Il bambino nella filiera procreatica

 In FocusMinori, N. 4 - dicembre 2019, Anno 10

Con questo articolo vorrei proporre un esercizio di ragione su alcune conseguenze generate dall’introduzione delle logiche di mercato nella sfera della riproduzione umana.

Più precisamente mi occuperò di quella filiera produttiva che è nata dall’applicazione di tecnologie biologiche e mediche alla riproduzione, con l’obiettivo di ottenere la nascita di bambini al di fuori del processo biologico naturale (costituito dall’atto sessuale seguito da gravidanza e parto).

L’approccio all’argomento sarà quello dell’economista. Come prospettiva di riflessione potrà forse sembrare un po’ insolita ma non dovrebbe stupire troppo, dal momento che la filiera procreatica si è ormai strutturata a livello globale come una vera e propria industria, con tecnologie e asset specifici, processi di scomposizione e ricomposizione del processo produttivo, specializzazione delle imprese, investimenti in R&S e acquisizione di brevetti, oltre a uno sviluppo significativo di forme contrattuali tipiche. Anche se, con ogni evidenza, l’attività di questo settore pone domande che vanno molto oltre quanto la scienza economica può dire, rimane il fatto che quest’ultima può e deve contribuire alla riflessione collettiva su una realtà che solo qualche decennio fa costituiva oggetto tutt’al più di fantascienza, mentre oggi fa parte della vita reale di un numero crescente di persone.

L’apertura di un qualunque ambito dell’esistenza umana alla logica del mercato, genera oltre all’uso della conoscenza a fini produttivi anche l’indispensabile attivazione di mercati capaci di fare incontrare domanda e offerta. Come in tutti i settori produttivi la dinamica strutturale viene orientata dal progresso tecnico e dal meccanismo regolativo dei mercati, cioè dello scambio. Transazioni economiche popolano quotidianamente lo spazio economico della procreatica. Il mio obiettivo sarà cercare di analizzare la posizione del bambino, protagonista involontario di queste transazioni. A questo proposito è necessaria una prima precisazione. Nella riflessione che segue utilizzerò il termine bambino nel senso tecnico di non-adulto, riferendomi all’individuo umano con caratteristiche genetiche uniche nato dal processo di produzione procreatica, qualunque sia la sua età biologica (dallo zigote in poi, prima e dopo il parto). Avrei potuto utilizzare il termine figlio, che avrebbe implicato tuttavia un contenuto morale ed emotivo decisamente superiore, rendendo più difficile il tentativo, di per sè già arduo, di proporre una riflessione su un piano oggettivo.

È necessario fare un’ulteriore precisazione. Nell’analizzare la filiera procreatica farò riferimento a pratiche e processi utilizzati correntemente a livello globale, sia quelli consentiti e regolamentati dalla legislazione italiana (legge 40 del 2004 così come modificata dalle sentenze della Corte Costituzione) sia quelli vietati, come ad esempio quella che la legge chiama “maternità surrogata”, cioè la cessione della funzionalità uterina da parte di donne esterne alla coppia sterile. Questo perchè il mio obiettivo non è effettuare una valutazione della regolamentazione in vigore, quanto piuttosto proporre una riflessione su un fenomeno che deve essere riconosciuto e affrontato nella sua interezza e complessità. Sarebbe del resto illusorio pensare che, in un’economia globale, la regolamentazione sia capace di realizzare un completo isolamento della realtà italiana da quella del resto del mondo, allo stesso modo in cui lo sarebbe sostenere che la nostra legislazione sui diritti dei lavoratori sia capace di salvaguardare perfettamente il mercato del lavoro in Italia dai contraccolpi generati dalla sfruttamento del lavoro usato come fattore competitivo da altre economie.

Nel resto di questo scritto fornirò prima di tutto alcuni elementi per apprezzare la rilevanza economica della filiera procreatica. Passerò poi a riflettere sulla posizione del bambino in tre transazioni che si realizzano tipicamente nella filiera procreatica: la fornitura di gameti, la fecondazione in vitro con impianto in utero degli embrioni e il contratto di maternità surrogata.

Le dimensioni economiche del settore

Un buon punto di partenza per farsi un’idea delle dimensioni della filiera è la relazione che annualmente il Ministro della Salute deve presentare al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40. Nel 2019 sono stati presentati i risultati del monitoraggio per l’anno 2017 dai quali risulta che complessivamente sono stati avviati 95.633 tentativi di ottenere gravidanze, includendo tutte le tecniche attualmente utilizzate in Italia (a fresco o da gameti o embrioni scongelati, con o senza fornitura di gameti da soggetti esterni alla coppia sterile). Se si considera un costo medio (estremamente prudenziale) di ciascun ciclo di 4.000 € si ottiene un valore della produzione pari a circa 382 milioni di Euro. E’ un calcolo ovviamente approssimativo, verosimilmente per difetto, dal momento i prezzi dei servizi acquistati presso strutture private al di fuori del SSN possono essere molto più elevati (secondo la rassegna stampa sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità possono arrivare a 7-8mila euro a seconda della tecnica utilizzata).

Un secondo indizio sulla rilevanza economica di un settore in forte crescita sono gli investimenti in Italia di compagnie straniere, anche di importanti dimensioni, in strutture operanti sul territorio nazionale, con l’obiettivo di estendere le attività, anche approfittando di più favorevoli contesti regolamentari (come ad esempio il permesso di fecondazione eterologa con fornitura di gameti femminili, che altrove è vietata dalla legge mentre in Italia è consentita dopo le sentenze della Corte Costituzionale). Questo fenomeno sembra correlato alla crescita dei flussi di importazione ed esportazione di ovuli e embrioni congelati[1].

Una quantificazione precisa del valore del settore a livello globale non è possibile dal momento che non esistono dati pubblici che permettano una stima ragionevole. Il Fatto Quotidiano riportava nel 2013 stime per la sola India (un paese che ha conosciuto un grande boom grazie ai bassi costi dei servizi di maternità surrogata anche se ha recentemente introdotti forti restrizioni) di un fatturato pari a 2,3 miliardi di dollari[2], mentre Avvenire nel 2016 riportava stime di un fatturato globale pari a 6 miliardi di dollari per l’intera filiera procreatica[3]. Il prezzo dei cicli completi (inclusivi dunque anche della maternità surrogata) possono variare a seconda del paese da 20.000 a 150.000 dollari e anche in questo caso il mercato orienta la domanda dal punto di vista geografico in modo significativo.

Consideriamo dunque la posizione del bambino rispetto ad alcune delle transazioni che caratterizzano la filiera procreatica globale.

Fornitura dei gameti

Nel caso della fornitura di gameti la transazione avviene generalmente in due passaggi: dai fornitori all’impresa di servizi riproduttivi e successivamente da questa alle coppie sterili che intendono procedere alla fecondazione eterologa. La fornitura viene in genere definita “donazione” ma di fatto include nella quasi totalità dei casi una compensazione in denaro (rimborso). L’assenza di adeguati livelli di compensazione, in particolare per le donne (la procedura di prelievo degli ovociti è più complessa e comporta rischi non trascurabili per la salute), è stata recentemente indicata come causa di una crescita dei cicli di fecondazione eterologa inferiore alle attese, dal momento che le strutture devono rifornirsi di ovociti all’estero sostenendo costi più elevati[4]. E’ una delle possibili spiegazioni dei flussi di import-export tra Italia e Spagna certificati dall’ultima relazione al Parlamento del Ministro della Salute, con esportazione di seme e importazione di embrioni crioconservati, connessi alla fornitura del gamete femminile contestualmente alla realizzazione della fecondazione in vitro nel paese iberico.

Nel caso della fornitura di gameti, dal punto di vista economico, è del tutto evidente la presenza di un problema di asimmetrie informative, in particolare nella transazione tra l’impresa di servizi riproduttivi e le coppie. L’asimmetria informativa impedisce all’acquirente di valutare la qualità dell’oggetto della transazione prima della sua utilizzazione (costi elevati di accertamento della qualità) e aumenta i rischi cosiddetti di “azzardo morale” (comportamento opportunistico) e “selezione avversa” dei soggetti che partecipano al mercato sul lato dell’offerta. La presenza di questi rischi è documentata da molte storie apparse sulla stampa internazionale, come ad esempio i numerosi casi di medici che hanno ripetutamente utilizzato il loro sperma nella fornitura di servizi riproduttivi[5]. E’ questo il motivo per cui in genere questo tipo di transazioni è regolamentato in modo più o meno rigido, oltre che dell’utilizzazione di meccanismi di assicurazione della qualità fornita da soggetti terzi (come ad esempio la certificazione aziendali ISO 9001) da parte delle imprese procreatiche.

Qual è la posizione dei bambini all’interno di questa transazione? Lo scambio avviene in assenza di bambini, tuttavia la natura della transazione ha delle conseguenze sui bambini che nasceranno dal processo di procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa. Segnalo almeno due conseguenze potenzialmente avverse. Innanzitutto una condizione pianificata di anonimato genetico, in presenza di regolamentazioni che garantiscono l’anonimato del fornitore (una condizione standard, dal momento che la sua assenza renderebbe molto più difficile e costoso l’approvvigionamento di gameti[6]). Questo può avere future conseguenze sia dal punto di vista della salute fisica (al manifestarsi futuro di malattie che potrebbero richiedere per la cura screening genetici sui genitori) che psicologiche, come dimostra il periodico emergere di richieste dell’abbattimento del segreto genetico ed il successo di kit per la caratterizzazione genetica fai-da-te[7]. Il secondo rischio è relativo alla consanguineità involontaria con i futuri partner (a causa della ripetuta utilizzazione dello stesso fornitore in una piccola area geografica), sopratutto in contesti in cui la regolamentazione della fornitura di gameti non offra adeguate garanzie di controllo[8]. Uilizzando la concettualizzazione economica possiamo parlare di esternalità negative differite nel tempo e talvolta distanti nello spazio, cioè di effetti avversi verso soggetti terzi (i bambini) generati dalla transazione economica e non compensati all’interno di essa.

Produzione e impianto in utero di embrioni

Nel caso della produzione e successivo trasferimento di embrioni i soggetti della transazione sono da un lato l’industria della filiera procreatica e dall’altro la coppia. Normalmente l’obiettivo finale della transazione è il “bambino in braccio” tuttavia occorre sottolineare che qui le possibilità offerte dalla tecnologia configurano situazioni in cui oggetto del contratto può essere la produzione di embrioni crio-conservati, da utilizzare solo successivamente in tentativi di ottenere una gravidanza. I motivi della crescita di questa pratica sono innanzitutto tecnologici: ci sono maggiori possibilità di successo nel caso di cicli effettuati con materiale scongelato, utilizzando embrioni invece che gameti[9]; in secondo luogo il congelamento offre la possibilità di ottimizzare l’organizzazione dei cicli di prelievo degli ovuli e di fecondazione in vitro, con la produzione di un numero congruo di embrioni da utilizzare in successivi tentativi di impianto.

Qual è la posizione del bambino in questa tipologia di transazione e a quali rischi viene esposto? Sempre utilizzando un apparato concettuale mutuato dalla scienza economica innanzitutto segnalerei una problematica legata alla definizione dei diritti di proprietà sugli embrioni, che può risultare molto diversa nei diversi casi di fecondazione omologa, parzialmente eterologa e completamente eterologa e in dipendenza dal sistema legislativo e regolamentare in atto. A che punto del processo il diritto a disporre azioni relative al bambino “passa di mano”, dalla impresa procreatica alla coppia? Il punto non è banale se si pensa che l’impresa di servizi riproduttivi, accanto al completo controllo tecnologico del processo unisce anche un’esigenza (e quindi un forte incentivo economico) di controllo dei fattori di successo del processo di produzione (incremento delle percentuali di ottenimento della gravidanza e della nascita). Questo potrebbe spingere verso uno spostamento in avanti del momento del passaggio del diritto di disporre azioni sul bambino, per poter effettuare senza vincoli i controlli e le eventuali interruzioni del processo produttivo. Il quadro regolamentare e le prassi socio-mediche accettate possono configurare situazioni completamente diverse in contesti giuridici e culturali diversi, con evidenti conseguenze sulla tutela giuridica del bambino (nelle diverse fasi del suo sviluppo). In generale è intrinseca alla tecnologia la possibilità di transazioni di compravendita tra adulti il cui oggetto è un embrione, con evidenti future possibili ricadute emotive sul nascituro. In teoria, da un punto di vista squisitamente tecnico, è possibile immaginare una posticipazione della prestazione oggetto della transazione (consegna “giuridica” del bambino) fino al parto[10].

Un altro rischio che si può segnalare è l’esposizione (pianificata perchè, almeno allo stato attuale, intrinseca alla tecnologia) dei bambini ad un elevato tasso di abortività così come al rischio di pratiche di medicina preimpianto e prenatale difensive, che ne possono ulteriormente ridurre il tasso di sopravvivenza per esclusivi motivi precauzionali (riducendo ad esempio la probabilità di cure prenatali altrimenti possibili).

La scomponibilità in fasi del processo produttivo procreatico (fornitura di gameti, fecondazione in vitro, crioconservazione, impianto in utero, maternità surrogata) implica inoltre la possibilità di scambio di prodotti semilavorati e quindi rischi di errore specifici, assenti nel caso del processo riproduttivo biologico naturale. E’ ad esempio il caso, ripetutamente documentato, degli scambi di identità tra bambini nati tramite PMA[11].

Infine vorrei segnalare anche i crescenti rischi connessi alle possibilità di “progettazione genetica” dei bambini. E’ notizia recentemente apparsa su una rivista online del Massachusetts Institute of Technology[12] di una start-up che offre screening genetici avanzati in grado di predire se un determinato embrione risulterà in un bambino che, ad esempio, rientra nel 2% più basso della popolazione o nel 2% più intelligente. Anche se una vera e propria progettazione delle caratteristiche del bambino, con margini di affidabilità soddisfacenti per un uso commerciale non è ancora possibile, sono evidenti i rischi di una utilizzazione di queste tecnologie per il soddisfacimento di determinate aspettative su singole caratteristiche psico-somatiche dei bambini. Senza arrivare ad ipotizzare la produzione di esseri umani con specifiche caratteristiche (come avviene nel film Gattaca citato dall’articolo della MIT Review of Technology e nel romanzo di Huxley, Brave New World, che oggi ci paiono molto più realistici che in passato[13]) è evidente l’esposizione dei bambini al rischio di conseguenze psicologiche, legate ai contraccolpi che potrebbero insorgere nel rapporto tra genitori e figli quando le aspettative (a torto o a ragione) potessero non essere soddisfatte pienamente.

Maternità surrogata

Venendo infine a considerare la terza tipologia di transazione, quella relativa ai servizi di maternità surrogata, i soggetti della transazione sono normalmente la coppia e la donna che presta i suoi servizi riproduttivi. In realtà è intrinseco alla dinamica di scomposizione e ricomposizione del processo produttivo (che segue le logiche del mercato, tenendo conto della domanda e dei diversi contesti culturali e legislativi), che il contratto possa essere stipulato anche tra l’impresa di servizi riproduttivi e le aspiranti madri surrogate. Tra l’altro, come abbiamo visto, in determinate situazioni potrebbe essere conveniente spostare in avanti nel processo la transazione relativa al trasferimento del bambino, proprio per certificare un maggiore tasso di successo e ridurre i contenziosi. Anche in questo caso potrebbe essere più efficiente (in senso economico) che i rapporti contrattuali con la madre surrogata fossero tenuti direttamente dall’impresa procreatica (e non credo si possa escludere che questo, di fatto, avvenga già in determinati contesti).

Dal punto di vista economico i principali rischi connessi a questo tipo di transazione ricadono in quella che tecnicamente potremmo chiamare un problema di “incompletezza dei contratti”. Il fatto è che l’esperienza della gestazione e del diventare madri è quella che la filosofa Paul chiama una “esperienza personalmente trasformativa[14]”. Il rischio, documentato da ormai numerosissimi casi resi noti nella grande stampa mondiale, sono le controversie sull’affidamento del bambino a seguito del mutato atteggiamento della madre surrogata, che dopo il parto chiede di tenere il bambino come suo. Questi casi mostrano che, per quanto il contratto possa essere dettagliato e minuzioso, risulta impossibile definire tutte le possibili situazioni che si possono venire a creare nella relazione tra i due contraenti. Questo da un lato può costituire un ostacolo alla realizzazione dei contratti stessi, generando un innalzamento dei costi di transazione (come ad esempio avviene in contesti regolamentari molto formalizzati come gli USA, dove il costo della maternità surrogata è generalmente molto elevato), dall’altro può favorire lo sviluppo dell’industria procreatica dove sono meno garantiti i diritti soggettivi della madre surrogata e del bambino.

Il possibile manifestarsi di questi contenziosi è ovviamente il primo rischio a cui è esposto il bambino in questo tipo di transazione procreatica. A questi ne aggiungerei altri due. Il primo nasce dalla stessa natura del rapporto contrattuale che si viene ad instaurare. I contratti di maternità surrogata tenderanno inevitabilmente a delineare confini per quanto possibile ben definiti tra il processo fisiologico che è oggetto della transazione (la gestazione) e il resto dell’esperienza psico-fisica quotidiana della donna durante la gravidanza, anche solo per definire con chiarezza i doveri e tutelare i diritti di entrambe le parti. Questa demarcazione è, con ogni evidenza, difficile da realizzare pienamente (un ulteriore elemento che suggerisce l’esistenza di un’intrinseca incompletezza dei contratti che vengono stipulati). Ma un ulteriore rischio, a mio giudizio, è che questa “separazione” in qualche modo artificiale (perchè dettata da un’esigenza economica e non fisiologica), possa comportare una gravidanza conflittuale dal punto di vista quantomeno psicologico per la madre, con possibili ricadute sulla qualità dell’esperienza pre-nascita del bambino.

Il secondo rischio, viceversa, è intrinseco alla natura del processo produttivo, che implica la separazione post-nascita tra la madre surrogata e il bambino. Che durante la gravidanza si instaurino profondi legami fisiologici e emotivi (in entrambi i sensi) tra madre e bambino è dato acquisito dalla medicina[15]. La separazione precoce è una causa potenziale di stress per il bambino con conseguenze che è difficile valutare nel breve periodo e che potrebbero manifestarsi anche dopo un tempo prolungato. La precoce separazione dalla madre pianifica inoltre una maggiore esposizione del bambino a specifici rischi di natura sanitaria: penso ad esempio al necessario allattamento artificiale in sostituzione di quello naturale.

Conclusioni

Ho cercato di mettere in evidenza i rischi intrinseci alla applicazione della tecnologia alla riproduzione umana con l’obiettivo di ottenere la nascita di bambini al di fuori del processo naturale costituito dalla successione di atto sessuale, gestazione e parto. L’introduzione della tecnologia, come abbiamo visto, configura la nascita di un vero e proprio settore produttivo e la speculare creazione di mercati che ne regolano il funzionamento. La posizione dei bambini nelle transazioni che si realizzano nell’ambito di questi mercati è sempre “laterale”: da una parte essi non sono i soggetti delle decisioni, dall’altra esistono chiari rischi che possano addirittura essere l‘oggetto di tali decisioni. Utilizzando l’apparato concettuale della scienza economica è possibile mettere in luce una serie di problemi che già sono evidenti o che si potrebbero evidenziare nel funzionamento della filiera procreatica. In ognuno di questi casi è possibile individuare alcune conseguenze avverse per i bambini.

Più in generale non si deve sottovalutare il forte potere “educativo” della logica economica, che è capace di modellare nel lungo periodo le stesse categorie socio-culturali all’interno delle quali valutiamo la qualità delle relazioni tra persone. Il caso della filiera procreatica mi sembra emblematico di questo potere.

Vorrei concludere con una riflessione più generale sulla disciplina di cui mi occupo, la scienza economica. La nascita di una industria mondiale procreatica è, nei fatti, la realizzazione di un tentativo di utilizzare il mercato come strumento di regolazione della generazione umana. E’ evidente infatti che il valore economico svolge un ruolo fondamentale (anche se non esclusivo) in tutte le decisioni che riguardano la realizzazione dei processi riproduttivi tecnologicamente guidati, sia sul lato dell’offerta (secondo logiche di investimento ed efficienza tipiche delle attività imprenditoriali) sia sul lato della domanda, quanto meno per la considerazione del costo di accesso alle tecnologie riproduttive.

Questo tentativo globale è nato spontaneamente, sostanzialmente guidato dalla innovazione tecnologica e successivamente assecondato dalla regolamentazione. Mi sembra tuttavia interessante ricordare che per un certo filone della scienza economica la presenza del mercato come strumento di regolazione delle scelte riproduttive non è mai stato un tabù. E’ la stessa logica che ha portato Kenneth Boulding negli anni ’60 a ipotizzare, come strumento per regolare la crescita della popolazione, la creazione di un vero e proprio mercato di diritti individuali a riprodursi che potessero essere scambiati tra le persone in cambio di denaro, una proposta che periodicamente riaffiora nel dibattito sulla crescita della popolazione[16]. Secondo questa logica il diritto ad avere igli dovrebbe in ultima analisi avere un prezzo. E non è infrequente trovare argomentazioni di eminenti economisti dello sviluppo che propongono politiche di controllo delle nascite volte a porre i potenziali genitori di fronte ad un “dilemma qualità/quantità” nella “scelta” del numero di figli[17]. Ho sempre guardato con molto turbamento questo tipo di uso degli strumenti concettuali della scienza economica. La logica economica della scelta è senz’altro adeguata in una determinata sfera della nostra esistenza. Ma così come non credo che essa possa costituire una chiave interpretativa universale dell’agire umano, tanto meno penso che possa essere proposta per diventare l’unico meccanismo regolatore dell’esperienza sociale.

Per quanto è nelle nostre possibilità, dobbiamo piuttosto avere cura che i bambini siano protetti dai meccanismi di mercato, sia in qualità di potenziali soggetti che come, ancor più, come oggetti delle scelte degli adulti.

 

Bibliografia

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  1. Questo aspetto è approfondito in una appendice della “Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita (L. 19 febbraio 2004, n. 40, articolo 15) – anno 2019 . Attività anno 2017 centri PMA e utilizzo dei finanziamenti (artt. 2 e 18) anno 2018” scaricabile all’indirizzo web http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2866_allegato.pdf.

  2. Utero in affitto, in India è un Business. Il Fatto Quotidiano, 26/01/2013. https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/26/utero-in-affitto-in-india-e-boom-clienti-anche-dallestero-ma-madri-no-hanno-tutele/454192/

  3. Giulia Mazza, Utero in affitto, ecco quanto costa. Avvenire, 01/03/2016. https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/utero-in-affitto-merrcato-globale-da-6-miliardi-di-dollari.

  4. Monica Piccini, AAA Ovodonatrici cercasi. Elle, 18/05/2019. L’articolo può essere scaricato dal sito dell’Istituto Superiore di Sanità: http://old.iss.it/binary/rpma/cont/18_maggio_19_elle_AAA_OVODONATRICI_cercasi.pdf.

  5. Jaquelin Mroz, Their Mothers Chose Donor Sperm. The Doctors Used Their Own. New York Times, 21/08/2019: https://www.nytimes.com/2019/08/21/health/sperm-donors-fraud-doctors.html. Chiara Pizzimenti, Canada, radiato medico della fertilità che usava il suo sperma. Vanity Fair, 26/06/2019: https://www.vanityfair.it/news/cronache/2019/06/26/canada-radiato-medico-della-fertilita-che-usava-il-suo-sperma.

  6. Secondo uno studio di alcuni ricercatori della Harvard School of Law, nel caso di una modifica della legge che preveda l’inserimento del loro nome in un registro disponibile ai bambini prodotti con la PMA una volta divenuti maggiorenni, il 29% dei potenziali fornitori di sperma rinuncerebbe alla “donazione”. I restanti potenziali fornitori richiederebbero mediamente un incremento del compenso pari a 60$. Cfr. Cohen G., Coan T., Ottey M. e Boyd C. Sperm donor anonymity and compensation: an experiment with American sperm donors. Journal of Law and the Biosciences, 1-21, 2016. doi:10.1093/jlb/lsw052. Scaricabile all’indirizzo web https://papers.ssrn.com/sol3/Delivery.cfm/SSRN_ID2876367_code358116.pdf?abstractid=2876367&mirid=1.

  7. Anche nel caso di adozione in genere il bambino vive una condizione di anonimato genetico. Tuttavia il caso non è comparabile: mentre con l’adozione l’anonimato genetico è una conseguenza non desiderabile che viene accettata per il migliore interesse (avere una famiglia) di una bambino già nato, nel caso del bambino nato a seguito della PMA con fecondazione eterologa l’anonimato genetico viene pianificato prima ancora della procreazione.

  8. Meagan Flynn, Sperm donor who discovered he fathered at least 17 kids ― most in the same area ― says fertility clinic lied. The Washington Post, 03/10/2019: https://www.washingtonpost.com/nation/2019/10/03/oregon-sperm-donor-children-lawsuit/.

  9. Confronta “Relazione del Ministro della Salute…” cit., pagina 12.

  10. Nel caso di gravidanze in cui la madre surrogata operi sulla base ad un contratto con l’impresa di servizi procreatici: confronta infra.

  11. Sarah Zhang, IVF Mix-Ups Have Broken the Definition of Parenthood. The Atlantic, 11/07/2019: https://www.theatlantic.com/science/archive/2019/07/ivf-embryo-mix-up-parenthood/593725/.

  12. Antonio Regalado, The world’s first Gattaca baby tests are finally here. The MIT Technology Review, 08/11/2019: https://www.technologyreview.com/s/614690/polygenic-score-ivf-embryo-dna-tests-genomic-prediction-gattaca/

  13. Emine Saner, The family in 2050: artificial wombs, robot carers and the rise of single fathers by choice. The Guardian, 31/12/2019: https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2019/dec/31/family-2050-artificial-wombs-robot-carers-single-fathers.

  14. Paul LA (2015). What you can’t expect when you’re expecting. Res Philosofica, 92(2) 2015: pp.149-170: https://lapaul.org/papers/whatCantExpect.pdf.

  15. Sullo sviluppo sensoriale del bambino e sulla rilevanza dell’esperienza sensoriale prima della nascita si veda ad esempio Lecanuet J.P. e SchaalB. (2002). Sensory performances in the human foetus: a brief summary of research. Intellectica, 34, pp. 29-56 e Partanen E. e Virtala P. (2017). Prenatal sensory development. In B. Hopkins, E. Geangu, & S. Linkenauger (Eds.), The Cambridge Encyclopedia of Child Development,pp. 231-241. Cambridge: Cambridge University Press. doi:10.1017/9781316216491.04.

  16. Boulding K. (1964). The meaning of Twentieth Century. London: George Allen and Unwin Ltd, pp. 135-136. Un articolo recente che riprende il tema proponendo uno sviluppo della proposta di Boulding è il seguente: de la Croix D. e Grosseries A. (2009). Population Policy through Tradable Procreation Entitlements. International Economic Review, 50 (2), pp. 507-542.

  17. Così ad esempio Jeffrey Sachs in un suo libro divulgativo di grande successo (Bene comune. Un’economia per un pianeta affollato. Milano, Mondadori, 2007). Secondo questa visione economicistica della riproduzione umana, la riduzione della mortalità infantile è buona perchè induce i genitori avversi al rischio a diminuire il numero di figli (ivi p. 191) e l’istruzione delle donne è positiva perchè innalza il “costo opportunità” del tempo che esse dedicano alla cura dei figli (ivi p. 207).

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