Playing is not a game: videogames, passatempo o potenziale pericolo?

 In @buse, N. 2 - giugno 2013, Anno 4

Più precisamente, in un articolo pubblicato sul “Lancashire Evening Post”, viene sostenuto che 2 ore trascorse davanti ai videogiochi equivalgono addirittura alla sniffata di una striscia di cocaina. Un dato decisamente forte ma anche discutibile, verso cui i medici pongono l’allarme, in particolare per i più giovani[5].

Ancora, secondo lo studio dei ricercatori Arsenault e Picard del Groupe de Recherche “Homo Ludens” dell’Université du Québec di Montréal, si possono distinguere tre differenti profili caratteriologici dei giocatori in base al grado di “immersione” nel gioco, a sua volta causa di difficoltà nel porre limiti temporali all’attività nonché causa di estraneazione dal mondo circostante[6]:

  1.  il grado di “immersione sensoriale”, caratteristico di coloro che prediligono giochi di azione immediata, come ad esempio gli sparatutto; 
  2.  il grado di “immersione funzionale”, caratteristico di coloro che prediligono i giochi in cui si sviluppa un particolare attaccamento al personaggio protagonista, così come avviene nei giochi di avventura, tali da sollecitare un insopprimibile desiderio nel continuare la partita al fine di proseguire nell’avventura personale del personaggio;
  3. il grado di “immersione sistemico”, caratteristico invece di chi, dedito ai giochi di ruolo o a quelli di strategia in cui si sollecitano particolari abilità motorie o capacità cognitive, viene affascinato dalla possibilità di impadronirsi di regole o competenze e capacità particolari, da usare in modo efficace.

Tuttavia, uno degli elementi maggiormente dibattuto negli studi sui videogiochi riguarda la possibilità di asserire l’esistenza di un rapporto di causalità tra pratica di gioco ed aumento dell’aggressività (Dominik J.R, 1984; Cooper J. & Mackie D., 1986; Graybill D., Strawniak M., Hunter T., & O’Leary M., 1987; Lin S. & Lepper M.R., 1987; Silvern S.B. & Williamson P.A., 1987; Schutte N.S., Malouff J.M., et al. 1988; Fling S., Smith L. et al., 1992; Irwin A.R. & Gross A.M., 1995). Tale tematica, da sempre oggetto di analisi, si rinnova nell’interesse dei ricercatori all’indomani della strage della Columbine High School in Colorado del 20 Aprile 1999, nella quale i due studenti Eric Harris e Dylan Klebold, appassionati del videogioco Doom, imbracciarono le armi contro i propri compagni ed insegnanti uccidendo 13 persone e ferendone altre 24 prima di uccidere se stessi[7].

A seguito del citato eclatante episodio, ad esempio, i ricercatori Anderson e Dill si interrogarono sulla possibilità di stabilire se i videogiochi violenti erano o meno un pericolo per la psiche dei giovani. A tal scopo, gli studiosi condussero due studi coinvolgendo un campione complessivo di circa 440 studenti: il primo studio consentì di evidenziare una particolare vulnerabilità all’esposizione ripetuta a videogiochi violenti da parte di soggetti con tratti caratteriali aggressivi, ovvero che durante le interviste avevano riferito dell’adozione di comportamenti aggressivi/delinquenziali nel proprio recente passato, già abituali giocatori di videogiochi violenti durante il periodo scolastico giovanile (medie e scuole superiori). Il secondo studio, condotto dividendo il campione in due gruppi impegnati rispettivamente a giocare con un videogioco violento (Wolfenstein 3D) ed uno non violento (Myst), rivelò come anche una breve esposizione a videogiochi violenti può aumentare temporaneamente il livello di aggressività reattiva e comportamentale. In sostanza, i riscontri di Anderson e Dill evidenziarono come «i videogiochi violenti forniscono un forum per l’apprendimento di soluzioni aggressive per la risoluzione di situazioni di conflitto»: a lungo termine, per effetto di un progressivo “rafforzamento” delle acquisizioni, sempre più frequentemente tali modelli comportamentali diverranno accessibili e dunque adottati in varie occasioni della vita reale. La pericolosità di tali dinamiche, sottolineano i ricercatori, risiede nella “natura attiva” del contesto di apprendimento dei videogiochi, che divengono così potenzialmente più pericolosi rispetto all’esposizione alla violenza televisiva o filmica, anche di durata temporale maggiore (Anderson C.A. & Dill K.E., 2000; Sherry J.L, 2001).

Secondo alcuni ricercatori la reale entità degli effetti negativi dei videogiochi violenti sul comportamento, sulla cognizione e sull’affettività è stata sottostimata da studi metodologicamente deboli, mentre studi correlazionali con migliori prassi metodologiche hanno attestato che l’esposizione a videogiochi violenti è correlata in modo significativo con l’incremento dell’eccitazione cardiovascolare e di pensieri e comportamenti di natura aggressiva (Anderson C.A., 2003).

Per ciò che concerne la correlazione tra esposizione alla violenza nei videogiochi (così come in televisione o al cinema) ed aumento dell’aggressività e dei comportamenti violenti, si deve tuttavia specificare che i risultati più significativi hanno interessato i bambini più piccoli ed i ragazzi più giovani, mentre vi è incoerenza nei risultati laddove gli studi considerano campioni di adolescenti o ragazzi più grandi. In altre parole: vi sono evidenze scientifiche di effetti negativi a breve termine, mentre a lungo termine, con il progredire dell’età, il rapporto di causalità sembra perdere significatività. Ciò dipende certamente dalla natura multifattoriale dell’aggressività stessa e dalle correlate difficoltà nel misurarla, tuttavia anche labili risultati hanno grande importanza in ottica di tutela della salute pubblica (Browne K.D. & Hamilton-Giachritsis C, 2005).

Infine, anche nello specifico campo inerente i riscontri offerti dalla letteratura in merito alla correlazione tra l’esposizione ad immagini violente nei film o nei videogames e la commissione di atti delinquenziali e criminosi non vi è uniformità di risultati.


[5] http://www.lep.co.uk/lifestyle/what-women-want/gaming-addiction-grips-youngsters-1-773488.
[6] http://www.homoludens.uqam.ca/index.php?option=com_content&task=view&id=55&Itemid=63
[7] La strage della Columbine High School viene preceduta, a breve distanza l’uno dall’altro, da altri due episodi di “school shootings” in cui gli autori furono descritti come abituali giocatori di videogiochi violenti (Anderson C.A. & Bushman B.J., 2001), ed ovvero:-      la strage dell’Heath High School di Paducah nel Kentucky del 1 dicembre 1997, in cui lo studente 14enne Michael Carneal apre il fuoco su un gruppo di compagni  raccolti in preghiera, uccidendone 3 e ferendone altre 5;-      la strage della Westside Middle School di Jonesboro in Arkansas del 24 marzo 1998, in cui Andrew Golden (11 anni) e Mitchell Johnson (13 anni), dopo aver fatto scattare l’allarme antincendio ed aver atteso l’uscita in fuga da parte dei compagni, aprono il fuoco uccidendo 3 studenti ed 1 insegnante, e ferendo altre 10 persone.

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