Stress e mobbing

 In Psico&Patologie, N. 1 - marzo 2010, Anno 1

In accordo con Lazarus esistono due tappe in questo processo di osservazione continua. Nel Primo Approccio la persona cerca di capire se l’ambiente soggettivamente percepito ha implicazioni negative o positive per essa; nel Secondo Approccio, invece, la persona deve decidere la migliore e più efficace modalità di reazione alla situazione. Roy Paine chiama questi modelli di comportamento «risposte di fronteggiamento allo stress», le quali costituiscono lo stadio ulteriore del processo di stress. Le strategie vincenti per fronteggiare lo stress portano alla salute e al benessere, mentre le strategie inefficaci, sebbene sia un problema centrato sulla rappresentazione dell’emozione, possono portare alla malattia fisica e psicologica.

Mi sembra opportuno sottolineare, dunque, che «non è lo stress che ci uccide, ma è la nostra reazione ad esso che lo può fare».

La definizione di stress proposta da Cabib (1995) ed intesa come «ogni cambiamento dell’equilibrio interno causato da fattori esterni», coincide in realtà con la definizione di omeostasi. Se è vero che l’omeostasi consiste in quei processi che tendono a mantenere le funzioni dell’organismo in uno stato di equilibrio, è vero anche che questo equilibrio viene continuamente perduto per poi essere ristabilito. Le scoperte di Selye, infatti, furono seguite ben presto dalla constatazione che le risposte fisiologiche che caratterizzano lo stress possono essere evocate non solo da stimoli fisici ma anche da stimoli “psicologici”. Una situazione minacciosa per l’organismo, la perdita di un certo status sociale o la morte di una persona cara, sono eventi capaci di determinare risposte generalizzate a livello dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene identiche a quelle prodotte da stimoli fisici come il caldo, il freddo, il dolore. Inoltre ci si accorse che gli stimoli fisici producevano effetti stressanti solo se avevano una rilevanza psicologica. Venne così elaborata una “nuova concezione” dello stress secondo la quale il sistema nervoso centrale, “valutatore” dell’equilibrio omeostatico, è il sistema preposto al controllo della risposta da stress. Il resto dell’organismo “informa” il sistema nervoso su ciò che accade nelle diverse regioni di esso, sugli equilibri turbati, e il sistema nervoso “decide” se la situazione è da considerare stressante o meno. Lo stressor allora, viene definito come qualsiasi stimolo capace di provocare un’alterazione dei “processi omeostatici psicologici”. Questa alterazione determinerebbe poi uno squilibrio dell’omeostasi fisiologica. Questa concezione ha avuto il merito di includere tra i fattori stressanti gli stimoli psicosociali, ampliando non solo il campo d’indagine sullo stress, ma anche quello sui fattori eziologici di numerose patologie. L’organismo vivente è un “sistema aperto”, un sistema cioè che scambia continuamente materia verso l’interno e verso l’esterno, per la costruzione di componenti necessarie ai processi fisiologici e la distruzione di tali componenti una volta utilizzate. L’organismo reagisce inoltre a stimoli esterni che lo “informano” sulle condizioni ambientali. Significativo è allora ciò che scrive Selye nel 1956, tutt’oggi estremamente valido e cioè che: «il segreto della salute e della felicità risiede nella capacità di adattarsi con successo alle condizioni eternamente mutevoli del mondo; il prezzo che si paga per gli insuccessi di questo grande processo di adattamento sono la malattia e l’infelicità».

 

Ormoni e risposta comportamentale

Nel 1936, attraverso una serie di esperienze sugli animali, fu dimostrato che l’organismo risponde in maniera stereotipica ad una grande varietà di fattori completamente differenti, quali infezioni, intossicazioni, traumi, eccitamenti nervosi, caldo, freddo, fatica muscolare o irradiazione x. Le attività specifiche svolte da tutti questi agenti sono completamente diverse. Il loro solo carattere comune è che essi pongono l’organismo in uno stato di stress generalizzato e cioè sistemico. Proprio in accordo con Selye, l’espressione “stress sistemico”, verrà qui usata per indicare una condizione in cui, per funzione o per danno, estese parti del corpo deviano dal loro stato normale. È oggi chiaro che: 1) lo stress ha una fisiologia ed una patologia sue proprie, 2) le reazioni adattive ormonali sono indispensabili per l’adeguamento all’ambiente che ci circonda e per la conservazione del benessere nel mondo che continuamente cambia e 3) le deficienze e le deviazioni della reazione adattiva ormonale possono essere fattori di massima importanza nella genesi delle malattie. In «Lo stress della vita», Selye afferma che lo stress è uno stato che si manifesta in una sindrome specifica consistente di tutte le modificazioni indotte in via aspecifica entro un sistema biologico. La reazione allo stress è stata denominata, per la prima volta da Selye, «Sindrome Generale di Adattamento» (S.G.A.) e le sue deviazioni «malattie dell’adattamento». Una volta che questa si è stabilita, è possibile riconoscere lo stress in qualunque modo sia stato provocato; anzi è possibile anche valutarlo in base all’intensità delle manifestazioni di S.G.A. che esso determina. Quindi la S.G.A. è la somma di tutte le reazioni sistemiche aspecifiche dell’organismo conseguenti ad una prolungata esposizione allo “stress” sistemico. Tra le deviazioni della S.G.A. che possono provocare malattia, sono particolarmente importanti le seguenti: 1) un eccesso o una carenza assoluti della produzione di ormoni dell’adattamento durante lo stress, 2) un eccesso o una deficienza assoluti della quantità di ormoni dell’adattamento trattenuti dai rispettivi organi bersaglio periferici durante lo stress, 3) la produzione da parte dello stress di deviazioni metaboliche che modifichino in forma abnorme la risposta degli organi bersaglio agli ormoni dell’adattamento.

Nelle sindromi psicosomatiche, in molte forme di nefrosclerosi, di ipertensione, di ulcera gastrica o di malattie “allergiche”, il fulcro della malattia sta in una anomala reazione adattiva all’agente patogeno. E ciò è tanto più logico se si considera che lo stesso stimolo patogeno responsabile di tali modificazioni in alcuni individui, non provoca alcun particolare disturbo in altri il cui meccanismo di adattamento funziona normalmente. Si potrebbero distinguere le malattie dell’adattamento in “primitive” e “secondarie”. Le prime sono dovute a lesione primitiva degli organi dell’adattamento (per esempio, distruzione da tumore dell’ipofisi o delle surrenali); le seconde sono provocate da un’anormale reazione di questi stessi organi alla richiesta di adattamento di uno stressor. Si potrebbero ulteriormente dividere queste principali categorie in: malattie “iperfunzionali” o “ipofunzionali” a seconda che il turbamento sia principalmente dovuto a deficienza o eccesso della reazione adattiva. Molte di queste malattie sono state in passato riunite per la comunanza di determinate caratteristiche. Si è cosi affermato che certe perturbazioni metaboliche (magrezza, adiposità, diabete mellito) al pari di certe affezioni gastrointestinali e malattie cardiovascolari (particolarmente ipertensione essenziale, disordini mestruali e sterilità) sono essenzialmente “malattie della civiltà” per la loro relativa rarità tra i popoli primitivi.

Infatti, il loro sviluppo è stato messo in relazione alle condizioni in cui vive la maggior parte dei membri delle comunità con più progredita civiltà, condizioni che portano all’annientamento e danno origine ad un gruppo di malattie che possiamo chiamare “malattie da stress”. Il concetto fondamentale è che, nell’organismo vivente più complesso, tale sopravvivenza è garantita solo da un’armonica integrazione del metabolismo e del comportamento alle finalità adattive. Sopravvivenza individuale, sopravvivenza della specie e sopravvivenza del gruppo sociale posseggono ciascuna vie di attivazione comuni e specifiche. L’attivazione di tali vie, con un preciso ordine di priorità, garantisce l’adattamento ottimale e la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Modificazioni metaboliche e variazioni comportamentali indotte dagli ormoni appaiono così essere strettamente legate per assicurare la sopravvivenza dell’individuo, della specie e del gruppo. In questa prospettiva, il metabolismo e la funzionalità viscerale sono continuamente influenzati dalle variazioni di stato emozionale dell’individuo ma soprattutto, lo stato emozionale e l’organizzazione del comportamento sono influenzate dalle variazioni ormonali precedentemente attivate. In questo sistema complesso di feedback va cercata la chiave di molti disturbi somatici e psicosomatici.

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