibile (ovvero viene sentita sempre meno dagli uomini), allenta ed indebolisce di fatto anche il grado di percezione di quel taboo che sta alla base tanto del Totem quanto della percezione dell’autorità di Dio.

Di conseguenza se allo sviluppo dell’organicità delle relazioni “profane”, non corrisponde un’evoluzione delle forme (mitiche, rituali, religiose) attraverso le quali l’intervento e l’autorità di divina si rendono manifeste presso l’uomo – ovvero se il culto rituale e la religione non si sviluppano e cambiano forma (e non sostanza, che di per sé è e resta immutabile, poiché immutabile è e deve restare lo scopo della coesistenza in gruppo) di pari passo allo sviluppo relazionale civile – si origina la base per l’avvento del paradosso del collasso: questo perché il linguaggio del culto, ovvero le pratiche ed i precetti che rendono palesi e comprensibili all’essere umano il taboo attraverso la figura ed il comando della divinità, si dissocia e si slega dal linguaggio del Totem, il quale rimane spogliato del suo carattere proiettivo originale, identificandosi con la mera “gestione normativa” della struttura relazionale collettiva, ovvero rimanendo visibile all’uomo solo come un sistema di vincoli relazionali svuotati di scopo, di fine, di intenzione, i quali non essendo più riferiti all’altezza del divino (ovvero la manifestazione visibile dello scopo originario della riunione degli individui), perdono progressivamente di significato ed iniziano ad essere percepiti come dispotici, privi della necessità di esistere in una determinata conformazione piuttosto che in un’altra, perdendo in sostanza il parametro attraverso cui essere stabiliti, ponderati, modificati e giudicati.

Tale discrasia è alla base delle spinte di tipo secolarizzante che rendono estremamente chiari ed espliciti i limiti e le conseguenze di un linguaggio religioso e rituale che non si è evoluto di pari passo allo sviluppo del sitema relazionale civile; così come è alla base della perdita di significato di quei vincoli sociali che, poiché basati su un determinato assetto cultuale, si esprimevano attraverso gerarchie ora troppo rigide, improprie, per poter essere comprese, interiorizzate e soprattutto legittimate, dando origine a quei moti ed a quegli sviluppi sociali, politici e culturali che portarono alla luce l’idea dello Stato di Diritto, che non era e non è altro se non un espressione intrinsecamente limitata di quella tendenza alla ricostituzione del riconoscimento puro tra gli individui alla base del modello psichico totemico, volto alla strutturazione di un sistema relazionale che permettesse agli uomini di vivere secondo il principio di egualglianza.

Un simile sistema, non poteva nè può originarsi nella sua concezione “sostanziale”, se sostanziale non è la possibilità, per gli uomini che vi vivono, di dar vita ad un modello totemico completo e sufficientemente pervasivo – tanto sull’individuo che sulla collettività – coerentemente agli scopi ed ai fini propri del grado evolutivo a cui quel Totem è giunto.

Se dunque la percezione del Totem non ha potere strutturante tanto dal punto di vista profano quanto da quello sacro, mancheranno gli strumenti operativi coi quali edificare uno Stato di Diritto sostanziale, il quale rimarrà nulla di più che un’ideale bloccato entro i limiti della progettazione intenzionale (ovvero, con voluto e cosciente spirito di provocazione: “rimarrà solo sulla carta”), incapace di esplicitarsi in una struttura ed in un sistema relazionale propriamente detti.

Il risultato è da un lato la perdita dell’ordine e soprattutto dell’armonia relazionale tra individui e tra gruppi; dall’altro la perdita dell’equilibrio rituale e cultuale, per cui si perde il metodo attraverso il quale relazionarsi alla divinità, la cui pervasività ed influenza non vengono più percepite a livello sistemico e collettivo, venendo dunque relegate ad una debolissima ed incerta dimensione personale che tiene una presa sempre più sottile ed impalpabile, fino alla totale perdita di significato.

Allora l’esistenza di Dio viene messa in discussione, poiché questo non è più “visibile” nè esperibile, fino al punto estremo, ovvero, “Dio non esiste e non è necessario” (non comprendendo che quel “Dio” che si rifiuta è in realtà il fondamento che tiene insieme i due opposti psichici originari alla base del Taboo: il sistema allora diventa “ateo”, il Totem regredisce e non è più percepito come uno strumento aggregante che conduce alla possibilità della “divinizzazione” collettiva, ma solo come un giogo stringente formato da vincoli relazionali scomodi.

È la via verso l’erosione dei legami ovvero verso quell’individualismo puro, tipico dello stato di natura hobbesiano (esperito ovviamente con un salto qualitativo che risponde alle condizioni spazio-temporali correnti), dal quale il Taboo era nato, attraverso il Totem, per portare alla coesione; si manifesta allora il paradosso del collasso.

La conseguenza è un disordine catastrofico di origine psichica che si traduce sul sistema relazionale collettivo, e questo perché se la socialità umana nasce dal meccanismo psichico del taboo che si trasmette come archetipo attraverso il Totem, il quale è tanto sacro quanto profano, all’allentamento di una delle due dimensioni consegue l’allentamento dell’altra, cosa che da origine ad un circolo vizioso che si conclude nell’esaurimento e nel collasso di tutto il sistema totemico.

A questo punto della trattazione il discorso vittimologico diventa imprescindibile; infatti in presenza di società complesse funzionanti per mezzo di un Totem simile allo stadio “organico” teorizzato da Durkheim ed al Leviatano hobbesiano, la vittima (ovvero la funzione del suo “lavoro sociale”) risulta essere l’unico tramite tra l’istanza di preservazione del taboo totemico e la sua manifestazione sulla socialità collettiva.

Ne consegue che in un sistema dove il Totem non ha potere pervasivo sugli individui e sui gruppi che compongono la società (lo Stato), l’unico soggetto che ne rappresenta la manifestazione (la vittima) non avrà potere pervasivo sulla collettività allo stesso modo, rompendo di fatto quel “rituale sociale” ed alimentando da un lato il grado di scontento e malessere collettivo che si traduce nel progressivo allontanamento tra gli “organi” che compongono il Leviatano – ovvero disgregazione sociale –; dall’altro contribuendo a creare un contesto sociale incapace di ascoltare e soprattutto di riconoscere la vittima di una data violazione al taboo (Totem), e questo perché se la vittima è l’unico tramite tra il Totem e la collettività, e questa non ha più gli strumenti strutturali per riconoscere e percepire la forza pervasiva e trasversale del Totem, allora non ne avrà per riconoscere la vittima e per rispondere alle sue istanze, ovvero non avrà gli strumenti per comprendere che le istanze della vittima non sono unicamente personali ma riflettono quelle istanze che sono proprie di tutto il sitema sociale, le quali attraverso la vittima vengono in superficie per mostrarsi al sistema stesso.

È in questo modo, che attraverso la distrorsione del sistema totemico, ha origine quella drammatica figura che è la “società della vittima”, all’insegna del misconoscimento strutturale, ovvero la mancanza di riconoscimento[13] a livello sistemico.

Il Totem contemporaneo e la genesi del Contro-Taboo

Una volta che il legame sociale (Totem) smette di essere percepito come un dovere ed un diritto strutturale-assoluto, e si chiude nel vortice annichilente del superficiale relativismo teorico e retorico, esso si può dare per esaurito, questo perchè il Totem è una struttura tanto potente quanto fragile, la quale funziona pienamente o non funziona affatto.

Essa funziona quando è vissuta come scopo ideale da un lato e come mezzo applicativo dall’altro, permettendo dunque l’associazione delle coscienze individuali e la manifestazione di quella “coscienza collettiva” altrimenti agente subconsciamente, che prende la forma di un motore la cui forza aumenta esponenzialmente fino a liberare l’uomo dalle sue dicotomie interne, mostrando e dimostrando all’uomo l’ovvietà di fondo della necessità di cooperazione e del riconoscimento puro.

Essa non funziona quando anche solo leggermente le due componenti del suo essere si distanziano, allontanando la tendenza alla perfezione dall’intenzionalità umana a livello collettivo e dunque dalla struttura relazionale umana, che si ritrova vuota di scopo, “senza motore”; questo accade quando il linguaggio sacro e quello profano si discostano e si rendono incomprensibili l’uno all’altro, riaprendo la strada a quella progressiva tendenza alla prevaricazione, proveniente dalla perdita della motivazione alla base del concetto di cooperazione, che risiede fondamentalmente nelle risposte che diamo ogni giorno alle domande che chiunque si è posto prima o poi nel dialogo interiore con sé stesso: “Chi me lo fa fare?”; “E cosa mai me ne viene?”; “Ma non posso farlo anche da solo?”; “Mi interessa davvero il suo punto di vista?” “Perché mai dovrebbe riguardarmi il suo problema?”; “Cosa vuole da me?”…

La risposta che il simbolo totemico, nel suo senso più puro, da è “No! Non posso farlo da solo”, “Si! Ho bisogno di te e del “noi”!”, e questo perché, secondo tale prospettiva, l’Uomo non si esprime attraverso singoli distinti perché rimangano tali, ma perché si riuniscano, al fine di compiere qualcosa, che è poi il “mistero” ultimo e primo della divinità e della funzione che questa ha a livello psichico per l’uomo attraverso il taboo: risolvere l’ambivalenza raggiungendo quell’istanza che era divenuta oggetto e scopo della proiezione, ovvero rendendo nulle le distanze tra impulso all’ottenimento della sopravvivenza-prosperità e necessità di limitarsi per contenere il conflitto.

Lo scopo del Totem è dunque quello di far ottenere all’Uomo la prosperità (proiettata sulla divinità come perfezione indefettibile e potenza totale al fine di essere vista e presa ad esempio, che è come condensare in un’unica ed intensissima monade psichica tutte le migliori qualità umane perché diventino l’ideale stesso dell’umanità) e mostrare come questo sia fattibile (e dimostrare che questo è anche l’unico modo per farlo) attraverso la riunione delle istanze nel nome di quell’interesse che è comune a tutti, il quale ad un momento non precisato della storia umana, forse al suo esatto inizio, fu proiettato sull’idea di Dio.

La consapevolezza di ciò e la strutturazione di un sistema sociale e relazionale volto a questo scopo – attraverso manifestazioni via via più evolute a seconda del grado di sviluppo collettivo di tale sistema – è la traduzione in senso reale, concreto, dunque “sistemico” di tale complesso costrutto simbolico, espressosi da migliaia di anni attraverso i miti, i culti ed i riti di ogni popolo che si sia mai considerato tale su questo mondo.

Senza lo scopo originario espresso dal Totem, ora non più visibile dalla sua stessa manifestazione, avviene la pericolosa associazione di significati che porta ad accorpare e rendere sinonimi il “ruolo sociale rispetto al sistema” e le istanze proprie dei membri che compongono l’organo a cui il ruolo è riferito.

Per cui ad una progressiva erosione dei legami sociali, sempre più delegittimati, corrisponde l’inasprirsi ed il radicalizzarsi delle istanze dei membri dei singoli organi, e per forza di cose la pervasività e l’influenza delle istanze di quei gruppi sulle istanze degli altri gruppi sarà tanto più forte quanto più è forte e dotato di potere strutturante il ruolo del loro organo nel sistema. In termini più chiari possibili, all’aumentare della tensione sociale e relazionale, aumenterà il grado di delegittimazione della struttura (da parte dei “governati”) da un lato, e dall’altro aumenterà il grado di stringenza e di rigidità degli organi più “pervasivi” (ovvero i gruppi governanti), dunque conflitto e despotismo.

Ci si trova quindi a fare i conti con gruppi ed individui dalle istanze divise all’interno dello stesso corpo sociale, che a casusa della distorsione e regressione dell’intera struttura, accrescono progressivamente la loro carica psichica ed emotiva negativa in ragione del fatto che questa non viene scaricata e totemizzata dalla struttura collettiva.

Questo vale contemporaneamente per ogni gruppo in tale situazione, rendendo in tal modo lo Stato/sistema sociale/Patto, un organismo sull’orlo dell’implosione, poiché la conseguenza dell’intensificazione degli stati psichici ed emotivi negativi è nell’inasprimento delle istanze dei gruppi e dei singoli, che possono trovarsi in contrasto tra loro, a seconda dei relativi interessi o aspettative, portando dunque il sistema ad un grado progressivamente sempre più critico di confusione, conflitto, despotismo e misconoscimento reciproco.

Un gran bel disastro, verrebbe da commentare, soprattutto se si considera che quelle istanze entrano in costante competizione tra loro, finendo per ridursi in un rapporto di reciproca prevaricazione a causa della loro percepita unicità che segna la definitiva impossibilità di comunicazione del messaggio originario.

Da qui si arriva con estrema facilità alla negazione ed al diniego – coscienti e volontari o meno – della sofferenza altrui, teorizzati da Cohen[14] nella sua opera, che è una fonte pressochè inesauribile ed alquanto disturbante di esempi concreti di tale rapporto.

Non solo, poiché la pervasività di queste istanze sulla struttura va rapportata al grado di vicinanza tra struttura del Patto e gruppo di riferimento, vi saranno gruppi (intesi come Organi interni al corpo totemico) che avranno più potere strutturante di altri, in virtù delle loro funzioni prettamente “esecutive”, ovvero volte alla produzione e incentivazione di “movimento” all’interno del sistema: proprio a partire da questo punto inizia a formarsi ciò che può essere definito “Contro-Taboo”.

Essendo il Totem una coordinata psichica “fissa” e necessaria alla strutturazione dei gruppi nel senso più ampio del termine, questa coordinata non può venir meno, anche qualora la sua formulazione “sana” (con il qual termine si intende un impianto relazionale che evolve naturalmente alla risoluzione del suo scopo fondante, già delineato in precedenza) dovesse crollare.

Chiaramente questo significa che essendo impossibile per la psiche umana formare gruppi che non rispondano anche solo velatamente alla categoria totemica, una volta crollato il sistema sano, se ne creerà spontaneamente uno nuovo a partire dalle “macerie del precedente”, generando così un Totem che andrà ad edificarsi sopra al vecchio.

Il problema fondamentale di questo avvenimento è che quel che resta del precedente assetto ha esaurito la sua portata funzionale – dal punto di vista delle relazioni – che era in grado di generare e mantenere, per cui il nuovo impianto nascerà inevitabilmente su una base disfunzionale.

Volendo chiarire la portata dell’evento in atto, si pensi a come era sorto il Totem in origine: da una duplicità di forze e tensioni psichiche contrarie – Eros e Thanatos (spinta egoistica alla conquista e tendenza ad auto-limitarsi per sopravvivere) era sorto un Taboo, un “divieto sacro” che univa queste due pulsioni contrarie in un’unica coordinata risultante nella cooperazione volta alla prosperità collettiva (e dunque di riflesso individuale); perché poi tale coordinata e scopo fossero sempre visibili e presenti alla coscienza, il Taboo venne proiettato sull’immagine di una fonte esterna, il Totem (struttura psichica, relazionale e strutturale insieme che si sarebbe evoluta come sopra descritto).

Ma nel caso di una nuova edificazione totemica a partire da un precedente assetto crollato, cosa avviene in profondità al Taboo? Necessariamente esso dovrà riformularsi, e questo perché il Totem appena collassato era la manifestazione visibile di un Taboo che esprimeva una coordinata psichica ormai ugualmente crollata.

Se dunque il fondamento basato sulla cooperazione volta alla prosperità si trova a fallire, il nuovo “divieto sacro” sarà legato all’evento traumatico precedente, il chè significa che il nuovo assetto relazionale si baserà sul divieto sacro (Taboo) di ristabilire il vecchio Totem, e tale è il Contro-Taboo.

Il significato esplicito di questo percorso è alquanto complesso, poiché nel nuovo impianto relazionale (Totem in quanto Patto Sociale) sarà sacralmente vietato (Taboo come espressione del Rito Sacrificale) ricondursi alla cooperazione come mezzo per la prosperità (vecchio divieto sacro che impediva alle due pulsioni originarie di cozzare tra loro), dunque il nuovo Contro-Taboo non sarà altro che la base per un Totem che prenderà come redini le due forze contrarie (si vedano i concetti più sopra illustrati di Eros e Thanatos) proprie dello stato di natura precedente all’edificazione psichica che avrebbe dato i natali all’archetipo di “gruppo”/”società”.

Avremo dunque, più che una Società, un guscio relazionale tenuto insieme e guidato da quegli organi del vecchio impianto totemico che si saranno trovati (post-collasso) a reggere le redini del nuovo assetto senza per altro averne un’effettiva possibilità nel lungo termine, poiché, come ricordano Hobbes prima e Durkheim poi, in un corpo non è uno solo degli organi che la fa da padrone, ma sono tutti gli organi in concerto armonico che mantengono il corpo in vita.

Lo scenario nel quale uno solo o pochi “organi sociali” si troveranno al controllo di tutto l’impianto[15] in un ciclo viziato di despotismo e conflitto, andrà a fondarsi su un Totem incapace di risolvere tale situazione, essendo il Taboo che esso esprime basato sul divieto sacro di riedificare l’impianto precedente (quello sano), e dunque qualora si tentasse di ri-sanare il Totem volendolo ricondurre al “timor di Dio” (ovvero alla proiezione dello scopo collettivo basato sulla prosperità ottenuta per cooperazione) questo tentativo sarà visto come violazione del Taboo e trattato di conseguenza, ovvero a seconda della situazione: condannato o ridicolizzato, se non ignorato ed allontanato dalla gamma delle ipotesi in quanto “utopia” – qualunque cosa questa parola possa voler significare per degli esseri, noi umani, strutturati per costruire, e non “subire”, il nostro essere spazio-temporale.

Caratteristica fondante di questo sistema sarà il tentativo di applicare direttamente le due pulsioni originarie senza volerle fondere in un’unica coordinata e pretendendo che queste si limitino a formare tra loro un “contratto di buon vicinato”.

Per raffigurare la situazione si immaginiano due mele chiuse in una scatola proposte al prossimo come un oggetto unico per il solo fatto che stanno in una scatola condivisa.

Questo esempio, volutamente semplicistico, mostra la gravità dell’evento, che vede da un lato i due cardini fondamentali che generano la vita collettiva perdere sempre più possibilità di comunicare tra loro – per cui ad un certo punto si arriverà a decidere quale dei due far predominare, il chè di per sé è un’assurdità, essendo entrambe ugualmente necessarie alla vita in società –; dall’altro lato vede l’impianto relazionale di riferimento costruirsi su di essi senza mediazione alcuna, che ha lo stesso valore di mettere un tavolo con due gambe nell’acqua e due nella sabbia e avere poi la pretesa che sia stabile.

Il risultato sarà un’enorme tensione psichica collettiva che contribuirà ancor di più al già ben avviato processo di erosione dei legami e della fiducia reciproca, poiché le due pulsioni iniziali tenderanno continuamente a fondersi e continuamente tale tentativo verrà rifiutato dal recipiente relazionale edificato su di essi, che ormai comprende la parola “cooperazione” solo come sinonimo di “contratto” e “prosperità collettiva” come sinonimo di “Prodotto Interno Lordo”.

Il motivo risiede nella scollatura avvenuta nel precedente Totem tra Patto Sociale (la forma relazionale della società) e Rito Sacrificale (il culto del gruppo che disegna il volto visibile dello scopo ultimo del gruppo), che ha portato al rifiuto di quest’ultimo ed alla sua estromissione dal Totem, lasciando al gruppo il solo Patto Sociale, ora svuotato di scopo.

Osservando dall’interno il comportamento delle due coordinate fondamentali che originano Taboo – Eros e Thanatos – e Contro-Taboo (sua conformazione distorta) si vedrà in quest’ultimo caso un assetto relazionale nel quale accelerazione e disgregazione sociale regneranno insieme al paradosso che vede in una pretesa naturalezza-giustezza della competizione tra individui (tensione alla conquista) la base relazionale per uno sfruttamento reciproco basato sul “rapporto contrattuale” (auto-limitazione volta alla sopravvivenza) che forzi i singoli a coesistere tra loro in un “mondo” che gira su sé stesso a velocità sempre maggiore, con l’unico scopo di restare esattamente dove è, ovvero in uno stato costante di tensioni ed incertezze, e questo perché venendo meno alla vista del gruppo il reale scopo della società-Totem, l’unico modo che ad esso resta di perpetuarsi è una corsa frenetica alla legittimazione, ricercata con strumenti relazionali, figure e linguaggi sempre diversi, ad un ritmo tanto più accelerato quanto più si avvicina al limite di resistenza del sistema.

 

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  1. Freud S., Totem and Tabù. Resemblances Between The Psychic Lives Of Savages And Neurotics, Moffat, Yard and Company, 1918, p. iv, v.

  2. Ivi, p.2-6

  3. Ivi, p.50-59

  4. Jung C.G., Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, 1977

  5. Giammanco R. (a cura di), Hobbes T., Il Leviatano, UTET, 1955

  6. Jung C.G., L’uomo e i suoi simboli, Longanesi, 1967

  7. Feuerbach L., L’essenza della religione, Newton Compton, 1994.

  8. Durkheim E., The Division Of Labour In Society, The Free Press Of Glancoe, 1960

  9. Ivi, p.50-51

  10. Ivi, p.70-80

  11. Si riferisca il termine alla semantica propria al discorso vittimologico.

  12. Un ipotetico “terzo grado di manifestazione” del Totem non è ancora prefigurabile, poiché al momento in cui avrebbe dovuto svilupparsi, si sono generate delle distorsioni che ne hanno invertito l’evoluzione, determinandone prima lo stallo e poi la regressione; pertanto il “terzo grado evolutivo” che sarà descritto più oltre, ovvero l’attuale, sarà quello distorto dei Contro-Taboo.

  13. Ricoeur P., Percorsi del Riconoscimento, Raffaello Cortina Editore, 2005;

    Honneth A., Lotta per il riconoscimento. Proposte per un’etica del conflitto, Il Saggiatore, 2002

  14. Cohen S., Stati di negazione, Carocci, 2002

  15. Il chè avviene volente o nolente; non è questa la sede per cimentarsi nei dilemmi dell’intenzionalità o meno alla base del collasso.

 

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