Coup d’état in via Fani. La Nato contro Moro e Iozzino

 In SegnaLibro, N. 4 - dicembre 2019, Anno 10

C. D’Adamo & J. Hepburn Jr – Ed. Pendragon – 2018

Dopo tutto, cosa è successo in via Fani? Soltanto un colpo di Stato che ha cambiato la storia d’Italia. (D’Adamo & Hepburn Jr)

Il titolo è di quelli accattivanti, la foto di copertina pure, e tanto basterebbe a stimolare la curiosità di lettori avidi di intrighi internazionali. La scelta dei colori di copertina, poi, un vero colpo da maestro: il rosso e il nero, apparentemente estranei all’omonima, monumentale opera di Stendhal, «Le Rouge et le Noir», appunto. Là il contrasto, irriducibile, tra i toni cupi dell’uniforme militare e il porpora dell’abito talare, poli opposti tra i quali il protagonista a fatica oscilla, ma anche, metaforicamente, l’antagonismo tra il Bene e il Male – è questa, forse, la similitudine capace di accomunare due fatiche letterarie tanto differenti – qui l’opposizione tra i movimenti armati della «eversione rossa» e dello «stragismo nero», che hanno insanguinato la storia recente del nostro Paese, altrettanto irriducibili e parimenti distruttivi, come sempre gli estremismi sanno essere. L’accostamento del colpo di stato – il riferimento al manuale di Luttwak del 1969 (Coup d’État, A practical handbook – A brillant guide to taking over a nation), raffinata teorizzazione dell’azione militare di impossessamento di una Nazione, non è puramente casuale – al blitz di via Fani, conclusosi con il sequestro dello statista democristiano Aldo Moro dopo l’eccidio della sua scorta, la mattina del 16 marzo 1978, è reo di anticipare il teorema che gli Autori, sapientemente, svilupperanno nell’opera. Il sottotitolo, infine, di quel teorema perfeziona la portata, chiamando in causa organismi di respiro sovranazionale, niente di meno che il Patto Atlantico. E che dire delle foto che campeggiano sulla prima e sulla quarta di copertina? Inedite, restituiscono una nuova angolazione della scena del crimine, emblema di una rilettura degli eventi che hanno scritto una delle pagine più buie della democrazia italiana. Gli ingredienti sembrano esserci proprio tutti per «contestualizzare fatti e processi apparentemente misteriosi, prima, durante e dopo il caso Moro».

L’ennesima inchiesta sul caso Moro, qualcuno potrebbe obiettare… e invece no. Non di inchiesta ma di «controinchiesta» si tratta, come puntualizzano gli Autori: un’inchiesta, ufficiosa, condotta parallelamente ad un’altra, quella ufficiale, tesa a integrarne (non di rado, a contestarne) metodi e risultati, nata dall’incontro tra due «outsider, un ex professore in pensione con la passione della storia antica e recente, e un ispettore di banca appassionato di storia contemporanea e di ricerche negli archivi»; «possibile grazie al lungo accumulo di esperienze e conoscenze che si è prodotto in questi 40 anni, al lavoro di giornalisti e ricercatori che hanno avuto il coraggio e la capacità di andare controcorrente». Storie personali differenti, sensibilità diverse ma qui convergenti nel tentativo di ricerca della verità attraverso indagini autonome, incrocio di dati, approfondimenti di fonti investigative e rilettura critica di testimonianze dirette, ghiotte opportunità per i lettori più avveduti. Prima, durante e dopo il «giorno che ha cambiato la storia d’Italia»: le vicende anteriori a quel tragico evento – quelle che tratteggiano la «cronologia delle strategie “atlantiche”» e che di quel evento sembrano costituire il prologo – e la controinchiesta vera e propria, quella che si dipana tra «via Fani e dintorni», che indaga su un «blitz perfetto», una «fuga tortuosa», coincidenze, depistaggi e «cose che non si possono dire», funzionali ad una sistematica ed ordinata (sic!) «rapsodia del caos», «perché nel labirinto di dati raffazzonati, sovrapposti e contraddittori, mescolati a dati precisi, verificati e riportati correttamente, si può intervenire con lucidità sia per sottrazione che per alterazione e per addizione», sentenziano gli Autori. A fare da contraltare, una raffica di documenti riprodotti in maniera ordinata, organica, ragionata, risultato di una ricerca meticolosa e indefessa presso archivi pubblici e privati – seppur con i limiti che il diritto alla consultazione delle fonti incontra nella normativa sulla privacy – fatta di verbali di interrogatorio, atti desecretati, planimetrie, foto aeree, visure e mappali catastali, relazioni di Polizia Scientifica, articoli di stampa dell’epoca, dossier fotografici inediti… una mole di materiale, insomma, un’autentica miniera d’oro che getta nuova luce sul tragico epilogo degli «anni di piombo», costato la vita a una miriade di vittime innocenti: servitori dello Stato nell’adempimento del dovere ma anche studenti, lavoratori, gente comune. Coloro per i quali non esiste, né deve esistere, il diritto all’oblio. Un lungo elenco che gli Autori non intendono dimenticare. Un nome per tutti, accanto a quello, più tristemente noto, di Aldo Moro: quello dell’agente Raffaele Iozzino, citato nel sottotitolo dell’opera, «l’unico della scorta che riuscì a reagire uscendo dall’auto e sparando a sua volta contro i terroristi, [che] rappresenta tutti noi, colpiti alle spalle da forze che lavorando nell’ombra hanno scippato al nostro Paese il regolare corso degli eventi e la libera scelta del suo futuro». Così, in maniera lapidaria, si esprimono gli Autori, ai quali va riconosciuto il merito di una ricostruzione certosina della scena del crimine di via Fani, dando prova non solo di competenze in ambito criminalistico ma, prima ancora, di spiccate capacità analitiche e di una provvidenziale (quanto rara, ormai) dose di buon senso. Lo stesso che alimenta il dubbio, fonte primaria di riflessione e di conoscenza. Cogito ergo sum è la formula con cui Cartesio esprime la certezza indubitabile che l’uomo ha di sé stesso in quanto soggetto pensante: come dire, è la verità a scaturire dal dubbio, e non viceversa. Non a caso, tra gli intenti degli Autori anche quello di stimolare gli inquirenti attualmente impegnati nelle indagini, su istanza dell’ultima Commissione Parlamentare d’inchiesta istituita ad hoc«con spirito di servizio», come gli stessi affermano – suggerendo accertamenti e verifiche foriere di «una “nuova” narrazione politica del caso Moro», capace di dissipare opacità e appianare incongruenze, quel «disordine del caos» che, sommergendo «i dati significativi in una marea di dati inutili, solleva polveroni e inonda la scena con rumori che disturbano la ricezione corretta».

Narrazione dal ritmo incalzante, densa di richiami alle vicende politiche nazionali e internazionali dal dopoguerra ai giorni nostri, fitta di riferimenti storici, minuziosa e didascalica, a tratti quasi ridondante, disorienta (volutamente?) il lettore, forzandolo a riannodare le fila degli eventi, seppur guidato dalle sapienti mani degli Autori, che si dimostrano capaci di intessere trame degne di una spy-story di prim’ordine. Lettura scorrevole ma impegnativa, che impone riflessioni talvolta scomode; certamente instilla il dubbio; in nessun caso confeziona verità precostituite, assolute, incontestabili. Fornisce dati, documenta le affermazioni, stimola la capacità critica del fruitore che si accosta all’opera, rispettandone tempi e convinzioni, perché «a noi tocca decidere in piena autonomia». Autonomia di pensiero e di giudizio: questo è il monito che D’Adamo e Hepburn rivolgono al lettore, facendo eco alle parole di Moro, cui spetta chiudere magistralmente il saggio. Lucide e quanto mai attuali le affermazioni dello statista democristiano scomparso anzitempo: «non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo». E mi risuona nella mente quel versetto del Siracide (27-7): «Non lodare alcuno, prima di averne ascoltato il parlare; questa è la prova degli uomini»