Resilienza

 In Editoriale, N. 4 - dicembre 2016, Anno 7

«Le difficoltà rafforzano la mente, così come il lavoro irrobustisce il corpo»

Seneca

 

Come molti termini la resilienza ha un’origine latina: «il verbo resilire si forma dall’aggiunta del prefisso ‘re’ al verbo salire ‘saltare, fare balzi, zampillare’, col significato immediato di ‘saltare indietro, ritornare in fretta, di colpo, rimbalzare, ripercuotersi’, ma anche quello, traslato, di ‘ritirarsi, restringersi, contrarsi [1]’».

Nel corso dei secoli l’aggettivo resiliens ha indicato sia il rimbalzare di un oggetto, per esempio, il muro che, non opponendosi al moto di una palla, le permette di tornare indietro, sia alcune caratteristiche interne legate all’elasticità dei corpi, come quella di assorbire l’energia di un urto contraendosi, o di recuperare la forma originaria dopo essere stati assoggettati a una deformazione. Nel primo Medioevo, invece, per resilienza si intendeva la capacità dei naufraghi di risalire sulle imbarcazioni rovesciate.

La dizione resilienza con il tempo inizia ad esercitare un fascino particolare anche in campo psicologico, assumendo un forte valore simbolico: lo spirito di resilienza rappresenta la capacità di una persona non solo di sopravvivere ad un trauma, ma anzi di reagire a esso con spirito di adattamento, ironia ed elasticità mentale. È nel 1893 che, il vocabolo resilience, già entrato a far parte della terminologia scientifica anglosassone, compare nell’Independent di New York, nel senso psicologico di “spirito di adattamento [2]”. Da qui, un proliferare delle sue estensioni come di una sua progressiva stabilizzazione di significato.

In fisica resilienza assume il significato di «capacità di un materiale di assorbire energia se sottoposto a deformazione elastica; l’esempio più semplice è quello delle corde della racchetta da tennis che si deformano sotto l’urto della pallina, accumulando una quantità di energia che restituiscono subito nel colpo di rimando [3]». Resilienza, quindi, non è sinonimo di resistenza. Il materiale resiliente non oppone resistenza, contrastando l’urto fino a spezzarsi, al contrario, avendo proprietà elastiche, lo ammortizza, lo assorbe.

In ecologia, resiliente è un sistema ecologico, una comunità che sottoposta a un accadimento traumatizzante ritrova rapidamente il suo equilibrio. In tecnologia, nella produzione dei tessili, resiliente indica il tessuto che, sottoposto ad una deformazione, non solo non si strappa, ma è in grado di riacquisire la sua forma originale.

Entrata in campo psicologico la resilienza diviene principio dinamico, sinonimo di adattamento, capacità di ricostruirsi. Si tratta, dunque, di un processo di continuo riadattamento, che la persona mette in atto di fronte alle avversità della vita riuscendo a crescere e vivere “sana”, pur in condizioni svantaggiate. Anthony sottolinea in che modo la nozione di vulnerabilità poggi sulla constatazione di come i bambini, esposti ai medesimi rischi evolutivi, poi, sviluppino psicologicamente in modo differente l’uno dall’altro. Per illustrarlo si avvale della “Metafora delle Tre Bambole [4]”: la prima fatta di vetro, la seconda di plastica e la terza di acciaio. Tutte e tre ricevono un colpo di uguale forza, ma ognuna riporta differenti esiti: la prima si rompe, nella seconda appare una cicatrice permanente e la terza resiste senza danno. In accordo, Manciaux, sostiene che la «resilienza è la capacità di una persona o di un gruppo di svilupparsi bene, di continuare a progettarsi e proiettarsi nell’avvenire, in presenza di eventi destabilizzanti, di condizioni di vita difficili, di traumi a volte molto duri [5]». Riprendendo la metafora di Anthony la riassume così: facendo cadere una bambola, essa si romperà più o meno facilmente a seconda: del materiale della bambola (rappresenta la resistenza dell’individuo ai traumi); della materia del suolo (rappresenta l’ambiente, la presenza o meno di reti di sostegno); della forza con cui è stata gettata (rappresenta l’intensità del trauma e la durata dell’evento). Primo Levi, in “Se questo è un uomo”, aveva annotato: «La facoltà umana di scavarsi una nicchia, di secernere un guscio, di erigersi intorno una tenue barriera di difesa, anche in circostanze apparentemente disperate, è stupefacente e meriterebbe uno studio approfondito. Si tratta di un prezioso lavorio di adattamento, in parte passivo e inconscio, e in parte attivo». Costretto in un ambiente ostile, il soggetto resiliente riuscirà comunque a mettere in campo comportamenti adattivi, promuovendo in Sé stesso un cambiamento che faciliti quell’adattamento.

Per Canevaro la resilienza è «la capacità non tanto di resistere alle deformazioni, quanto di capire come possano essere ripristinate le proprie condizioni di conoscenza ampia, scoprendo uno spazio al di là di quello delle invasioni, scoprendo una dimensione che renda possibile la propria struttura [6]». La persona resiliente riesce a valutare adeguatamente le interferenze emotivo-affettive che si realizzano nel rapporto con gli altri, scorgendone comunque i lati positivi.

Le persone resilienti hanno dunque capacità strategiche adattive in grado di fronteggiare situazioni difficili. Di fondo sono soggetti tendenzialmente ottimisti, flessibili e creativi. Sanno lavorare in gruppo e fanno facilmente tesoro delle proprie e delle altrui esperienze. La resilienza è una funzione psichica che si trasforma nel tempo con l’esperienza e, soprattutto, al modificarsi dei meccanismi mentali che la sottendono. Ovviamente avere un alto livello di resilienza non vuol dire non sperimentare le difficoltà, non sbagliare mai. Significa correggere la rotta quando è necessario. Essere disposti al cambiamento. Un evento stressante può essere percepito come una minaccia o come una sfida: tutto dipende dalla capacità di resilienza. Tre sono infatti i tratti di personalità riscontrabili nelle persone resilienti: impegno, controllo e gusto per le sfide.

La resilienza non è presente o assente in una persona: essa presuppone pensieri e comportamenti che possono essere appresi da chiunque. Per migliorare il proprio livello di resilienza, è utile porre l’attenzione sulle esperienze passate per individuare i punti di forza personali. Imparare a volersi bene, stabilire una gerarchia tra le priorità della propria vita, determinare confini adeguati tra sé e il resto del mondo. In ultima analisi si tratta di “intelligenza emotiva”, quale capacità di entrare in contatto con le proprie emozioni, saperle controllare adeguatamente, sviluppando la propria personalità in modo flessibile e creativo.

 


[1] Accademia della Crusca: http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/l-elasticit-resilienza

[2] Oxford English Dictionary: www.oed.com

[3] Accademia della Crusca Op. cit.

[4] Anthony, E. J. (1982), Un nouveau domaine scienti que à explorer, in E. J. Anthony, C. Chiland & C. Koupernik (a cura di), L’enfant vulnerable, Paris, Presses Universitaires de France, pp. 21-35.

[5] Manciaux M., Vanistendael S., Lecomte J., Cyrulnik B. (2005), La résilience: état de lieux, in La résilience: resister et se construire, Cahiers Médico-Sociaux, 5, 13-20.

[6] Canevaro A. (2001), Bambini che sopravvivono alla gue rra: percorsi didattici e di incontro tra Italia, Uganda, Ruanda e Bosnia, Trento, Erickson.

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