Il Valore

 In Editoriale, N. 3 - settembre 2020, Anno 11

Valore, dal latino tardo valor-ōris, da valēre, ‘essere sano, forte’ […] essere un uomo di valore[1]. Possesso di alte doti intellettuali e morali, o alto grado di capacità professionale. Ma anche sinonimo di virtù e nobiltà d’animo[2]. Un principio, un’idea, un atto per farsi valore deve essere ‘lavorato’, vissuto, esso infatti, non si trasmette con le sole parole ma si ‘veste’ di successive e coerenti gesta. Sono quest’ultime che misureranno il ‘peso’, la qualità della persona che le ha pronunciate e compiute, o meglio il suo valore.

È incontestabile che oggi la nostra società va sempre più verso la perdita del concetto stesso di valore, che resta confinato solo all’ambito delle questioni economiche/finanziarie. Fuori dell’enclave dell’avere, del possedere il valore non trova collocazione alcuna, esso spesso è sostituito da un ‘fluente’ politeismo di cosiddetti ‘nuovi valori’, altrimenti definibili, non di rado, per la loro natura disvalori. Effetto diretto di questa babele di ‘opinioni’ è un relativismo esasperato e una impossibilità di accedere a principi e regole definite e condivise, per una risoluzione dei problemi esistenziali. Di conseguenza vengono meno i centri di riferimento, le istanze indiscusse per una composizione razionale delle affermazioni o dei comportamenti. Questo si riflette in maniera fedele anche nel mondo giovanile/minorile. Non si può pretendere che le nuove generazioni restino immuni da questa corrosione del senso stesso di valore. Lo stesso concetto di bene o di male, si è frantumato in mille pezzi, come si frantuma un vetro. È indubbio che la nostra cultura stia vivendo in un profondo smarrimento sia nel campo intellettuale che formativo.

Appare evidente che tutto questo non può non impattare anche nella sfera educativa giacché oggi, come ieri, le nuove generazioni hanno bisogno, per definire sé stessi, di trovare adulti di riferimento che fungano da mappa mentale per orientarsi nel mondo. Da sempre gli uomini hanno appreso da coloro che ‘erano’ prima di loro, persone considerate degne di essere imitate. Dice Dante a Virgilio «Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore[3]», dove la parola ‘magister’ ha un significato più ampio di modello, poiché definisce anche quell’umana virtù di colui che ha tenuta alta la lampada per far luce a quanti vengono dopo di lui: «Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte[4]». Infatti, il ‘magister’ è colui che riconosce l’importanza del valore nella propria e altrui vita, egli è difatti in grado non solo di vivere in armonia con questa consapevolezza ma di trasmettertela ad altri. Non ha bisogno di leggi esterne, imposte, ma agisce secondo leggi morali e culturali che a sua volta ha appreso da chi ‘era’ prima di lui. Egli per primo ha seguito il ‘lume’ che fin da bambino gli ha spiegato il mondo, il vivere nel mondo, il rapporto con il sé e l’altro da sé. Adesso quale adulto educante, diviene portatore di ‘lume’ per quelli che camminano dietro di lui.

Oggi però sempre più spesso questi ‘lumi’ risultano fievoli se non anche spenti, succede quindi che alla conseguente decadenza del ‘valore dell’essere’ subentri anche la perdita delle ‘certezze dell’essere’. Poiché la prima è indissolubilmente legata alla seconda. Infatti, senza il punto di riferimento valoriale viene meno la ‘via maestra’ da percorrere, da trasmettere, e con essa la dimensione educativa degli adulti. Adulti per altro sempre più spesso affaccendati nel contingente che rinunciano al loro ruolo di ‘accompagnatori’ e narratori del mondo. Si assiste ad un progressivo indebolimento del supporto genitoriale nella crescita dei figli, spesso frammentato e affidato ad altri. Figli che difficilmente riescono ad esperire la graduale scoperta o possesso delle cose, non esercitando in questo modo abilità emotive quali l’attesa, la calma, la pazienza. Abilità indispensabili per riuscire a trattenere e posticipare il desiderio, pulsione emotiva che per sua natura si accompagna alla fretta, all’impazienza, all’avere tutto e subito. La mancanza di adulti autorevoli, inadeguati portatori di «lume dietro», ingenera nei giovani uno svilimento della figura dell’adulto, ormai non più precursore di conoscenza e coscienza. Si interrompe così il ciclo della trasmissione intergenerazionale della funzione educativa, con la conseguente mancanza di ‘modelli di valore’ da imitare.

Spazzato via il ‘vecchio’ e oramai obsoleto valore, considerato adesso di intralcio alla propria libertà di espressione, se non anche al proprio diritto di ‘autodeterminarsi’, altrimenti definibile con ‘prendo ciò che voglio senza curarmi delle conseguenze’, si fa posto al ‘vuoto’ che ben presto sarà riempito dai semi del malessere (essere male), un’inquietudine dell’anima non definibile, non placabile. Un male di vivere che colonizza pensieri ed emozioni, un sentire che fa da humus ad una forma mentis che, come un abito mentale, trova la sua modalità espressiva per entrare in relazione con l’altro nell’aggressività e nella violenza. Adesso unico procedimento di canalizzazione dei conflitti e delle tensioni. In questo quadro diviene, quindi, cosa antica, se non anche desueta, la normale e obbligatoria opposizione alle norme e regole genitoriali quale naturale passaggio adolescenziale. Sostituita, sempre più spesso, da modalità comportamentali definibili come antisociali, se non anche criminose.

Questo sbilanciamento verso l’avere tutto e subito, anziché coltivare l’essere nella sua accezione valoriale, fa si che tutto assume la sostanza dell’oggetto persone comprese, queste, adesso disumanizzate possono quindi divenire consumabili, usabili per non dire ‘gettabili’.

Davanti a questo sgretolamento del valore o meglio del ‘valore dell’essere’, non possiamo non appellarci alla necessità di recuperare il ruolo educativo della famiglia e in generale della società degli adulti, da sempre affidatari del compito di costruire ‘argini’ di contenimento verso comportamenti devianti le regole e le norme della civile convivenza. Solo riappropriandosi il proprio imprescindibile ruolo educativo la famiglia e la società tutta potrà riconquistare il ‘diritto’ di impartire e predisporre modelli idonei di condotta, non negoziabili. Funzione che non può prescindere dal ‘dovere’ che gli compete, ovvero di «Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte».

 


  1. https://www.sapere.it/enciclopedia/valóre.html

  2. https://www.treccani.it/vocabolario/valore/

  3. Dante Alighieri, Inferno v. 85 canto I

  4. Dante Alighieri, Purgatorio vv. 67-69 canto XXII

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