Trasparenza tra Appartenenza Confessionale e Stato

 In Sul Filo del Diritto, N. 4 - dicembre 2021, Anno 12

Non senza una certa difficoltà si affronta il tema della trasparenza nei rapporti tra il fedele-socio e la Confessione di appartenenza, o meglio con la forma associata che la confessione utilizza quale ente confessionale. Occorre, di fatti, vincere quel disagio dovuto, da un lato alla componente emozionale, sentimentale che caratterizza l’immagine mentale propria del “fedele”, mosso da motivi trascendenti la materia, dall’altro al portato amministrativo e laico dell’associato, legato alla vita materiale, sociale, del “mondo” delle regole amministrative e delle procedure. La macchinosa impersonalità degli aspetti burocratici non sembra compatibile con la propria religiosità. L’idea di una trascendenza laica, rappresentata dalla funzione propria dell’ordinamento giuridico che modifica la realtà preesistente, non pare poter accostare le due visioni dell’esistenza: non si identifica l’elemento “spirituale” comune ad entrambe le visioni. Appare ai più naturale tenere separate le due sfere di esistenza, la “materiale” dalla “spirituale”. La componente emotiva nei fenomeni a carattere religioso domina sulla razionalità comunemente intesa: si tratta di piani considerati in questo contesto incommensurabili. Per tanto si presenta una situazione complessiva simile all’innamoramento romantico; ove tutti gli aspetti pratici sono posti in secondo piano, in uno sfondo indistinto, sembra accadere quanto descritto poeticamente da W. Blake nel suo Motto alle canzoni di innocenza e di esperienza.

Partendo proprio dalla nostra esperienza di contrasto all’abuso, quale Osservatorio Nazionale Abusi Psicologici (O.N.A.P.), abbiamo riscontrato, come costante della relazione gruppo cultuale-associativo-singolo, questa difficoltà di prospettiva. Coloro che hanno poi dovuto affrontare momenti di crisi nel rapporto associativo fino al distacco generalmente caratterizzato da elementi traumatici, si sono resi conto di come questo atteggiamento mentale sia pervasivo e tenace, affatto semplice da gestire. La difficoltà, infatti, pare manifestarsi in ogni fase, in ogni singolo momento della vita del soggetto coinvolto, sino a persistere una volta distaccatosi: la visione “spirituale” continua a riaffiorare in costoro come griglia interpretativa della realtà a dispetto della volontà e del cosciente sforzo avverso, come una sorta di metaforica meccanica del comportamento acquisito. Vi sono, naturalmente, ulteriori serie ragioni per inoltrarsi in questo territorio. Ragioni che investono il rapporto politico dello Stato con i cittadini che lo costituiscono.

Confessione e Associazione

Molti soggetti non riescono a distinguere, per i motivi sin qui accennati, tra rapporti e strutture configurate in ambito confessionale/cultuale – intendendo con ciò anche quel che è ordinamento confessionale – da quello che appartiene all’ambito dell’ordinamento statale, ovvero lo statuto di associazione. Il confezionamento di questi prodotti “spirituali” appare d’altronde “scientificamente” pensato per valorizzare gli aspetti trascendenti a detrimento delle informazioni ordinamentali e tecnico-amministrative. In questo senso, per prima cosa, è bene precisare che sussiste una differenza ontologica-sostanziale tra entità Confessione[1] e entità Associazione. Quest’ultima, ha una conformazione giuridica amministrativa definita, con dinamiche tra soggetti appartenenti, codificate dall’ordinamento ed azionabili. Si tratta di due sfere di competenza distinte, avvertite in modo difforme, dove la “spirituale” tende ad oscurare quasi completamente l’amministrativa (Finocchiaro, 2012).

Interessante, in questo ambito, la disamina dei culti acattolici privi di intesa (ex art. 8 Cost.), ma dotati di un ente associativo con personalità giuridica; specialmente l’aspetto che riguarda la trasparenza di tali formazioni confessionali, nel loro rapporto giuridico amministrativo con il singolo fedele/socio. Il primo aspetto da considerare, sicuramente, è quello relativo alla normativa di riferimento e soprattutto alle modalità di riconoscimento giuridico per tali enti confessionali diversi da quelli cattolici.

Il primo riferimento normativo utile nella nostra dissertazione è indubbiamente l’art. 2 della L. n. 1159/1929 che recita: «Gli istituti di culti diversi dalla religione dello Stato possono essere eretti in ente morale, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Interno, uditi il Consiglio di Stato e il Consiglio dei ministri, essi sono soggetti alle leggi civili concernenti l’autorizzazione governativa per gli acquisti e per l’alienazione dei beni dei corpi morali (abolito con Legge n. 127 del 1997 e dalla Legge n. 191 del 1998). Norme speciali per l’esercizio della vigilanza e del controllo da parte dello Stato possono inoltre essere stabilite nel decreto di erezione in ente morale[2]».

Nel corso del passare degli anni si è sempre più sentita la necessità di un inquadramento normativo della materia tant’è che è lo stesso Ministero dell’Interno-Direzione Centrale degli Affari dei Culti, ha redatto una apposita scheda sui Culti Acattolici che recita: «Il settore va assumendo sempre maggior rilievo in stretta correlazione con l’aumento dei flussi migratori, che comportano il proliferare di nuove religiosità. Il riconoscimento giuridico degli enti di culto diverso dal cattolico, ad eccezione degli enti appartenenti a confessioni che hanno stipulato le suddette “intese” – ex art. 8 della Cost. –, è ancora oggi disciplinato dalla normativa sui culti ammessi risalente agli anni 1929/1930. In conseguenza dell’aumentato pluralismo religioso sono sempre più le associazioni che chiedono il riconoscimento della personalità giuridica quali enti di culto, anche se la personalità giuridica non costituisce un requisito necessario ai fini dell’espressione del culto in forma associata[3]».

Vi sono, quindi, in Italia cittadini che scelgono di aggregarsi a confessioni diverse dalla cattolica dotate di forme associative con personalità giuridica e lì esprimere la propria religiosità. E fin qui tutto rientra nel diritto costituzionale della libertà di autodeterminarsi in campo della religiosità. Il problema sorge quando questo aggregato confessionale non fornisce, agli associati/fedeli, una adeguata informazione in ordine agli aspetti amministrativi e tecnico-giuridici del loro status associativo: carenza che determina una lesione dei loro diritti ed una conseguente difficoltà a poterli esercitare. Quando questo accade difficilmente l’associato si interroga, in riferimento all’identità ordinamentale dello stesso, per mancanza di abilità idonee e non ultimo proprio per quella commissione di piani inizialmente citata. Accade allora, che l’ex-fedele si espone ad una serie di effetti negativi relativamente ai propri diritti civili: ignora quando e come procedere per tutelare le proprie posizioni soggettive di diritto, in questioni o azioni richieste o promosse dal gruppo di riferimento. Comportamenti di cui, in ogni caso, l’associato sarà o potrà essere ritenuto responsabile dall’ordinamento statale, quale cittadino adulto e “consapevole”.

Si riscontra così che l’aspetto “spirituale” tende ad avere una prevalenza, spesso appositamente alimentata dalla direzione del gruppo, assolutamente predominante per il neofita, il quale ritiene di aver raggiunto non una possibile soluzione per il proprio bisogno di spiritualità, ma la verità incontrovertibile, la soluzione definitiva a tutte le sue istanze.

Questa è la fenomenologia che familiari ed amici osservano e sperimentano soprattutto quando respinti, quali miscredenti, dall’entusiasta nuovo fedele nel momento in cui essi propongono una visione prudentemente critica della nuova appartenenza. Avviene così che avvertenze comuni di ordinaria cautela in riferimento alla natura ordinamentale della struttura alla quale si accede, non si pongono: si tratta di approfondimenti dettati dalla comune diligenza in ordine, sia al reperimento delle finanze (sapere come si finanzia il gruppo e che ne è delle risorse raccolte), che al rispetto dei diritti dei fedeli nelle dinamiche associative. Senza dimenticare la natura dell’associazione dal punto di vista civilistico rispetto alle modalità di accesso, di residenza e di conflitto.

Ancora si nota la tendenza comune a non porsi il problema della provenienza, dello storico, delle origini e del tipo di struttura apicale, della dirigenza, che governa il gruppo verso il quale si prova una attuale attrazione ed un desiderio di adesione fideistica. Si accettano su queste materie le informazioni che la dirigenza stessa del gruppo giudica necessarie e sufficienti.

Solo il tempo si incarica di porre la questione dell’effettiva identità del gruppo e delle dinamiche che lo caratterizzano, nonché della natura della sua struttura dirigente e, soprattutto, delle finalità autentiche perseguite, al di là della “pubblicità” strumentale, finalizzata all’attrazione di possibili nuovi aderenti.

In considerazione della delicatezza della materia e della sua complessità, le persone immaginano che lo Stato se ne sia esaustivamente occupato, con previsione di pesi e contrappesi previsti a tutela del singolo come del gruppo, oltre che con attenzione costante e qualificata, per cui non ricercano, di solito, un accertamento diretto, approfondito.

Previsioni ordinamentali della materia

Ritenere che lo Stato sia attento a questa materia è naturalmente giustificato dalla stessa idea giuridica di Stato[4]. Una breve ricognizione sull’argomento consente di accertare che vi sono leggi ed apparati dedicati a governare l’area, con una funzione di cornice sufficientemente articolata da comprendere poi le variabili che la effettiva pratica evidenzia. Nell’ambito della Divisione degli affari dei culti diversi dal cattolico, l’Osservatorio sulle Libertà Religiose, le cui finalità sono in ordine all’approfondimento di conoscenza del fenomeno religioso, sul raccordo per la soluzione di domande sul tema da parte della pubblica amministrazione e di raccolta di denunce di violazioni del diritto di libertà religiosa. Nella scheda dell’Ufficio I – Politiche dei Culti e Relazioni Esterne – a proposito delle attività previste per l’Osservatorio sulle Politiche Religiose vi sono le seguenti voci: «Rilevazione delle realtà religiose diverse dalla cattolica e dei nuovi movimenti religiosi risultanti dai rapporti con le Prefetture-UU.TT.G. – Interventi a garanzia del diritto di libertà religiosa –Problematiche relative a permessi di soggiorno e visti di ingresso per motivi religiosi[5]». Quindi è previsto un ruolo di monitoraggio continuo e di attenzione ai problemi in itinere da parte di questa struttura costituita appositamente in una Divisione del Ministero dell’Interno.

Altro elemento di rilievo contenuto nel documento a sostegno dell’idea che gli apparati dello Stato si occupino del fenomeno è il seguente passaggio citato nel testo della “normativa” nella stessa sezione sopra citata: «Il monitoraggio ha evidenziato la presenza – oltre che di gruppi tradizionali quali ebrei, luterani, battisti, valdo-metodisti, ortodossi – anche realtà profondamente diverse che coinvolgono milioni di persone: si tratta dei c.d. nuovi movimenti religiosi, espressione – questa – che, mutuata dal linguaggio anglosassone (new religious movements), è largamente utilizzata in alternativa al termine “sette” che, nella terminologia comune, sembra implicare un giudizio di valore negativo[6]».

L’attività di vigilanza

Il R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, art. 13,14 – Norme per l’attuazione della L. 24 giugno 1929, n. 1159 sui culti ammessi nello Stato – all’art 14, così recita: «Oltre alle norme speciali stabilite dal decreto di erezione in ente morale, gli istituti dei culti diversi dalla religione dello Stato sono soggetti alla vigilanza ed alla tutela governativa. Tutte le attribuzioni spettanti allo Stato sugli istituti sopra menzionati sono esercitate dal Ministro dell’Interno e dagli organi dal medesimo dipendente». All’art. 15 del R.D. si legge: «La vigilanza governativa di cui all’articolo precedente include la facoltà di ordinare visite ed ispezioni agli istituti indicati nell’articolo stesso. Quando siano accertate, comunque, gravi irregolarità nell’amministrazione di tali istituti ovvero quando l’amministrazione non sia in grado di funzionare, il Ministro dell’Interno può sciogliere l’amministrazione medesima e nominare un commissario governativo per la temporanea gestione».

A conferma, nel documento “La vigilanza sugli enti di culto” si legge quanto segue: «Gli organismi ai quali sia stata riconosciuta la personalità giuridica ex Legge n. 1159/1929 sono soggetti all’istituto della vigilanza che lo Stato esercita mediante il Ministero dell’Interno – Divisione culti diversi dal cattolico; ciò al fine di accertare che gli enti in parola non esplichino attività contrarie non solo all’ordinamento giuridico ma anche alle proprie finalità, che sono di interesse pubblico consistendo nella soddisfazione dei bisogni religiosi delle comunità di fedeli. La vigilanza include la facoltà di ordinare visite ed ispezioni sino ad arrivare, in caso di gravi irregolarità, allo scioglimento dell’amministrazione dell’ente ed alla nomina di un Commissario governativo per la temporanea gestione[7]». Fin qui nel testo del Ministero dell’Interno appare rappresentata una attenzione, una organizzazione, una filosofia ed un approccio sociologico all’insieme della materia condivisibili.

Il Ministero, però, precisa un punto nel seguito del testo in cui emerge un carattere, un indirizzo, definitamente politico, in qualche modo fondamentale per interpretare il pregresso e l’attuale stato delle cose. Si legge, infatti, di seguito nella stessa sezione del documento del Ministero dell’Interno: «È uno strumento – quello dello scioglimento degli organi statutari dell’ente – che, se pur previsto dalla normativa del 1929 e 1930, è in pratica inattuato; infatti la Direzione Generale degli affari dei culti, consapevole della delicatezza dei rapporti connessi alle questioni religiose, è incline a rifuggire da forme autoritative prediligendo invece, per quanto possibile, le soluzioni concordate ed avvalendosi, per questo, dell’opera di mediazione che in loco è svolta dai Prefetti».

Ora, possono esserci ragioni valide per non attuare una prescrizione legislativa, così da essere incluse in una generica “delicatezza dei rapporti connessi”? Può essere che non attuare sia preferibile alla abolizione della predetta legislazione del 29/30, sui culti diversi dal cattolico per i problemi che questa ultima soluzione presenterebbe? Ci si chiede però, allo stesso tempo, che ne è delle ragioni contrarie quali, ad esempio, il fatto di aspettarsi che uno Stato rispetti le Leggi che lo costituiscono e che produce, nella loro interezza proprio in ragione della dichiarata “delicatezza dei rapporti connessi”? E, ancora si pone la domanda del perché, in un costante mutamento del contesto storico, sociale e fenomenologico si consenta ancora l’attuale gestione del problema? Le stesse espressioni contenute nella citata scheda del Ministero quali “è incline” oppure “prediligendo invece, per quanto possibile”, lasciano aperti passaggi interpretativi informati ad una eventuale diversa politica operativa e, stante la legge vigente, non poteva essere diversamente.

Le competenze

Dovendo sintetizzare alcuni elementi costitutivi del tema in oggetto, osserviamo dunque i soggetti giuridicamente competenti ad occuparsi della materia con relativa normativa, nonché alcuni caratteri della stessa:

  • Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione – Direzione Centrale degli Affari dei Culti – Ufficio I – Politiche dei Culti e Relazioni Esterne (da cui dipende anche l’Osservatorio sulle Politiche Religiose) – Area II – Affari dei Culti Acattolici. Come abbiamo esaminato sopra, si tratta del soggetto costituito dalla legge per occuparsi del settore culti acattolici secondo la normativa sui culti ammessi – L. 24 giugno 1929, n. 1159 e relativo regolamento di attuazione approvato con R.D. il 28 febbraio 1930, n. 289 come attualmente modificato.
  • Presidenza del Consiglio dei Ministri – Attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di rapporti con le confessioni religiose: Legge 23 agosto 1988, n. 400 – Disciplina dell’attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 – Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri a norma dell’art.11 Legge 15 marzo 1997, n.59 – DPCM 1° marzo 2011.

L’architettura complessiva del comparto e la direzione amministrativa relativamente ai rapporti con le confessioni religiose è definita dalle Leggi vigenti; vi è un quadro di riferimento qui solo parzialmente rappresentato, complesso e soggetto alla volontà politica circa la direzione, quindi ai corsi e ricorsi storici[8].

Ora, circa lo status di personalità giuridica, raggiunge particolare rilievo il D.P.R. del 10 febbraio 2000, n. 361 su persone giuridiche private art. 1, comma 2, in cui si prescrive che atto costitutivo e statuto devono essere allegati alla domanda per l’ottenimento della personalità giuridica. Ciò significa che vi è una precisa cornice entro cui i rapporti associativi devono configurarsi e svilupparsi, in accordo con i principi costituzionali ed il conseguente codice civile. Per tanto, si è in presenza di aggregati associativi noti, tenuti ad osservare regole pubblicistiche quali quelle dell’atto costitutivo e dello statuto depositati in prefettura. Il legislatore sa che anche questi soggetti devono esporsi alla pubblica vista; in un sistema a garanzia di terzi, di fatti, un soggetto con capacità negoziale non può essere occulto, segreto. Oltre agli elementi di informazione pubblicistica sin qui evidenziati, la legge in parola all’art. 6 “Estinzione della persona giuridica”, identifica le condizioni appunto di estinzione di questa configurazione giuridica (non dell’ente).

Esistono quindi più livelli di vigilanza e di intervento statale in presenza di difformità attuali o future, non mancano le previsioni azionabili. Si presenta, quindi, un problema di opportunità, a significare la complessità e l’articolazione delle competenze implicate.

L’appartenenza

Quel che appare con tutta evidenza, da quanto sopra esposto, è che l’appartenenza confessionale, in specie dove si è in presenza di un ente associativo con personalità giuridica, richiede, per essere consapevole, di una informazione puntuale ed esaustiva, in riferimento alle regole che governano la formazione in senso ordinamentale, composto da statuto associativo e statuto confessionale[9]. Sembra così di poter immaginare (poiché non attuale) una teoria informativa di questo tipo atta a favorire la consapevolezza:

  • in entrata, poiché si dovrebbe ben capire dove si accede;
  • nella permanenza, in considerazione delle richieste ai singoli che l’associazione può fare e che possono prevedere effetti civili;
  • in uscita, quando il singolo tende a divenire oggetto di ostracismo strisciante o aperto, in riferimento all’elemento di religiosità “tradita” certificata da apparati ed ordinamenti confessionali, cultuali (ovviamente non terzi).

Particolare attenzione deve riservarsi specialmente al “momento informativo in uscita”, in considerazione del fatto che la condizione di espulso confessionale è portatrice di una fenomenologia che travalica, spesso in modo drammatico, gli elementi di razionalità e senso civico che dovrebbero contraddistinguere ogni manifestazione del vivere civile proprio in funzione del portato “religioso”. Scrive Voltaire: «Il fanatismo sta alla superstizione come il delirio alla febbre, come le furie alla collera. Chi ha delle estasi, delle visioni, chi scambia i sogni per la realtà, e le immaginazioni per profezie, è un entusiasta; chi sostiene la propria follia con l’omicidio è un fanatico[10]».

È specie nell’ultimo segmento dell’appartenenza, nel momento dell’espulsione, che l’affiliato si rende conto della profondità e gravità del deficit informativo; quando cioè realizza di non poter efficacemente attivare il diritto alla difesa (art. 24 Cost. art 24 c.c.), causa la sostanziale mancanza di elementi documentali a propria tutela. In alcuni casi non vi è stata neppure consapevolezza dell’inserimento in un ambito associativo, non avendo firmato alcun documento, modulo o altro attestante l’adesione. È in genere a posteriori, in seguito a conflitti, che vengono ricercati elementi orientativi per capire e, se possibile, agire.

Si scoprirà così che esiste una Presidenza del Consiglio con delle prerogative di carattere politico sulla materia, un Ministero dell’Interno con leggi e procedure ed uno status associativo che, se attivati nei tempi e nelle corrette modalità, avrebbero dovuto, o almeno potuto attivare, una tutela del singolo, soprattutto in ragione della specificità del rapporto associativo, in quanto “religioso” e per ciò stesso sottoposto a normativa specifica.

L’espulso avrà la possibilità, naturalmente, di ricorrere al giudice in ordine a quanto rimane di competenza, giurisdizione sovrana dello Stato, quindi per la verifica della correttezza delle procedure nella correlazione ordinamentale statuale, ma con uno svantaggio competitivo generalmente incolmabile, stante la carenza documentale a sua tutela, sempre che il soggetto riesca a dotarsi dell’apparato informativo adeguato e di professionisti del diritto competenti in materia.

Non è semplicemente intuitivo orientarsi in questo terreno, occorrono competenze difficilmente raggiungibili dalle singole persone coinvolte. Da questa considerazione emerge la necessità, oltre al resto, di associazioni qualificate e competenti alle quali rivolgersi che sappiano “formare” un’area dedicata di professionisti con una specializzazione specifica in questo ramo. A tutt’oggi la difficoltà a rintracciare professionisti preparati nelle numerose articolazioni della materia permane sul territorio, ed il singolo rischia di affidandosi a soggetti approssimati, con risultati spesso prevedibilmente inadeguati. Si riscontra di frequente un gap culturale e psicologico in coloro che sono interpellati su questi temi; vi sono aspetti della esistenza avvertiti istintivamente come sgradevoli e complicati e la tessera in oggetto del mondo “religioso” sembra ottenere questo tipo di reazione anche tra i professionisti quando si confrontano su un caso reale, non accademico.

L’elemento numerico e l’impresa

Un elemento, quello numerico, già incontrato in questa analisi, dovrebbe far riflettere; lo stesso Ministero dell’Interno, già citato in precedenza, afferma che il fattore della religiosità coinvolge un numero elevato di persone in Italia «Il monitoraggio ha evidenziato la presenza […] di realtà profondamente diverse che coinvolgono milioni di persone: si tratta dei c.d. nuovi movimenti religiosi, espressione […] utilizzata in alternativa al termine “sette” che, nella terminologia comune, sembra implicare un giudizio di valore negativo[11]». Sono, quindi, milioni i cittadini italiani che a vario titolo e compartecipazione, sono coinvolti in associazioni cultuali. Milioni a cui si aggiungono, per estensione sociale famigliari, amici, nonché gli ex aderenti. Una massa innumerevole di persone che potenzialmente, come singoli, può scoprire di essere lasciata sola ad affrontare un problema che presenta profili di abuso. Il fatto è che, comunque si voglia rappresentare la questione, si tratta di persone che hanno “pagato” un prodotto, una prestazione “spirituale” in ordine alla soluzione di un bisogno riconosciuto anche dalla nostra Costituzione, quello spirituale, trascendente, riconducibile alla religiosità e che, al momento del fallimento del prodotto o della prestazione, invece di essere soggetti a risarcimento sono invisibili. Dimostrazione, questa, che molti degli ex affiliati e famigliari già sperimentano questo tipo di solitudine.

Può apparire ingenuo ragionare in termini commerciali di prestazione, di servizio e di prodotto ma lo stesso sociologo Enzo Pace, nel contesto di una complessa ed interessante analisi del fenomeno settario, scrive nel suo libro Le sette: «Una setta, dunque, deve essere considerata una piccola impresa di tipo religioso che interpreta umori, sentimenti, attese, speranze, conflitti che sono presenti in modo diffuso in una determinata società e in un determinato tempo storico. La setta è, infatti, un tipo di organizzazione sociale a base religiosa che presenta due problemi tipici di qualsiasi organizzazione: intercettare consensi e mantenere, una volta conquistata, la propria clientela. Per fare questo, più o meno consapevolmente, la setta si pone il problema di come entrare in comunicazione con la società e con le persone che la compongono, individuando di volta in volta il terreno più favorevole. Il che vuol dire che essa può avere successo se, e solo se, mostra di sapersi sintonizzare sulla lunghezza d’onda dei timori diffusi nel profondo o delle attese inconsce degli individui[12]». Quindi, una comparazione terminologica cultuale relativamente ai termini in uso, alle tecnologie pubblicitarie nonché all’uso degli strumenti mediatici più efficaci è un tema di grande interesse per approfondire la comprensione delle dinamiche in atto in questo segmento sociale

Principio di resistenza

Lo stato delle cose in Italia, relativamente all’attuazione delle Leggi sulla materia, come sopra esposto brevemente, presenta caratteri di differimento consapevole da parte degli organi preposti, a proposito della inattuazione, dichiarata, dal Ministero dell’Interno, di parte di una legge.

A questo proposito si richiama quanto scritto da Costantino Mortati: «Una forma attenuata ed indiretta del diritto di resistenza è quella che si effettua per opera dell’interprete quando piega la formula legislativa ai propri ideali, nei limiti di relativa libertà a lui concessa[13]». Difficile, quindi, non riconoscere il cosiddetto “diritto di resistenza”, che ancora parte dell’amministrazione dello Stato sembra esercitare quando decide intrinsecamente di non avere notizia della diffusione di un fenomeno con profili di abuso. “Mancando” i dati si realizza che ogni “caso” che viene trattato, essendo presentato singolarmente, non può che essere e restare un “caso” singolo, isolato senza genere di appartenenza cui associarlo. Vengono a mancare, perciò, i criteri per renderlo idoneo a fine classificatorio: additando come inutile se non inappropriata la competenza dei rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento.

L’istituzione dell’Osservatorio sulle Politiche Religiose del Ministero dell’Interno – Ufficio I – Politiche dei Culti e Relazioni Esterne, che si avvale dell’apporto sul territorio delle Prefetture, consente di fare statistica, catalogazione, studio, informazione e piani operativi così come da mandato costitutivo. Adesso, non è chiaro come si possa realizzare che il singolo caso possa essere considerato una monade assoluta, esistente nel vuoto, in presenza di uno specifico apparato per la catalogazione e la lavorazione dinamica in senso informativo e propositivo dei dati raccolti, se non per una politica informata alla “resistenza”. Pare, quindi, che la filosofia applicata dall’amministrazione dello Stato, agli associati confessionali, sia quella dei «diritti affievoliti» (Mortari, 1975), lì dove il pubblico interesse prevale ed il singolo cede. Inverso, un corretto rapporto atto a prevenire occasioni di abuso dovrebbe costituire l’interesse prevalente.

È possibile che il motivo risieda nel tipo di valutazione osservata da Giuseppe Dalla Torre, nel suo libro “Lezioni di diritto ecclesiastico”, dove osserva: «In altre parole si vuol dire che occorre distinguere tra formazioni sociali necessarie (come la famiglia), e formazioni sociali volontarie (come, appunto, le confessioni religiose); tra formazioni perseguenti interessi diretti dello Stato (come i partiti politici) o meramente indiretti (come, ancora una volta, le confessioni religiose). E conseguentemente si deve precisare che il problema della tutela dell’individuo in rapporto alle formazioni sociali si pone in tutta la sua pienezza ed urgenza nelle formazioni sociali aventi carattere necessario e finalità connessa con interessi diretti dello Stato, degradando progressivamente nelle altre con il mutare della duplice serie di variabili considerate, fino a ridursi in sostanza ad un problema che si pone in limine. Nel senso che per le formazioni sociali del tutto volontarie ed aventi solo finalità indirettamente connesse con interessi propri dello Stato, come appunto le confessioni religiose, la questione verrebbe poco a poco a ridursi alla garanzia del rispetto della libera esplicitazione dell’autonomia privata[14]».

Allo stato attuale, la realtà si impone in altro modo in tempo di crisi delle rappresentanze politiche, per cui occorre ripensare ai soggetti aventi carattere di formazioni sociali necessarie; ciò detto per tacere delle centinaia di migliaia di cittadini che non hanno scelto di entrare in una formazione religiosa acattolica, ma ci sono semplicemente nati. Fatto che rende senza senso parlare di scelta volontaria, a meno di astrarre dalle persone reali e riferirsi al perfetto individuo giuridico, che esiste, come è noto solo nel mondo della trascendenza giuridica. Trascendenza religiosa e trascendenza giuridica hanno qui un punto di contatto il cui approfondimento rappresenta un capitolo di grande interesse, ma non è questa la sede.

Conclusioni

In generale ci sembra di poter osservare quanto segue: il nodo costituito dal problema della trasparenza nel rapporto tra confessione e fedele-socio appare “gordiano” e la soluzione non può che prospettarsi “alessandrina” o, se si preferisce, un trattamento dei problemi posti con una puntuale applicazione del rasoio di Occam: «pluralitas non est ponenda sine necessitate[15]». Ovvero, «non considerare la pluralità se non è necessaria».

In altre parole, si tratta semplicemente di attuare leggi già vigenti nella sua interezza, compreso l’esercizio delle “facoltà” a tutela delle parti più deboli. Ovvero, meno attrezzate alla comprensione ed al trattamento delle difficoltà nel rapporto con strutture confessionali-associative fornite di dirigenza preparata e mezzi finanziari. La formulazione della nostra Costituzione pone il singolo cittadino al centro, in quanto anche soggetto debole, i cui diritti devono essere riconosciuti e protetti. Soggetti forti per conformazione aggregata quali le dirigenze associative, con appoggi e mezzi finanziari non possono ragionevolmente pretendere “favorevoli” inattuazioni o protestarsi vittime di discriminazioni ad opera di un singolo individuo dissidente.

Quel che si osserva in alcuni casi è, invece, che la dirigenza associativa, lamentando la propria condizione di danneggiata e in funzione dichiaratamente difensiva di un gruppo, che non sa di essa quasi nulla, rappresenti il singolo ex associato espulso quale unico responsabile della crisi che “egli” stesso ha generato, considerata espressione di “malvagità”. Si ha una commistione di piani e di linguaggi su cui si può facilmente confondere, stante il contesto religioso delle vicende.

Nell’analisi dei soggetti coinvolti è bene tener presente le seguenti distinzioni, riguardanti la dirigenza confessionale-associativa e quella dei fedeli-associati. È dalla combinazione di questi componenti, che la prospettiva e la scena cambia per gli osservatori.

Può accadere che le stesse persone rivestano in più ruoli allo stesso tempo e che quindi le letture interpretative godano di caratteri camaleontici di grande efficacia. Esiste sempre il modo di ottenere una combinazione adatta alla necessità del momento, specialmente in fase di giudizio: cambiando l’ordine dei fattori il risultato, in questo campo, non sarà lo stesso. Ogni spettatore coinvolto vedrà, a seconda del suo ruolo, una cosa diversa, in funzione dei fini che la dirigenza, del gruppo, intende promuovere.

Appare necessario in tale contesto l’esercizio del primato della volontà politica, la quale costituisce il punto decisivo per operare il cambiamento. In presenza di un corredo legislativo quale quello attuale, prima di ogni altra iniziativa, occorre chiedersi cosa potrebbe cambiare se, questo corredo legislativo, fosse realmente attuato in tutte le sue parti. Il paradosso di essere in possesso degli strumenti idonei e non utilizzarli sottolinea l’esigenza di una rappresentanza politica degli interessi della parte di popolazione coinvolta e attualmente senza voce. Si tratta di individuare rappresentanti che conoscano la materia in entrambe le direzioni: “spirituale” e ordinamentale. Rappresentanti determinati ad ascoltare le istanze di chi finora è rimasto inascoltato, traducendole poi nel linguaggio delle istituzioni, in modo da incidere efficacemente in riferimento alla loro attuazione, al controllo ed alla proposizione finalizzata al superamento delle difficoltà. Nella prospettiva costituzionale del primato da assegnare al singolo cittadino, ai suoi diritti inviolabili.

Lo Stato è chiamato a garantire un ambito di esercizio dei principi costituzionali coinvolti (Cost. art. 2,18,13,24,3; art. 8,19), così come richiesto dalle Leggi vigenti senza discriminazioni o deroghe. L’indifferenza o la resistenza, che paiono registrarsi nell’azione statale, determina effetti negativi nella esperienza dei milioni di cittadini coinvolti nelle problematiche oggetto della presente riflessione. Occorre, perciò, un approccio “ruffiniano[16]” su questa materia, un interesse attivo in sostituzione dell’attuale sostanziale indifferenza dello Stato, in modo che vi sia una effettiva tutela di questi ambiti sociali con carattere religioso.

Non è facile accostare questioni di diritto laico al mondo della trascendenza religiosa, ma non è impossibile, in quanto previsto dalle Leggi vigenti: fa parte dei doveri del vivere civile e delle necessità ad esso collegate. Infine, non sembra più possibile confinare questo tema alla periferia dell’agenda sociale e politica italiana. La massa di cittadini coinvolti tende, oggi, ad essere più numerosi e consapevoli dei profili di abuso che questo tipo di rapporti sbilanciati possono produrre e le richieste di provvedimenti aumentano corrispondentemente in numero e qualità.

Il tempo dirà fino a che punto questa pressione sociale sarà tollerata dall’attuale sistema ma, infine, una riflessione sulla gestione del fenomeno, anche in considerazione di un punto che non è stato direttamente oggetto della presente analisi, ma costantemente in filigrana. Si tratta di quella miriade di piccoli gruppi non riconosciuti, che non chiedono nulla allo Stato e che tendono ad essere realmente “invisibili”. L’applicazione piena del diritto ad un settore quale quello in oggetto, realizza l’applicazione, in estensione, di tutti i principi di trasparenza ed equità, a tutela di ogni singolo cittadino coinvolto. Una ragione supplementare per adottare una visione ampia, con un carattere politico definito e chiaro nel suo fine: la legalità a tutela di ognuno.

 

Bibliografia

Blake W., Motto alle canzoni di innocenza e di esperienza, Feltrinelli, Milano, 2009.

Chizzoniti A. G., Le certificazioni confessionali nell’ordinamento giuridico italiano, Vita e Pensiero, Milano, 2000.

Dalla Torre G., Lezioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2007.

Finocchiaro F., Diritto ecclesiastico, quarta edizione – Zanichelli, Bologna, 2012.

Gli Istituti di Culti Diversi dalla religione dello Stato, L. 24 giugno 1929, n. 1159, art. 2.

Guzzetta G., “Considerazioni sui rapporti tra libertà di associazione, potere delle confessioni religiose acattoliche e diritti dei fedeli alla tutela giurisdizionale”, Diritto e Società, Fascicolo 1, Napoli, 1999.

McLuhan M., La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione, Armando Editore, Roma, 2003.

Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, 1962.

Mortati M., Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, 1975.

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ufficio del Segretario Generale – Ufficio Studi e Rapporti Istituzionali, L’esercizio della libertà religiosa in Italia, luglio, 2013.

Ruffini F., (1901), La libertà religiosa. Storia dell’idea, Feltrinelli, Milano, 1967.

Voltaire, Dizionario filosofico, Bompiani, Milano, 2013.

Sitografia

http://www.fidr.it/cgi-bin/fonti/6/La%20vigilanza%20sugli%20enti%20di%20culto.pdf

http://www.governo.it/Presidenza/USRI/ufficio_studi/normativa/Legge%2024%20giugno%201929,%20n.1159.pdf

http://www.interno.gov.it/it/ministero/dipartimenti/dipartimento-liberta-civili-e limmigrazione/direzione-centrale-affari-dei-culti

http://www.interno.gov.it/it/temi/cittadinanza-e-altri-diritti-civili/religioni-e-stato/enti-culto-diversi-dal-cattolico-dotati-personalita-giuridica

www.libertàciviliimmigrazione.interno.it

 


  1. In questa sede non affronteremo la questione terminologica né quella di identità giuridica.

  2. http://www.governo.it/Presidenza/USRI/ufficio_studi/normativa/Legge%2024%20giugno%201929,%20n.1159.pdf

  3. http://www.interno.gov.it/it/ministero/dipartimenti/dipartimento-liberta-civili-e-limmigrazione/direzione-centrale-affari-dei-culti; http://www.interno.gov.it/it/temi/cittadinanza-e-altri-diritti-civili/religioni-e-stato/enti-culto-diversi-dal-cattolico-dotati-personalita-giuridica

  4. Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, 1975

  5. www.libertàciviliimmigrazione.interno.it

  6. Idem

  7. http://www.fidr.it/cgi-bin/fonti/6/La%20vigilanza%20sugli%20enti%20di%20culto.pdf

  8. Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ufficio del Segretario Generale – Ufficio Studi e Rapporti Istituzionali, “L’esercizio della libertà religiosa in Italia”, luglio 2013

  9. Chizzoniti A. G., Le certificazioni confessionali nell’ordinamento giuridico italiano, Vita e Pensiero, Milano, 2000

  10. Voltaire, Dizionario filosofico, Bompiani, Milano

  11. www.libertàciviliimmigrazione.interno.it, op. citata

  12. Pace E., Le sette, Il Mulino, Bologna, 1997

  13. Mortati M., Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, 1975

  14. Dalla Torre G., Lezioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2007

  15. William of Ockham, noto in italiano come Guglielmo di Occam (1285 – 1347 ca.)

  16. Ruffini F., (1901), La libertà religiosa. Storia dell’idea, Feltrinelli, Milano, 1967

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