Cyberbullismo: riflessi psico-sociologici e strumenti giuridici

 In @buse, N. 4 - dicembre 2019, Anno 10

Nel 1996 la 498° Assemblea Mondiale della Sanità ha adottato la risoluzione WHA 49.25, in cui si è dichiarato che «la violenza è un problema di salute pubblica di fondamentale importanza e in progressiva espansione in tutto il mondo»: ad oggi il bullismo è la forma di violenza più diffusa tra i bambini e i giovani (WHO 2014).

Si tratta di una forma di comportamento sociale di tipo violento, vessatorio ed intenzionale, attuato sia in forma fisica che psicologica e ripetuto nel tempo a danno di persone considerate bersagli facili perché incapaci di difendersi: è una vera e propria violazione dei diritti umani, come sancito dalla Convenzione dei Diritti del Fanciullo (1989), incluso il diritto di un bambino o di un adolescente all’educazione e a crescere in un ambiente sereno e sicuro (Greene, 2006) (Risoluzioni OMS e ONU) .

I primi studi sul bullismo furono svolti nei paesi scandinavi a partire dalla seconda metà del XX secolo da colui che ancora oggi è considerato il pioniere della materia, primo studioso capace di approcciarsi al fenomeno con piglio scientifico: si tratta del norvegese Dan Olweus, il quale diede del bullismo una definizione tanto “secca” quanto appropriata: «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da uno o più compagni».

Da allora il fenomeno è cresciuto in maniera dilagante e di conseguenza vi è stata una crescente attenzione da parte delle scienze sociali, della psicologia, della cronaca giornalistica e del diritto, e per quanto sia molto difficile darne una definizione univoca, è possibile tuttavia individuare le caratteristiche generali del fenomeno in questa descrizione:

«Il termine bullismo non indica qualsiasi comportamento aggressivo o comunque gravemente scorretto nei confronti di uno o più […], ma precisamente […] un insieme di comportamenti verbali, fisici e psicologici reiterati nel tempo, posti in essere da un individuo, o da un gruppo di individui, nei confronti di individui più deboli. […] La debolezza della vittima o delle vittime può dipendere da caratteristiche personali […] o socioculturali […]. I comportamenti (reiterati) che si configurano come manifestazioni di bullismo sono vari, e vanno dall’offesa alla minaccia, dall’esclusione dal gruppo alla maldicenza, dall’appropriazione indebita di oggetti […] fino a picchiare o costringere la vittima a fare qualcosa contro la propria volontà[1]».

Da essa si ricava che per poter catalogare un atto di violenza come bullismo devono sussistere i seguenti requisiti, ed in assenza anche solo di uno di essi ci si ritrova al cospetto di altre forme di aggressività:

  • Squilibrio di potere tra il bullo e la vittima;
  • Persistenza nel tempo dell’atto aggressivo;
  • Intenzionalità del bullo di nuocere alla vittima.

Il bullismo si sviluppa in un gruppo di pari in cui ogni membro gioca uno specifico ruolo: innanzitutto vi è il “bullo”, colui che pone in essere atti di prepotenza, soggetto che è stato a sua volta vittima di abusi soprattutto durante l’infanzia, sempre alla ricerca di emozioni estreme, incapace di cogliere i segnali emotivi che provengono dall’altro, stabilisce rapporti interpersonali improntati sulla prevaricazione, arrivando al punto di de-umanizzare la vittima per giustificare le sue forme di aggressività e di violenza.

Oggetto delle sue “attenzioni deviate” è la “vittima”, persona fisica dotata di scarsa autostima, ansiosa ed insicura, che manifesta enorme difficoltà a reagire ai soprusi e che quindi contrasta gli attacchi del bullo chiudendosi in sé stessa. Proprio a causa della sua incapacità a scoraggiare i tentativi di approccio deviante del bullo, ne diviene la sua “vittima” preferita: infatti è stato riscontrato che tutte le vittime di bullismo sono soggetti con elevata predisposizione alla vittimizzazione, intesa come estrema vulnerabilità agli attacchi ed altrettanta incapacità di difendersi.

Nel rapporto bullo-vittima si innesta una terza figura, ovverosia il “complice”, colui che pur non assumendo il ruolo di bullo compie comunque atti di denigrazione della vittima e/o supporto del bullo, con cui vive un rapporto di soggezione temendo di diventarne a sua volta vittima.

Ed infine nello scenario vessatorio rinveniamo “gli osservatori o i silenti”, ovvero coloro che stanno a guardare e non fanno nulla per contrastare quelle azioni che danneggiano i compagni più fragili.

Esistono diversi tipi di bullismo, catalogabili in bullismo diretto e bullismo indiretto: quest’ultimo è meno visibile del primo e più sottile, subdolo, in quanto tende a danneggiare la vittima nelle sue relazioni con le altre persone, escludendola e isolandola con pettegolezzi e calunnie in suo danno

Il bullismo diretto è invece caratterizzato da una relazione diretta tra bullo e vittima e si può estrinsecare nelle varie forme di bullismo fisico (calci, spintoni, sputi, molestia sessuale, furto, danneggiamento di oggetti personali); bullismo verbale (parole di scherno, offensive, sgradevoli, minacce); bullismo psicologico (esclusione della vittima dal gruppo o diffusione di false voci sul suo conto); cyber-bullismo o bullismo elettronico, che è una nuova forma di bullismo e ad oggi sicuramente tra le più diffuse e preoccupanti.

Il cyber-bullismo consiste in atteggiamenti e comportamenti finalizzati ad offendere, spaventare, umiliare la vittima tramite i mezzi elettronici (e-mail, messaggeria istantanea, blog, telefoni cellulari, siti web).

A essere colpiti dal bullismo on-line sono soprattutto i giovanissimi di età compresa tra i 12 e 16 anni i quali facendo un uso spasmodico del web molto spesso, anche a causa della loro inesperienza, finiscono nel mirino dei cyber bulli, i quali prendono di mira chi è ritenuto “diverso” dal punto di vista caratteriale, estetico, economico o di orientamento sessuale. Quasi sempre cyberbullo e vittima frequentano la stessa scuola, e ciò che maggiormente colpisce è che la stragrande maggioranza degli atti di cyberbullismo è commesso attraverso il pc scolastico, a testimonianza del fatto che fuori dalle mura domestiche vi è una maggiore spersonalizzazione dell’individuo e una maggior attitudine a far emergere il proprio “lato negativo” attuando condotte illegittime e di prevaricazione.

A contrasto del fenomeno un ruolo preponderante assumono sia la famiglia che la scuola, chiamate a svolgere, ognuno per quanto di propria competenza, un compito di prevenzione, vigilanza e controllo nei confronti dei minori, e tale determinante ruolo emerge non solo dall’analisi sociologica del fenomeno (v. infra), ma anche dalle pronunce rese dai Giudici che negli ultimi anni si sono trovati a fronteggiare il problema, sempre più consci che la lotta al fenomeno passa necessariamente attraverso le due maggiori istituzioni nelle quali vivono gli adolescenti.

Solo per citare alcune delle sentenze in materia, si è ritenuto che i genitori sono responsabili, ex art. 2048 c.c., per la condotta dei figli che durante una gita scolastica legano, imbavagliano e costringono un compagno di classe a bestemmiare, filmando e diffondendo in rete il tutto, in quanto da tale condotta e dalle modalità del fatto emerge l’inadeguatezza e addirittura la carenza dell’educazione impartita al minore, espressione del mancato adempimento dei doveri imposti ai genitori dall’articolo 147 del Codice civile[2].

Per quanto riguarda invece l’Istituto Scolastico, perché si possa escludere la responsabilità contrattuale nei casi di bullismo durante l’orario scolastico, il personale scolastico deve dimostrare di aver adempiuto ai propri doveri di educazione e vigilanza alla luce del parametro della diligenza esigibile, ad esempio attraverso la supervisione dei ragazzi durante la ricreazione e durante gli spostamenti da una classe all’altra[3].

Il filo conduttore di queste sentenze è l’indiscusso diritto del minore a rinvenire un clima armonioso sia all’interno della famiglia che della scuola, e questo deve essere garantito innanzitutto da genitori presenti e attenti, capaci di impartire ai propri figli una educazione corretta e sana, in ciò supportati da insegnanti e dirigenti scolastici che vigilino attentamente per scongiurare episodi di bullismo capaci di mettere a serio rischio l’equilibrio psichico dei minori.

 

Aspetti psico-sociologici del fenomeno

La comunicazione mediata dalla tecnologia e l’accesso ai contenuti del web costituiscono oramai parte della quotidianità di bambini e adulti, e rappresenta una nuova realtà che bisogna imparare a gestire, con le sue regole, i suoi pericoli e allo stesso tempo con le grandi opportunità che sa offrire.

La ricerca psicologica e sociologica degli ultimi anni si è interessata a questo argomento così attuale e delicato, concentrandosi sull’uso eccessivo e patologico di internet e del cyber spazio, capace di dar luogo ad una dipendenza conosciuta con il termine inglese Internet addiction disorder (IAD), inserita nel 2013 tra le malattie del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM).

Andando a scandagliare nei meandri più nascosti della psiche umana alla ricerca delle motivazioni più recondite che originano tale devianza, emerge che il cyberbullo assume un atteggiamento aggressivo e violento allo scopo di ottenere visibilità e riscuotere dal mondo esterno tutte quelle attenzioni che non riceve nel contesto socio-familiare in cui vive: per fare ciò assume una nuova identità virtuale (nickname) che lo rende forte nel compiere atti disinibiti e aggressivi, che mai avrebbe il coraggio di compiere nel mondo reale.

Ed è proprio questo aspetto che differenzia il bullo dal cyberbullo: il primo ha il “coraggio” delle proprie azioni, si “espone” nel perseguitare la vittima designata, il cyberbullo invece si nasconde, si cela dietro un’identità falsa, si spersonalizza, crede di essere invisibile, e allo stesso modo gli appare la vittima, da lui concepita come un’entità anonima, scevra di emozioni o sentimenti: ciò che manca al cyberbullo è la capacità di comprendere che la vittima sta soffrendo, di percepire i sentimenti di angoscia e di paura che il dolore, la mortificazione e l’umiliazione provocano in lei.

Sul punto gli studi di psicologia sociale ritengono che la “distanza sociale” intesa come chiusura relazionale di un soggetto nei confronti di altri percepiti e riconosciuti come differenti (che è il movente di tanti atti di violenza), negli scambi comunicativi on-line è amplificata a dismisura: per il bullo la vittima non è un essere vivente capace di provare emozioni e sentimenti, bensì un’entità indefinita e amorfa, è “altro” con cui egli non vuole relazionarsi se non nella misura in cui può diventare oggetto delle sue attenzioni deviate.

Rispetto al bullismo tradizionale il cyberbullismo mostra diversi elementi di novità, che derivano propriamente dalle modalità interattive mediate dalle nuove tecnologie: l’aspetto più immediato è l’anonimato del bullo, che rende difficile per la vittima risalire da sola al molestatore. L’anonimato è destinato comunque ad essere svelato nel tempo dagli esperti delle Forze dell’Ordine che, grazie agli sviluppi scientifici, nel corso degli ultimi anni hanno fatto passi da gigante al punto che ad oggi non c’è comunicazione elettronica che non lasci traccia e che permetta di risalire al suo autore.

Al contempo l’anonimato è un fattore capace di attenuare le remore morali del bullo, capace di osare, fare e dire, nel mondo virtuale, cose impensabili nella vita reale.

L’ulteriore caratteristica peculiare è rappresentata dall’ assenza di limiti spazio-temporali, in quanto il cyberbullismo colpisce la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico: in passato le vittime, rientrando a casa, trovavano quasi sempre un rifugio sicuro, un luogo che le proteggeva dalle ostilità, dalle prevaricazioni e dalle angherie dei bulli, invece oggi la tecnologia permette ai persecutori di materializzarsi in ogni momento, di infiltrarsi nelle case delle vittime, perseguitandole con messaggi, immagini,video offensivi inviati con l’ausilio di internet. La persistenza delle informazioni diffuse e l’accessibilità illimitata aggravano la vulnerabilità della vittima, che non è in alcun luogo al riparo degli attacchi del suo persecutore.

Il cyberbullismo può assumere diverse connotazioni (la pubblicazione on line di informazioni spiacevoli ed imbarazzanti su un’altra persona, l’estromissione deliberata di una persona da un gruppo on-line, l’invio reiterato di messaggi offensivi), e la forma più frequente è il flaming che consiste nell’invio on-line di messaggi violenti e volgari finalizzati a provocare battaglie verbali in un forum.

Il fenomeno si origina dalla possibilità che viene offerta ad ogni utente di un forum di “ritagliarsi” un proprio spazio nella rete, al quale l’utente si attacca in modo quasi ossessivo, con l’effetto che egli intensifica la propria presenza nell’ambiente, posta continuamente messaggi, chatta per ore, fino al punto di non poter più fare a meno di vivere in tale contesto, e nel momento in cui un altro utente minaccia o invade lo status acquisito, si reagisce mettendo in atto il flaming e attaccando quello che si ritiene essere il nemico, colui che ha osato invadere il proprio terreno.

Il cyberbullismo nasce principalmente dal bisogno che hanno i ragazzi di sentirsi parte della comunità virtuale ove vi è una irrefrenabile spinta all’auto-esposizione e alla condivisione di dati e informazioni di vario genere, per cui diventa essenziale controllare, monitorare e guidare tale bisogno sotto l’aspetto giuridico, sociologico, culturale e psicologico.

Sicuramente è necessario creare maggiore consapevolezza del ruolo attivo di ogni utente del web, bambino o adulto che sia, sulla responsabilità dei dati caricati, comunicati e scambiati e sulle accortezze e le buone pratiche da mettere in atto.

In tale contesto un ruolo determinante svolge l’attività preventiva posta in essere dalla famiglia e dalla scuola, chiamati ad accompagnare i ragazzi nell’utilizzo consapevole della rete e di contribuire alla formazione di una nuova cultura della protezione dei dati e della riservatezza propria e degli altri.

Famiglia e scuola devono essere i protagonisti delle campagne di sensibilizzazione a prevenzione e contrasto del fenomeno: prevenire il bullismo e il cyberbullismo significa, innanzitutto, informare e formare i docenti, i genitori e gli studenti, accompagnando i ragazzi nello sviluppo delle capacità di decodifica e interpretazione delle emozioni altrui e nella promozione di comportamenti socializzanti anche on-line. Occorre poi favorire atteggiamenti empatici nel gruppo dei pari al fine di favorire una maggiore responsabilizzazione e promuove comportamenti di aiuto reciproco.

Oltre a potenziare le campagne di sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno per scongiurare il verificare di atti di violenza, bisogna al contempo tessere una rete capace di “intervenire sull’emergenza” per affrontare gli episodi di bullismo che non si sono riusciti ad evitare, per aiutare e gestire tutti i “protagonisti”.

Innanzitutto è essenziale una attività di sostegno morale e psicologico a favore della vittima senza in alcun modo minimizzare il suo disagio, ma al contrario dando adeguato supporto e accoglienza alla sua sofferenza. Non bisogna infatti dimenticare che gli effetti del cyberbullismo sono ancora più devastanti di quelli del bullismo in quanto nella dimensione virtuale gli atti di violenza spesso non possono essere cancellati o comunque, quando lo sono, si sono già diffusi in modo incontrollabile, con l’effetto di generare ferite inguaribili: la vergogna, l’imbarazzo, l’isolamento sociale della vittima e gli attacchi di panico possono addirittura arrivare ad atti estremi come i tentativi di suicidio.

Un recente studio (Duke University Durhan Carolina del Nord) ha dimostrato che le vittime del bullismo vivono un trauma che non scompare crescendo ma che li avvia ad un futuro di adulti ansiosi, con disturbi depressivi, attacchi di panico e intenzioni suicide. Questo studio condotto su quasi 4.300 ragazzi, ha dimostrato che le conseguenze delle angherie dei bulli durano anche per anni e sono tanto più gravi quanto più a lungo il bambino è stato vessato dai compagni prepotenti, rovinando la sua salute fisica e mentale ed erodendone l’autostima. Si rende pertanto necessaria una adeguata attività di supporto alla vittima, per cercare di arginare le conseguenze negative degli atti di violenza subiti, ed evitare che l’adolescente violato possa diventare un adulto disturbato.

In tutto ciò non bisogna però mai dimenticare che gli atti di bullismo e le forme di aggressività adolescenziale sono sinonimi di debolezza, insoddisfazione, frustrazione, disagio emotivo, affettivo e relazionale, quindi l’emergere di una situazione di bullismo offre l’opportunità di aiutare anche il bullo, a sua volta vittima di un sistema relazionale errato che deve essere avviato verso un percorso educativo.

Interventi normativi per contrastare il fenomeno: Legge 29.5.2017 n. 71

Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un crescente interessamento del Legislatore nei confronti del fenomeno del cyberbullismo per cercare di arginarne l’espansione.

Già il DL 93/2013 prevedeva un aggravamento ordinario, pari ad un terzo, della pena stabilita per il reato di atti persecutori –stalking –nel caso in cui il fatto sia commesso “attraverso strumenti informatici o telematici”.

Nella piena consapevolezza che il fenomeno trova la sua massima espressione all’interno delle scuole, nel 2014 il Ministero della Pubblica Istruzione emanava una direttiva (“Direttiva sul cyberbullismo”, 15 marzo 2014) al fine di contrastare il cyberbullismo e disciplinare l’utilizzo delle risorse informatiche e tecnologiche negli istituti scolastici.

La Direttiva stabiliva innanzitutto che venisse trattato con estrema severità l’uso dei telefonini da parte di studenti durante l’orario scolastico, essendo questo il principale strumento per attuare prepotenze nei confronti dei compagni.

In secondo luogo proponeva la redazione di un regolamento interno alla scuola per disciplinare l’utilizzo delle risorse informatiche, e tanto è stato fatto ritenendo doveroso, oltre che necessario, disciplinare il ricorso alla strumentazione tramite una serie di regole tecniche: per esempio i PC messi a disposizione dei minori non dovrebbero essere liberamente accessibili, la connessione dovrebbe essere subordinata all’utilizzo di credenziali di autenticazione, e poiché l’ onere di vigilare sul rispetto di tali norme incombe sulla scuola e l’omissione di tale controllo genera una responsabilità giuridica in capo all’Istituto Scolastico.

Gli interventi normativi testé richiamati hanno posto le basi per l’emanazione della Legge 29.5.2017 n. 71 pubblicata in G.U. del 03.06.2017, recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del Cyberbullismo”.

L’intero assetto normativo è fondato su un approccio tendenzialmente educativo e non repressivo, con azioni a carattere preventivo che hanno come obiettivo la tutela ed educazione di tutti i minori coinvolti, siano essi vittime o responsabili di illeciti: l’unica misura sanzionatoria aggiuntiva prevista nei confronti del minore che abbia compiuto atti di cyberbullismo è infatti rappresentata dall’ammonimento esperibile fino all’eventuale querela o denuncia.

Il fenomeno del cyberbullismo – definito espressamente come «qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo»– deve sì essere contrastato «in tutte le sue manifestazioni», ma questo contrasto deve concretizzarsi in «azioni a carattere preventivo», espressione di una «strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime che in quella di responsabili di illeciti», ed assicurando interventi nell’ambito delle istituzioni scolastiche senza alcuna distinzione d’età.

La maggior parte degli interventi previsti dalla norma sono destinati a trovare attuazione nelle scuole, a ulteriore conferma da un lato del ruolo determinante che essa svolge nella formazione non solo professionale ma soprattutto umana dei ragazzi, e dall’altro che essa rappresenta il “luogo” preferito dai cyberbulli per mettere in atto le proprie condotte illegali.

Innanzitutto ogni Istituto Scolastico dovrà individuare fra gli insegnanti un referente che si occupi di coordinare le varie iniziative attivate; al preside spetterà un compito di supervisione e vigilanza in materia, nonché l’onere di informare tempestivamente i soggetti che esercitano la responsabilità genitoriale o i tutori dei minori coinvolti in atti di cyberbullismo e attivare adeguate misure di assistenza alla vittima e al contempo azioni di carattere educativo nei confronti dell’autore, sempre che il fatto non costituisca reato.

Se i singoli Istituti Scolastici sono chiamati ad operare “sul campo” educando alla legalità, il MIUR ha il compito “più teorico” di predisporre piani di prevenzione e contrasto, sia attraverso la formazione del personale scolastico e la promozione di un ruolo attivo degli studenti, che attraverso la predisposizione di una adeguata campagna di sensibilizzazione e monitoraggio del fenomeno.

Punto centrale del provvedimento normativo è lo speciale rimedio previsto a tutela della dignità della vittima di cyberbullismo, il cosiddetto “diritto all’oscuramento”: ciascun minore ultraquattordicenne che abbia subìto atti di cyberbullismo (o un soggetto esercente responsabilità sullo stesso) può infatti adire il titolare del trattamento o il gestore del sito internet al fine di ottenere «l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet»; in caso di mancata risposta entro 48 ore, l’interessato può rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali che interverrà nelle successive 48 ore.

Così articolata la procedura mira a bilanciare da un lato l’interesse alla rimozione dei contenuti ritenuti lesivi e dall’altro il diritto all’informazione del resto degli utenti della rete, attraverso il ricorso in prima istanza al titolare del trattamento dei dati e, solo in seconda battuta, al Garante per la protezione dei dati personali.

È stata inoltre estesa al cyberbullismo la procedura di ammonimento prevista in materia di stalking quale forma di repressione del fenomeno. In caso di condotte di ingiuria (art. 594 c.p.), diffamazione (art. 595 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.) e trattamento illecito di dati personali (art. 167 del codice della privacy) commessi mediante internet da minori ultraquattordicenni nei confronti di altro minorenne, fino a quando non è proposta querela o non è presentata denuncia, è applicabile la procedura di ammonimento da parte del questore, i cui effetti cessano al compimento della maggiore età.

L’assetto normativo concepito dal nostro Legislatore è sicuramente degno di plauso, soprattutto considerato che si tratta di un provvedimento normativo destinato a far scuola in materia in quanto primo in ambito Europeo specificamente dedicato al contrasto del fenomeno del Cyberbullismo.

Per quanto vada riconosciuto il merito di aver affrontato e regolamentato una materia “vergine” ed in continua evoluzione, e pur nel rispetto dell’impegno profuso per dar vita a tale legge, non ci si può esimere dal formulare alcuni rilievi critici.

Il primo dubbio che sorge è relativo agli effetti pratici del “diritto all’oscuramento”: infatti una volta che un determinato contenuto è stato caricato su internet, per quanto breve sia stata la sua permanenza in rete, è stato nella piena disponibilità di una platea indefinita di soggetti che se ne sono potuti appropriare e magari ritrasmetterlo, per cui imporre ad uno o più gestori di siti internet di rimuovere un singolo contenuto, di per sé, non offre alcuna garanzia rispetto al fatto che detto contenuto non venga riproposto da altro sito rendendo del tutto vana l’intera procedura.

Probabilmente una tutela più effettiva si sarebbe potuta garantire attraverso la rimozione degli URL di interesse dai risultati dei c.d. motori di ricerca, che rappresentano il “primo tramite” attraverso il quale gli utenti accedono alle informazioni in rete.

E proprio su tale aspetto, relativo alla individuazione degli operatori tenuti alla rimozione dei contenuti offensivi e violenti, si individua la “faglia” della legge, la quale ha escluso dal novero dei “gestori del sito Internet”, e quindi dagli obblighi di rimozione del contenuto lesivo, gli access provider (cioè i provider che forniscono connessione ad Internet), nonché i cache provider, cioè i provider che memorizzano temporaneamente siti web, e i motori di ricerca: in pratica la responsabilità di rimuovere i contenuti lesivi è solo in capo a gestori e piattaforme che inseriscono i contenuti stessi, vale a dire social network e gestori di messaggistica istantanea e di siti web, con esclusione dei “motori di ricerca” i quali, di fatto, sono i primi ‘controllori’ dei dati presenti su internet.

Un altro grande limite nel contrasto al fenomeno è rappresentato, come si accennava sopra, dalla totale assenza di regolamentazione a livello internazionale, e questa è certamente una gravissima lacuna laddove si consideri che si tratta di un problema che non ha confini.

Di certo solo il tempo potrà dare una risposta sulla effettività di tutela capace di offrire la normativa in esame, pur nella consapevolezza che si tratta di una materia in continua evoluzione in quanto strettamente connessa al cyber-spazio.

L’unica certezza che si ha in questo momento è che si è aperto all’umanità un nuovo scenario che vede come protagonisti i cyber-bulli, che agiscono in una location da sempre deputata alla crescita culturale dell’individuo e che oggi costituisce terreno fertile per il consolidarsi di atti di violenza e prevaricazione, per cui si rende necessario un intervento maggiormente incisivo della famiglia e della scuola: la famiglia chiamata ad una maggiore assunzione di responsabilità nell’educazione e correzione degli atteggiamenti scorretti dei propri figli, evitando di sottovalutare le potenzialità negative dei figli in materia di cyber bullismo, e la scuola, cui viene relegata la responsabilità sull’ educazione dei ragazzi e sempre di più chiamata a supplire alla mancanza della famiglia.

Famiglia e scuola devono educare alla legalità in maniera molto più ampia rispetto al passato, facendo comprendere ai ragazzi che anche stando dietro il computer nella propria casa si può fare del male ad altri e commettere un atto antigiuridico, per il quale venire puniti.

 

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  3. Tribunale di Milano, sentenza 5654 del 5 maggio 2016.

 

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