Violenza intra-familiare: focus sulle vittime di sesso maschile

 In Psico&Patologie, Anno 1, N. 3 - settembre 2010

Prima di entrare nel merito di questa breve pubblicazione, è necessario spendere alcune parole per comprendere l’importanza che la famiglia ha all’interno della vita di ognuno di noi e della nostra società in generale.

È chiaro che il concetto di famiglia è complesso e non può esaurirsi nella sola regola giuridica, peraltro anacronistica al giorno d’oggi, che la considera come una “società naturale fondata sul matrimonio, ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” (art. 29 della Costituzione Italiana), e che debba invece essere analizzata secondo matrici umane e sociali largamente estranee al diritto, come verrà illustrato più avanti in riferimento alla disciplina sociologica e psicologica.

Ma è pur vero che quanto definito dalla dottrina giuridica, risponde al dovere di dettare la “norma” rispetto all’istituto che è all’origine della società, che regola non solo il vivere comune ma anche i reciproci rapporti di “dovere” tra individui. In particolare è di notevole interesse in senso criminologico il concetto di uguaglianza morale e giuridica citato dall’art. della Costituzione, che come più avanti vedremo viene invece primariamente violato e rinnegato nelle famiglie in cui sono presenti abusi.

In sociologia, per famiglia si intende sia quella struttura sociale o gruppo i cui membri sono uniti fra loro da legami di parentela, di affetto, di servizio o di ospitalità che vivono o hanno vissuto nello stesso ambiente domestico, sia quell’insieme di individui che, pur non condividendo lo stesso spazio domestico, sono legati da vincoli di filiazione, matrimonio o adozione (il gruppo di parentela o discendenza). In tal senso, avendo la famiglia caratteri di «esclusività, stabilità e responsabilità, essa schematicamente rappresenta l’area: in cui vengono soddisfatti alcuni dei bisogni primari dell’uomo e della donna (soddisfazione sessuale, esigenza di procreazione, accudimento, affettività); di riproduzione del sistema sociale, ma anche di trasmissione ed interiorizzazione dei valori sociali» (Giddens A., 2000).

Secondo la psicologia, la famiglia è principalmente il luogo di condivisione degli affetti, di responsabilità di accudimento e di trasmissione di insegnamenti utili alla crescita, in particolare da parte dei genitori nei confronti dei figli, sebbene non esclusivamente secondo tale ordine di ruolo (considerando dunque una reciprocità di accudimento tra genitori e figli).

Al di là di quanto fino ad ora esposto, senza farsi prendere troppo dalla necessità di trovare la definizione più appropriata, la famiglia va considerata semplicemente come il vivere tutti i giorni “con” l’altro e “per” l’altro, cercando e donando protezione, solidarietà, affetto, e sostegno.

Investire nel sistema familiare comporta da parte dei membri che ne fanno parte l’assunzione di molteplici responsabilità, che a loro volta investono l’individuo anche di uno specifico ruolo sociale e/o culturale, assunto generalmente con amore e naturalezza. Quando tutto ciò viene a mancare, o quando il ruolo all’interno della famiglia viene vissuto come un obbligo che non si riesce o non si può assumere, la famiglia sveste i panni di contenitore rassicurante e protettivo divenendo teatro di violenze, espressione di disgregazione sociale, rinnegamento dei valori e tradimento degli affetti, le cui conseguenze lasciano delle tracce spesso indelebili e durature nella vita dell’individuo che ne è stato vittima. Una dicotomia insomma, quella tra violenza e famiglia, che esiste solo a livello concettuale, e che invece le evidenze dei fatti (e della cronaca) smentiscono.

Il fenomeno della violenza intra-familiare non si limita a “semplici” liti fra partner o tra genitori e figli, né si esaurisce in episodi isolati. Due sono gli elementi che lo caratterizzano: l’esistenza di un rapporto non egualitario fondato sull’esercizio di potere, controllo e sopraffazione di un soggetto su un altro; la presenza di tare esistenti a livello comunicativo, che si sostanzia in distorti e perversi rapporti esistenti tra i soggetti della coppia affettiva, o tra le figure genitoriali ed i figli.

Al di là della specifica fenomenologia con la quale il maltrattamento si verifica, la base comune è rappresentata dalla presenza di un dislivello esistente nella già citata “uguaglianza morale e giuridica dei coniugi[1]tale che, vuoi anche per via dell’esistenza di un retaggio culturale molto forte che è presente nella nostra società, è generalmente la figura maschile della coppia coniugale ad avere dominanza sia nell’organizzazione familiare (intesa anche secondo l’aspetto economico) che nel carattere. Occorre inoltre tenere in considerazione che vi è, tra la donna e l’uomo, una differenza fisica e biologico-costituzionale tale che, difficilmente, la prima possa sopraffare fisicamente con violenza il secondo. In terzo luogo, ed anche in questo caso si tratta di un retaggio culturale e socio-antropologico, appartiene al concetto di “virilità maschile” il mancato riconoscimento di percepirsi come vittime di violenza.

Quanto sopra trova riscontro negli studi condotti sull’argomento, che individuano nei soggetti più deboli – donne (mogli) e minori (figli) – le vittime predefinite dei maltrattamenti intra-familiari.

Le vittime di sesso maschile ed adulti (quindi mariti e/o padri) ricevono un’attenzione minore in quanto passibili effettivamente – sebbene in merito possa riscontrarsi anche un erroneo preconcetto posseduto da molti studiosi – di minoritarie tipologie di violenze. In altre parole i maltrattamenti, che di per sé non dovrebbero avere differenza di genere sessuale in relazione alla vittimologia, molto frequentemente sono specificamente rivolti nei confronti del genere femminile, laddove soprattutto mogli o figlie femmine diventano vittime più vulnerabili di abusi in senso fisico, sessuale, psicologico ed economico.

Alla luce di quanto detto, secondo personale opinione, non si possono trascurare i maltrattamenti operati ai danni della figura maschile che, anche se meno frequenti rispetto a quelli contro la figura femminile, non possono essere tralasciati dagli studi rivolti sull’argomento.

Desiderando quindi analizzare le differenti tipologie di violenze in ambito intra-familiare, allo scopo di cercare di colmare la sentita necessità conoscitiva data dai vuoti interpretativi riscontrati in altre ricerche, riprendendo gli studi della Heise[2] è stata adattata schematicamente la tabella che segue al fine di suddividere tutte le possibili manifestazioni di violenza che si possono attuare in ambito familiare, distinguendo in base a due determinanti: in prima colonna l’età cronologica, ed in seconda e terza colonna la tipologia di vittima, a sua volta distinta per sesso e ruolo familiare. Si specifica che quanto esplicitato fa riferimento alla famiglia intesa come stretto gruppo nucleare costituito dall’unione matrimoniale o affettiva (ovvero non vincolata dal vincolo del matrimonio) di due soggetti, e dalla quale sono nati dei figli; volutamente sono stati escluse tutte quelle dinamiche di maltrattamento che, pur presenti, vengono attuate da altri familiari, come nonni, zii, cugini, etc.

L’età cronologica si estende dalla prenatale alla vecchiaia: si è deciso di mantenere la stessa suddivisione proposta dalla Heise, considerando che una ulteriore classificazione dell’età dell’esistenza non sarebbe stata di nessun vantaggio in merito alla necessità di specificare i maltrattamenti[3]. In altre parole, molti dei maltrattamenti descritti non si riferiscono in via esclusiva ad una sola età, bensì sono riscontrati in più epoche della vita (motivo per cui nella tabella vengono ripetuti), sia come fenomeno che si verifica in modo continuativo e duraturo, sia come fenomeno occasionale e limitato.

La tipologia di vittima riguarda uno qualsiasi degli “attori familiari”, distinto per sesso e ruolo. Mentre alcune forme di maltrattamento trovano distinzione in base al genere sessuale ed al ruolo se trattasi di vittima adulta, nel caso di vittime di età minore non si può adottare la stessa distinzione, in quanto il ruolo costituisce una categoria unitaria ed il genere sessuale appare non influente. Tabella 1 – Le diverse tipologie di maltrattamenti intra-familiari (Pomilla A., 2010)

Tipo di violenza: le vittime

Prenatale
Uomini (mariti, padri) Donne (mogli, madri) Figli/e
  Percosse durante la gestazione della gravidanza; Gravidanza forzata; Aborto selettivo e/o forzato; Sterilizzazione forzata Malformazioni morfostrutturali, cardiocircolatorie, respiratorie, neuropsicologiche, etc… Causate da: abusi o dipendenza da sostanze psicotrope, alcol, fumo o farmaci da parte della madre durante la gestazione; Aborti forzati e/o selettivi per sesso (es. Cina) Femminicidi; Condotte di vita e sessuali deliberatamente pericolose per la gravidanza
Infanzia
Uomini (mariti, padri) Donne (mogli, madri) Figli/e
    Abusi fisici e percosse; Incesto ed abusi sessuali; Maltrattamenti emotivi; Incuria fisica e/o emotiva; Differenze nell’erogazione delle cure, nell’assistenza medica, nella protezione nei confronti di figlie femmine; Costrizione alla prostituzione minorile e/o schiavitù sessuale; Sfruttamento lavorativo; Tratta; Mutilazioni Genitali Femminili[4] o Sterilizzazione Forzata; Infanticidio; Infanticidio istituzionalizzato per controllo demografico Femminicidi; Contenziosi tra genitori per ottenere l’affidamento dei figli in casi di separazione e divorzio; Violenza assistita
Adolescenza
Uomini (mariti, padri) Donne (mogli, madri) Figli/e
  Abusi fisici e percosse; Abusi psicologici; Abusi o incuria emotiva; Sessualità forzata o stupro coniugale; Prostituzione forzata e/o schiavitù sessuale; Sfruttamento lavorativo; Percosse durante la gestazione della gravidanza; Gravidanza forzata; Aborto selettivo e/o forzato; Sterilizzazione forzata; Isolamento e segregazione; Stalking; Mobbing intrafamiliare; Gaslighting (una forma particolare di mobbing intra-familiare, che vede uno dei due coniugi esercitare vari tipi di violenze morali sull’altro, come ad esempio: l’emissione di apprezzamenti offensivi in pubblico, vittimizzazioni e provocazioni continue, sottrazione di beni comuni)[5]; Uxoricidio; Omicidio da parte dei figli; “Dowry Death” (assassinio o induzione al suicidio della donna per appropriarsi della dote) Screditamento del coniuge come figura genitoriale per ottenere l’affidamento esclusivo dei figli (nei casi di separazione/divorzio). Abusi fisici e percosse; Incesto ed abusi sessuali; Maltrattamenti emotivi; Incuria fisica e/o emotiva; Differenze nell’erogazione delle cure, nell’assistenza medica, nella protezione nei confronti di figlie femmine; Costrizione alla prostituzione minorile e/o schiavitù sessuale; Sfruttamento lavorativo; Tratta; Mutilazioni Genitali Femminili o Sterilizzazione Forzata; Figlicidio; Contenziosi tra genitori per ottenere l’affidamento dei figli in casi di separazione e divorzio; Violenza assistita
Età adulta
Uomini (mariti, padri) Donne (mogli, madri) Figli/e
Negazione della paternità; Limitazioni o negazione, da parte della madre sul padre, dell’accudimento alla prole (anche con limitazione delle visite, se genitori separati); Abusi fisici e percosse; Abusi emotivi e/o psicologici; Stalking; Sfruttamento lavorativo; Costrizione ad avere figli; Gaslighting; Screditamento del coniuge come figura genitoriale per ottenere l’affidamento esclusivo dei figli (nei casi di separazione/divorzio); Sottrazione dei figli a danno della figura paterna. Abusi fisici e percosse; Abusi psicologici; Abusi o incuria emotiva; Sessualità forzata o stupro coniugale; Prostituzione forzata e/o schiavitù sessuale; Sfruttamento lavorativo; Percosse durante la gestazione della gravidanza; Gravidanza forzata; Aborto selettivo e/o forzato; Sterilizzazione forzata; Isolamento e segregazione; Stalking; Mobbing intrafamiliare; Gaslighting; Uxoricidio; Omicidio da parte dei figli; “Dowry Death” (assassinio o induzione al suicidio della donna per appropriarsi della dote); Screditamento del coniuge come figura genitoriale per ottenere l’affidamento esclusivo dei figli (nei casi di separazione/divorzio). Abusi fisici e percosse; Incesto ed abusi sessuali; Maltrattamenti emotivi; Incuria emotiva; Prostituzione forzata e/o schiavitù sessuale; Tratta; Figlicidio
Vecchiaia
Uomini (mariti, padri) Donne (mogli, madri) Figli/e
Abusi per finalità di profitto economico e/o di appropriazioni di beni immobiliari o lasciti; Circonvenzione; Incuria e/o Abbandono; Abusi fisici e/o psicologici; Omicidio da parte dei figli. Abusi per finalità di profitto economico e/o di appropriazioni di beni immobiliari o lasciti; Circonvenzione; Incuria e/o Abbandono; Abusi fisici e/o psicologici; Omicidio da parte dei figli.  

Come si può vedere, la tabella contempla una svariata tipologia di abusi che possono avvenire in ambito intra-familiare, attuati da parte di uno dei coniugi verso l’altro, o da parte del genitore nei confronti del figlio o viceversa.

Alcune ulteriori considerazioni possono essere utili per comprendere la tabella:

  • in primo luogo, sebbene come detto in precedenza la violenza non dovrebbe distinguere in base al genere sessuale della vittima, in alcuni casi per specifiche forme di violenza la stessa ha valore differente in base a tale variabile. Pensiamo ad esempio a violenze quali gravidanze o aborti forzati, mutilazioni genitali femminili, etc: esse coinvolgono una vittima di sesso femminile in maniera “diretta” (ovvero la violenza viene direttamente perpetrata su tali vittime), mentre solo in modo “indiretto” verso una vittima di sesso maschile (ovvero, un padre cui viene negata la paternità, oppure nel caso in cui la stessa venga obbligatoriamente imposta);
  • in secondo luogo, sebbene sia stato più volte sostenuto che la violenza intra-familiare non conosce ceto sociale o razza o etnia, è pur vero che alcune forme di violenze sono strettamente connesse all’appartenenza culturale (in tal senso, si tratta di culture related abuse). In altre parole in determinate culture – come ad esempio quelle orientali di Corea, Cina e Giappone, oppure in quelle dei paesi Arabi, o ancora in quelle africane – alcune tipologie di comportamenti che per la nostra cultura europea assumono nome di “abusi o maltrattamenti”, per loro non lo sono ed hanno piuttosto carattere di normalità, come ad esempio nel caso delle mutilazioni genitali femminili, oppure nella segregazione-isolamento, o ancora nel caso del controllo o dello sfruttamento economico o lavorativo.

Desiderando ulteriormente definire l’oggetto su cui si scrive, sono infine da considerare le motivazioni che comportano l’attuazione di tali violenze.

La letteratura riporta in tal senso che, affinché si possa parlare propriamente di violenze intra-familiari, siano da escludere da tali manifestazioni tutte quelle che in qualche modo dipendono da determinate condizioni ambientali o sociologiche.

Non sono dunque da considerarsi forme di incuria fisica, tutte quelle che si attuano in specifiche condizioni di disagio sociale, svantaggio economico e povertà, che impediscono da parte dei genitori di possedere i mezzi necessari ad una adeguata offerta di cure nei confronti della prole.

Per essere specificata in quanto tale, la violenza deve contemplare l’esistenza di una volontarietà di azione: deliberate mancanze di accudimento attuate da parte dei genitori nei confronti dei figli, consapevoli azioni lesive sul piano fisico, comportamenti denigratori in qualità di violenza psicologica, o ancora atteggiamenti offensivi dell’altrui dignità umana. Anche nel caso della ricerca delle motivazioni della violenza, si trova utile non attuare una distinzione tra genere sessuale, in quanto pur nella variabilità individuale possono essere riscontrate delle caratteristiche comuni che non distinguono tra l’essere donna o uomo.

Se si accoglie questa considerazione, allo scopo di stabilire la causalità delle azioni violente, si possono dunque considerare i seguenti elementi:

  • la mancata accettazione dell’alterità: l’altro non viene considerato come persona, portatore di personali diritti, bisogni e necessità, bensì come un’estensione del proprio Sé, e dunque un oggetto di cui disporre secondo propria necessità, esercitando potere ed influenza;
  • un utilizzo perverso del potere, con manipolazione ed annullamento dell’altro da sé;
  • la presenza di un atteggiamento predatorio: il soggetto che ne è portatore agisce nei confronti dell’altro attraverso comportamenti che tendono ad affermare la sua supremazia;
  • la mancata integrazione della parte istintuale, ovvero l’incapacità di controllare i normali e fisiologici impulsi di cui ogni persona è dotata, o di mediare gli stessi attraverso componenti più razionali o socialmente accettabili.

 

Bibliografia

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Baldry A.C, Dai maltrattamenti all’omicidio. La valutazione del rischio di recidiva e dell’uxoricidio, Franco Angeli, Milano, 2009.

Burdese B., Manuale di diritto privato romano, Utet, Torino, 2000.

Cirillo S., Di Blasio P., La famiglia maltrattante. Diagnosi e terapia, Raffaello Cortina, Milano, 1998.

Costanzo S., Famiglie di sangue. Analisi dei reati in famiglia, Franco Angeli, Milano, 2003.

Fawcett B., Flatherstone B., Hearn J., Tofb C., Violence and Gender Relation, Sage Publication, 1998.

Giddens A. (2000), Fondamenti di sociologia, il Mulino, Bologna (Trad. Ita. a cura di Barbagli M., Baldini M., 2006).

Hirigoyen M.F., Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, 2005.

Palermo G.B, Palermo M.T., Affari di famiglia, Ed. Magi, 2003.

Quilici M., Storia della paternità. Dal pater familias al mammo, Fazi Editore, Roma, 2010.

AA.VV., Differences in Frequency of Violence and Reported Injury Between Relationships With Reciprocal and Nonreciprocal Intimate Partner Violence, 2007: http://ajph.aphapublications.org/cgi/content/abstract/97/5/941

Straus M.A, Dominance and symmetry in partner violence by male and female University students in 32 Nations, Family Research Laboratory, University of New Hampshire, Durham, NH 03824, United States, 2007: http://pubpages.unh.edu/~mas2/ID41-PR41-Dominance-symmetry%20-%20corrected-pg255.pdf


[1] Precetto già a sua volta sostitutivo dell’antica “patria potestà” del pater familias, ovvero dello specifico ruolo di autorità posseduto dal padre all’interno del contesto familiare, tale che egli avesse per legge sia il diritto di vita che di morte sui propri figli, nonché il diritto di esercitare il proprio potere sulla moglie, punendola, ripudiandola o uccidendola in presenza di “giuste” cause come ad esempio l’adulterio (Burdese B., 2000, pag. 221)

[2] La studiosa Lori L. Heise è autrice di numerosi studi e pubblicazioni in merito alle violenze intra-familiari, e nello specifico a danno di vittime di sesso femminile, minori o adulte. In Violence Against Women: The Hidden Health Burden (World Bank Discussion Paper, The World Bank, Washington DC, 1994) ha specificato in una tabella le diverse forme di maltrattamenti che le donne possono subire nell’arco della vita, in ambito intra ed extra familiare.

[3] È chiaro che ognuna delle fasi cronologiche considerate hanno, di per sé, una ulteriore specifica in merito alle età che la costituiscono. Così, ad esempio, non basta parlare di “Infanzia”, in quanto essa è a sua volta divisa in “prima infanzia” (con età 1/5 anni) ed “infanzia” (con età 6/10 anni); così come per “Adolescenza” si intende il range 11/16 anni, cui segue poi la “Pubertà” dai 17/19 anni. L’“Età Adulta” è a sua volta distinta in “età adulta” (con età 20/40 anni), cui segue poi la “Maturità” dai 40/60 anni; ed infine la “Vecchiaia” è dai 60 anni in poi. Occorre poi dire che la suddivisione delle età dell’esistenza non si ricollega al concetto giuridico di “maggiore età”, che nel nostro Stato è fissata dai 18 anni in poi, ma sposta leggermente il limite in considerazione sia del presunto raggiungimento della maturità personale, che del raggiungimento di una maggiore autonomia sociale ed economica.

[4] Secondo quanto definisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le Female Genital Mutilation vengono definite come «procedure che intenzionalmente alterano o offendono gli organi genitali femminili per motivi non medici». Tali pratiche, attuate per motivi e credenze culturali, religiose o sociologiche, sono tipiche di numerosi paesi dell’Africa (Egitto, Etiopia, Yemen, Nord Sudan, Nigeria) e dell’Asia (Emirati Arabi, Indonesia, India, Malesia) e si costituiscono in qualità di “escissione” (ablazione totale o parziale del clitoride o delle piccole labbra) o “infibulazione” (cucitura grandi labbra) (WHO (nd): http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs241/en/)

[5] La “Sindrome del Gaslighting” prende il nome dal film del regista americano Georg Cukor “Gaslight” (1944), titolo poi riadattato nella versione italiana “Angoscia”. Si tratta di un melodramma psicologico in cui l’affascinante marito di una bella donna lentamente la induce, appunto con meccanismi di manipolazione mentale, sull’orlo della pazzia.

Fiore e Ombre - cc mbd.marco

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