Magnificenza

 In Editoriale, N. 4 - dicembre 2019, Anno 10

Magnificenza, duplice la sua radice etimologica. L’origine latina, magnus-fàcere, letteralmente ‘fare in grande’, a sua volta richiama il termine greco antico megaloprèpeia (μεγαλοπρέπεια), e ad altro sostantivo neutro megaloprepès (μεγαλοπρεπές) che sta a significare ‘affetti generosi’ quanto anche ‘sentimenti sublimi e nobili’. La magnificenza non è quindi solo sinonimo di generosità, nobiltà o fasto inconsueto, bensì qualcosa di più, tanto da costituire nel tempo un tassello importante della filosofia, dell’etica, della politica, come anche della sociologia e dell’economia.

Il termine è per la prima volta declinato da Platone che ne La Repubblica appronta una distinzione interessante tra la magnificenza – megaloprèpeia e megalopsychìa, perversione della prima[1]. Nel VI libro, la magnificenza è rappresentata quale parte fondamentale della teoria politica platonica: solo il filosofo può essere effigiato del titolo di re della polis in quanto l’unico a saper coniugare il potere politico con la conoscenza del Bene, ed unico a avere come caratteristica intrinseca proprio la magnificenza. L’anima del filosofo possiede magnificenza (486°, 8) perché è capace di non inseguire piaceri fisici o desideri meschini; essa coniuga la memoria con il desiderio di apprendere, unendovi poi giustizia, coraggio e temperanza. Pertanto, proprio perché dotato di magnificenza, il filosofo – politico, in quanto uomo d’azione oltre che di contemplazione, riesce a salvaguardare la giustizia tramite le sue conoscenze teoriche, esperienze pratiche e la capacità di agire e realizzare i propri obiettivi per il Bene-Felicità della polis, ovvero dell’intera collettività che rappresenta.

La megaloprèpeia pertanto è la caratteristica dell’uomo giusto “ovvero di colui che è nato, si è formato e affermato in uno stato perfetto e nel quale si uniscono tanto lo spirito filosofico quanto la potenza politica[2]”.

Ulteriore dissertazione quella di Aristotele nel Libro IV dell’Etica a Nicomaco: dopo aver parlato della liberalità quale capacità degli uomini che donano principalmente beni materiali, e comunque distinguendola dalla magnanimità, il filosofo definisce la magnificenza quale virtù pur sempre riferita a beni materiali, ma con un distinguo significativo rispetto alla liberalità o alla magnanimità: «L’uomo magnifico è, dunque, necessariamente anche liberale. Infatti, anche l’uomo liberale spenderà ciò che si deve e come si deve; ma, in queste spese legittime, è la grandezza che è tipica dell’uomo magnifico, in quanto la magnificenza è appunto la grandezza della liberalità relativa a queste spese, e con una spesa uguale renderà l’opera più magnifica» (vv10-15).

Rimanendo sempre nel mondo classico, dobbiamo a Cicerone il merito di aver introdotto nella politica, nella cultura e nello spirito romano la magnificenza, arricchendone il significato greco con quello del coraggio: il coraggio di fare cose/azioni grandi. La magnificenza costituisce in tutta l’opera letteraria ciceroniana un leitmotiv che si riscontra già dalle primissime opere giovanili (De inventione), fino agli ultimi capolavori antecedenti al suo assassinio (uno per tutti il De officiis). Confermando la natura trasversale e interdisciplinare della magnificenza quale qualità/abilità/virtù presente tanto in campo filosofico, politico, economico, etico o morale[3].

Mortali sono le lotte civili e politiche che Cicerone deve affrontare, come anche assai ostico il panorama culturale e sociale nel quale incessantemente l’oratore cerca, con le sue opere, di riproporre modelli etico-morali più solidi. E la magnificenza, appunto, costituisce un importante tassello del mosaico di nuovi valori che nascono dalla congiunzione della cultura greca con lo spirito romano. Ricalcando Aristotele, il giovane Cicerone nel De Inventione definsice la magnificenza ponendola in correlazione all’honestum (il kalòn greco), il bello morale costituito da quattro parti, quattro virtù cardinali: prudentia, iustitia, fortitudo e temperantia (II, Lii, 159). Colpisce come l’arpinate riesca a dare della magnificenza una definizione ancor più completa rispetto al paradigma greco: essendo essa correlata alla fortitudo-cioè al coraggio, la magnificenza altro non è che quel valore etico che consente all’Uomo di concepire (con la mente) e condurre a termine (con l’azione) cose grandi ed eccelse proiettandole in una visione futura ampia e splendida (II, Liv, 163). Visione ampia e splendida che non può, coerentemente allo spirito pragmatico romano, distaccarsi dall’aspetto economico e politico: la magnificenza continuerà ad essere associata alle grandi spese pubbliche, cd magnificenza ludorum, tanto da determinarne una sua vera e propria istituzionalizzazione e trasformarsi in strumento di espressione del potere della repubblica e dello stato romano[4]. Sarà poi Vitruvio a sancire tale connessione tra magnificenza, politica ed economia pubblica riferendosi all’architettura. Nel sesto libro del De architectura, la magnificenza dell’edificio spetta al committente pubblico o privato, che è responsabile delle spese, dell’impiego dei materiali e delle dimensioni dell’opera. La magnificenza si manifesta quindi nella committenza delle grandi opere pubbliche in cui gli antichi romani eccelsero: pur salvaguardando la sua natura di valore filosofico, etico e morale, la magnificenza, incarnandosi nelle opere architettoniche, diventa sempre più espressione/strumento del Potere.

L’avvento del Cristianesimo determinerà un’ulteriore importante integrazione del significato della magnificenza, in particolare grazie a Tommaso d’Aquino. Per il filosofo domenicano la magnificenza, pur consistendo in una virtù di fare cose grandi, è pur sempre una virtù di Dio necessariamente correlata al coraggio (Summa, IIa IIae q. 134 art. 1-4). Essa altro non è che «il disegno e l’esecuzione di cose grandi e sublimi con ampiezza e splendidezza di propositi» (Cic. De invent. 2,54) indicando nel disegno l’intenzione interiore, e nell’esecuzione l’opera esterna. La magnificenza pertanto è una virtù che richiede necessariamente coraggio perché mira a compiere opere grandi che hanno come fine l’onore di Dio.

Durante l’Umanesimo la magnificenza subirà un forte ed ulteriore rilancio. Pur mantenendo la natura di qualità della perfezione divina, essa si arricchirà di connotati sociali, civili, estetici ed artistici. Se per Marsilio Ficino essa costituisce la virtù per eccellenza, poiché collegata a Dio (De virtutibus moralibus, 1457), Cristoforo Landino rappresenta la magnificenza come una delle parti del coraggio, attraverso cui l’uomo può condurre una vita virtuosa senza essere necessariamente di origini nobili (De vera nobilitate, 1487[5]).

Con il mecenatismo italiano ed europeo del XV secolo la magnificenza poté riacquisire una forte valenza politica ed economica attraverso l’architettura e le arti. Il Potere diviene magnifico anche perché racchiude in sé un’eccellenza, una grandiosità e interdisciplinarità di geni umani che dovranno fare di tutto per dimostrare ai competitors politici vicini come anche al popolo la superiorità sociale, economica e la generosità del loro mecenate/committente.

Si pensi a Cosimo il Vecchio dei Medici, tra i primissimi ad impiegare questa nuova forma di consumo culturale, come anche il nipote Lorenzo, che si guadagna persino l’appellativo di “Magnifico”, proprio per la sua copiosa sponsorizzazione delle arti. Ma il fenomeno si propaga nell’intera penisola italiana, in tutta Europa e nei secoli successivi: «…lo scopo non è l’abbondanza degli ornamenti, ma la generosità delle forme, l’eleganza delle proporzioni; l’incrollabilità! [6]», così scriveva Carlo Rossi, l’architetto neoclassico, genio italiano che ha contribuito a rendere San Pietroburgo lo splendido gioiello che oggi conosciamo.

Magnificenza è divenuta difatti sinonimo di incrollabilità, solidità di un popolo, di un Uomo che opera nel momento presente certo di lasciare un segno tangibile e che possa andare ben oltre le proprie spoglie mortali. Una naturale disposizione a far cose ammirabili, una grandezza tanto nell’operare, quanto nel sentire. Chi non è rimasto estasiato o piacevolmente rapìto di fronte al Colosseo o all’Acropoli di Atene, piuttosto che le piramidi egiziane o la muraglia cinese: quanti di noi si sono ammutoliti di fronte l’imperiosa grandezza della Cappella Sistina piuttosto che l’estatica bellezza della Dama con l’Ermellino di leonardiana memoria. Tutte opere umane che avevano ed hanno tutt’oggi un fondamentale compito: ricordare nel tempo all’Umanità la sua grandezza, le sue capacità, le sue virtù e valori profondi. Ricordare, quindi, la sua Magnificenza.

 

Bibliografia

Aristotele, Etica nicomachea, introduzione, traduzione e note a cura di Claudio Mazzarelli, Milano, Rusconi, 1996. Testo greco a fronte. ISBN 9788818700046.

Canevazzi G., Carlo Rossi e i suoi diari inediti sul 1831, Società tipografica modenese, Modena, 1932.

Cicerone, De inventione, introduzione, traduzione e note a cura di Maria Greco, Lecce, Congedo Editore, 1998. Testo latino a fronte. ISBN 9788880861843.

Gauthier R. A., Magnanimité. L’idéal de la grandeur dans la philosophie païenne et dans la théologie chrétienne, Bibliothèque thomiste, XXVIII, Paris, Vrin, 1951. ISBN 9782711640584.

Liaci M.T., a cura, Cristoforo Landino. De vera nobilitate, Firenze, Olschki, 1970.

Maclaren S. F., Magnificenza e mondo classico, Ágalma. Rivista di studi culturali e di estetica, 2003, Numero monografico. ISBN 9788883532412.

Platone, La repubblica, introduzione di Francesco Adorno, traduzione di Francesco Gabrieli, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1996, 2v. Testo greco a fronte. ISBN 9788817123518.

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  1. Maclaren Sarah F., Magnificenza e mondo classico, Ágalma. Rivista di studi culturali e di estetica, 2003. Numero monografico, ISBN 9788883532412, http://www.agalmaweb.org/sommario.php?rivistaID=5.

  2. Maclaren, pp 11; R. Gauthier A., Magnanimité. L’idéal de la grandeur dans la philosophie païenne et dans la théologie chrétienne, Bibliothèque thomiste, XXVIII, Paris, Vrin, 1951. ISBN 9782711640584.

  3. Maclaren, pp 61-62

  4. Maclaren, pp 64;

  5. Maria Teresa Liaci, a cura, Cristoforo Landino. De vera nobilitate, Firenze, Olschki, 1970: 17 sgg.

  6. Canevazzi G., Carlo Rossi e i suoi diari inediti sul 1831, Societa tipografica modenese, Modena, 1932.

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